Un contratto unico di ingresso per combattere la frammentazione del mercato del lavoro. Il ddl in discussione in Italia, il dibattito francese, la protesta in Spagna
Il 5 febbraio 2010 è stato presentato in senato il disegno di legge Nerozzi-Marini, intitolato “Istituzione del contratto unico di ingresso” e firmato da 47 senatori del partito democratico(1). La proposta, che segue quella formulata l’anno prima da Pietro Ichino, accoglie i suggerimenti elaborati negli ultimi anni da Boeri e Garibaldi, principalmente sulle pagine della rivista online lavoce.info (2), e si inserisce in un contesto di riforme del mercato del lavoro annunciate da più parti in Europa
L’idea di un contratto unico di ingresso, infatti, è stata sviluppata anche in Francia (3) ed in Spagna (4) ed è stata accolta con favore dai rispettivi governi nazionali con lo scopo di combattere la netta segmentazione tra lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori precari che si osserva attualmente in gran parte del mercato del lavoro europeo.
Tale segmentazione è dovuta al fatto che la maggiore flessibilità tanto auspicata negli ultimi anni è avvenuta “al margine” del mercato, ossia mediante l’introduzione di forme contrattuali a tempo determinato o atipiche che hanno creato lavoratori flessibili,sì, ma spesso precari, perché non coperti da una adeguata struttura di ammortizzatori sociali. D’altro canto, il settore dei lavoratori a tempo indeterminato è rimasto ancorato ad un sistema altamente protetto e rigido.
A prescindere dalle singole specificità, le diverse proposte di contratto unico per tutti i lavoratori mirano, quindi, ad armonizzare ed uniformare il mondo del lavoro, offrendo un contratto a tempo indeterminato che dia protezione e tutele economica in caso di disoccupazione e includa allo stesso tempo forti elementi di flessibilità.
L’obiettivo di maggiore flessibilità del mercato è perseguito limitando l’attuale possibilità del lavoratore di ricorrere al giudice del lavoro in caso di licenziamento. Prescindendo dalle specifiche leggi nazionali (5), secondo la normativa vigente in Italia, Francia e Spagna, in caso di licenziamento il lavoratore può far ricorso al giudice del lavoro, il quale accerta l’esistenza di una giusta causa o di un valido motivo alla base della decisione dell’impresa. Qualora tale valido motivo non sia riscontrato, il tribunale può ordinare la riassunzione del lavoratore o il pagamento di un’ammenda a fini risarcitori (in Spagna la scelta tra reintegro o indennità monetaria spetta all’impresa; in Francia all’accordo tra le parti; in Italia, per le imprese con più di 15 dipendenti, al lavoratore). La proposta del contratto unico, invece, limita la possibilità di ricorso al giudice del lavoro ai soli casi di licenziamento discriminatorio (basato su motivazioni legate al sesso, razza, religione etc.) e disciplinare (basato su motivazioni legate a inadempienza o cattiva condotta del lavoratore); mentre la possibilità di ricorso in caso di licenziamento economico (basato su motivazioni attinenti alla struttura produttiva dell’impresa) è temporaneamente sospesa per i primi tre anni del contratto (in Italia) o definitivamente abolita (in Francia e Spagna). In Spagna, ciò si aggiunge alla proposta di decentrare i meccanismi di contrattazione, permettendo agli accordi a livello di impresa di prevalere su quelli collettivi.
La maggiore flessibilità è controbilanciata da un meccanismo di protezione monetaria in caso di licenziamento, prevedendo una indennità a favore del lavoratore licenziato proporzionale alla sua anzianità lavorativa presso l’impresa. L’idea cardine alla base della riforma è, quindi, snellire l’attuale sistema di protezione giuridica del lavoro, integrandolo o sostituendolo con un sistema di protezione monetaria del reddito. Vale a dire che le imprese avranno maggiori margini di azione nelle scelte relative al licenziamento economico e non dovranno più temere l’ingerenza dei tribunali, ma dovranno sopportare un costo per ogni lavoratore licenziato. Inoltre, laddove è previsto un sussidio di disoccupazione, come in Francia, l’indennità da pagare in caso di licenziamento si somma alla tassa che già le imprese versano allo Stato per finanziare i sussidi. Inoltre, il maggior costo associato al licenziamento è anche inteso a disincentivare un eventuale abuso da parte delle imprese della maggiore libertà guadagnata sul fronte della flessibilità in uscita. Ad esempio, in Francia è stata proposto di incrementare l’indennità nei primi 18 mesi, in modo da scoraggiare l’uso del contratto unico come sostituto dei contratti a tempo determinato.
Tuttavia, malgrado le buone intenzioni dichiarate, la proposta del contratto unico ha sollevato numerose critiche (6) da parte di alcuni economisti e sindacati (ed è stata una delle ragione dello sciopero generale indetto in Spagna lo scorso 29 settembre).
In primis, per quanto riguarda l’Italia, si osserva che, in realtà, il contratto unico tanto unico non è. Infatti, le altre forme contrattuali attualmente esistenti non vengono abrogate e si affiancano semplicemente al nuovo contratto. Si impongono, però, degli standard minimi in termini di salario orario e contributi previdenziali per tutti i tipi di contratti flessibili (a tempo determinato, co.co.pro etc.) in modo da tutelare i lavoratori atipici.
In secondo luogo, e questo è il timore più diffuso, si sospetta che, a dispetto della maggiore onerosità del licenziamento, il cambiamento di prospettiva proposto (tutela giudiziaria versus tutela monetaria) possa essere comunque lesivo dei diritti dei lavoratori e possa rafforzare quella che è generalmente considerata la parte più forte nei rapporti contrattuali, ossia l’impresa. Ciò potrebbe valere in particolar modo nei settori low skill in cui i lavoratori, svolgendo mansioni manuali o di routine, sono facilmente sostituibili.
Infine, le forme di indennità monetarie previste sono certamente superiori a quelle presenti ora per i lavoratori atipici (spesso inesistenti), ma inferiori a quelle prescritte in caso di licenziamento senza valido motivo (ad esempio, in Spagna si è stabilità una indennità superiore agli 8 giorni di stipendio per anno lavorato previsti per i lavoratori a tempo determinato, ma inferiore ai 45 giorni di stipendio per anno lavorato dovuti in caso di licenziamento ingiustificato).
In conclusione, la proposta di un contratto unico sembrerebbe rispondere alla esigenza di maggiore armonizzazione del mercato e prospettare un equilibrio tra necessità di flessibilità da parte delle imprese e bisogno di tutela da parte dei lavoratori. Tuttavia, la misura in cui tale equilibrio sia effettivamente raggiunto va forse ancora indagata a fondo. In Spagna i sindacati sono sul piede di guerra; in Italia il dibattito è aperto.
(1) si veda http://parlamento.openpolis.it/atto/documento/id/41059
(2) si veda anche Boeri, T., and P. Garibaldi, (2008), Un nuovo contratto per tutti, Milano.
(3) Blanchard, O. J. and J. Tirole, (2003), “Contours of Employment Protection Reform”, MIT Department of Economics Working Paper No. 03-35.
Cahuc. P. and F. Kramarz (2004), “De la précarité à la mobilité, vers une sécurité sociale professionnelle, Rapport pour le Ministre de l’Economie et des Finances, La documentation Française”, www.ladocumentationfrancaise.fr/rapportspublics/.
(4) Andrés, J. et al. (2009), “Propuesta para la Reactivación Laboral en España”, El País, 26 April (“A Proposal to Restart the Spanish Labor Market”, www.crisis09.es/PDF/restart-the labormarket.pdf).
(5) Per maggiori dettagli sulla normativa europea in tema di licenziamento si veda www.ilo.org.
(6) Si veda: www.ccoo.es; www.ituc-csi.org/spain-general-strike-on-september.html; www.economiepolitica.it; www.humaniteinenglish.com/article144.html.