Sarà una gara tra gli iscritti alle graduatorie: una corsa riservata, restano chiusi i caselli all’ingresso per i neolaureati. E per i più precari tra i precari. Con molti dubbi sui criteri di giudizio
Non è per i giovani, e neppure per ringiovanire la categoria docente con un’età media tra le più alte dell’intera area Ocse, il concorso per insegnanti bandito il 25 settembre. E allora per chi è? La verità, alla fine, la sintetizza lo stesso ministro Profumo. Il concorso è “una grande opportunità” per i precari delle graduatorie cosiddette ad esaurimento “cui viene data la possibilità, indipendentemente dalla posizione in graduatoria, di accelerare il loro percorso e di entrare in ruolo prima degli altri“. Tutto questo ambaradam dunque – e chissà quanti milioni di euro – perché dei forse 180.000 precari “storici”, 11.542 ( queste le cattedre in palio) acciuffino prima di altri l’agognata immissione in ruolo? E ne verrà, almeno, un qualche beneficio alla qualità dell’insegnamento della spossatissima scuola italiana ?
Al momento la sola certezza è che, se non di vittoria piena, si tratta comunque di un bel successo per quanti sostengono che i concorsi nella scuola si dovrebbero fare solo dopo che tutti i precari delle graduatorie saranno entrati in ruolo per via di sanatoria, ovvero tra 10, 15 anni, forse di più. E cioè dei sindacati, dei partiti, di associazioni e burocrazie varie che in questi mesi hanno fatto di tutto non solo per scongiurare il ritorno del concorso (l’ultimo è del ’99, nonostante il dettato costituzionale e nonostante la legge che prevede che metà dei posti di insegnamento si devono coprire per sanatoria e metà per concorso); ma anche e soprattutto perchè vengano comunque tagliati fuori i più i giovani. Nessuna opportunità deve esserci per i laureati che, causa sospensione delle Ssis imposta da Gelmini, dal 2008 a oggi non hanno avuto nessuna possibilità di abilitarsi. E ingresso vietato, quindi, ai 20.000 che cominceranno tra breve il Tirocinio formativo attivo (Tfa) che sostituisce le vecchie Ssis, cui pure si sarebbe potuto consentire l’iscrizioneal concorso con riserva. Niente da fare, per loro c’è solo la promessa, chissà quando, di altri concorsi. Mettersi in fila, insomma, e aspettare, un vero paradiso per quella che tanti amano definire la “generazione perduta”. Eppure anche qui ci sono tanti insegnanti precari, supplenti che entrano in gioco quando i precari più titolati non ci sono o non sono disponibili a trasferirsi per incarichi di poche settimane, giovani che lavorano nella scuola anche da diversi anni in modo pressoché continuativo.
Non è dunque nella tanto vantata esperienza professionale che secondo alcuni dovrebbe svuotare di senso ogni modalità concorsuale, il requisito che davvero conta, che dà diritto alla stabilizzazione, o almeno a potersi misurare in un pubblico concorso. Quello che vale, che deve valere più di ogni altro titolo e di ogni altra competenza certificabile, è la griffe data dall’essere iscritti alle mitiche graduatorie. E’ in sostanza, non essere ignoti, avere appartenenze sindacali, disporre di protezioni politiche, essere importanti dunque per il consenso. Come per i disoccupati organizzati della Napoli degli anni Settanta, dove era la lista di appartenenza, non l’essere senza lavoro, la moneta vincente. Non si spiega altrimenti perché ogni giorno ci siano manifestazioni dei precari “storici”, che pure oggi si trovano a disporre della doppia possibilità della sanatoria e di un concorso che di fatto è riservato solo a loro, mentre non c’è chi si dedichi a rendere visibile e a organizzare l’inquietudine e la delusione di chi, ancora una volta, viene lasciato in stand by. Non è così – si direbbe – che dovrebbe funzionare un paese normale.
Dimenticando di aver sostenuto per mesi la necessità di far entrare finalmente nella scuola anche i più giovani, il ministro Profumo sostiene però che il solo fatto di aver ripristinato il concorso sia un segno indiscutibile e irreversibile di una felice “normalizzazione”. Promette che, una volta rotto il tabù, di concorsi ce ne saranno altri, e che saranno regolarmente banditi ogni due anni. Si impegna a un secondo Tfa ( il primo ha visto 160.000 candidati per soli 20.000 posti-formazione), annuncia revisioni regolamentari e innovazioni che dovrebbero garantire sia ordinati flussi di ingresso nel lavoro docente sia una sempre maggiore qualificazione degli insegnanti italiani. Intenzioni che potrebbero a breve rivelarsi assolutamente effimere. Non è difficile prevedere, infatti, che le graduatorie degli idonei che deriveranno dal concorso appena bandito (si prevedono più di 100.000 candidati) si tradurranno rapidamente in un’ulteriore massa critica contro altri concorsi,e che i tempi/costi del primo scoraggeranno l’amministrazione da una replica a breve termine dell’impresa.
Ma, almeno, con questo primo concorso, si realizzeranno modalità di selezione davvero capaci di far vincere i migliori? Non ci sono, in verità, le condizioni. In undici mesi di governo, non si è stati capaci di esercitare la delega per la revisione del regolamento concorsuale e per la modifica dei titoli riconoscibili, e non si sono rese ancora utilizzabili le nuove classi di concorso per la scuola secondaria. Non solo, non c’è nessuna nuova definizione del profilo professionale dell’insegnante l’unica disponibile risale ai primi anni Settanta, ed è un testo contrattuale) e delle competenze di cui l’insegnamento in una scuola moderna dovrebbe disporre, punti di riferimento non banali di ogni dispositivo di reclutamento. Le innovazioni relative alle prove – la presenza di quesiti relativi alle competenze linguistiche e digitali, la prova scritta in forma di quesiti a risposte aperte, il recupero (dai concorsi abilitanti degli anni Sessanta) della cosiddetta “lezione simulata” – rivelano al contrario approssimazioni, superficialità, compiacimenti tecnologici imbarazzanti. Preoccupante, inoltre, l’evidente intenzione di “scremare” brutalmente la massa dei candidati con un test preselettivo , fatto di 50 domande cui rispondere in 50 minuti, in cui potranno valere solo la memoria (le domande vengono scelte automaticamente da un pacco di 3.500 messe in rete anticipatamente) e la fortuna: inadatto, per tempi e modalità, a rilevare la riflessione e l’ elaborazione necessarie per rispondere correttamente alle domande di analisi del testo e di verifica delle capacità logico-deduttive. Mentre c’è da chiedersi quali competenze digitali – competenza significa “sapere in azione” – si possono verificare in un test cui si risponde per iscritto e che non prevede l’uso del personal computer. Quanto alla lezione “simulata”, presentata come la prova che attiene di più alla verifica delle competenze professionali, è proprio la sua modalità di realizzazione – la lezione si fa al cospetto non di studenti con cui interagire ma di un collegio giudicante – ad obbligare alla replica della lezione “frontale” tradizionale, la tipologia didattica stigmatizzata da decenni di pedagogia come la meno efficace. Memoria, velocità, pensiero conforme, capacità espositive, sono queste le qualità professionali dell’insegnante? I funzionari e gli ispettori di viale Trastevere sono lontani anni luce, come sempre, da un’idea se non scientifica almeno pensata di buon insegnante. Vedremo se, questa volta, saranno almeno capaci di evitare le cialtronerie culturali e gli errori del test selettivo per l’accesso al Tfa, e del concorso per dirigenti scolastici.