In Italia solo il 40% dei ragazzi si iscrive all’università. Il Covid ha ulteriormente penalizzato le famiglie più povere e ora politiche disorganiche rischiano di aggravare le disparità tra atenei per l’offerta formativa e le assunzioni. Da Roars.
Per rilanciare l’economia italiana dopo venti anni di crescita stentata e dopo i profondi danni che sta provocando l’epidemia di covid è indispensabile affrontare alcune grandi, ineludibili questioni. Due spiccano per importanza: i modesti livelli di istruzione delle forze di lavoro e dei giovani, i grandi squilibri territoriali. Esse si incrociano nella situazione e nelle prospettive del sistema dell’istruzione, scolastica e universitaria, del Mezzogiorno e in generale del Centro-Sud. Ma, mentre da più parti si sottolinea il suo fondamentale ruolo, e la necessità di un suo potenziamento, le politiche continuano ad andare in direzione opposta.
In queste riflessioni si toccherà un tema specifico: quello dei criteri di definizione e di allocazione dei “punti organico” fra le università italiane. È un tema importante, perché come si dirà ha implicazioni sensibili sul futuro degli atenei. Ma è anche un tema spinoso, perché i criteri di allocazione determinano chiavi di riparto fra le università di un totale predefinito. Qualsiasi modifica dei criteri per definizione determina un miglioramento per alcuni e un peggioramento per altri. È quindi un tema sul quale naturalmente, ciascuno tende a valutare tanto i principi generali quanto gli effetti concreti sulla propria situazione, sul proprio ateneo. Si consideri che anche gli atenei che, come si vedrà sono stati relativamente “favoriti” da questa politica vengono da anni molto difficili, di contrazione di finanziamenti e di personale. Ma è una discussione ineludibile.