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I cinque mesi che hanno sconvolto la Grecia

L’ex ministro delle finanze greco ripercorre i cinque mesi di negoziati con l’Europa, le strategie seguite, le alternative che aveva proposto al governo Tsipras, che hanno portato alle sue dimissioni dopo il referendum del 5 luglio. La traduzione italiana dell’intervista rilasciata da Varoufakis al New Statesment

Harry Lambert: Insomma come si sente?

Yanis Varoufakis: Sono al settimo cielo – non devo più vivere sulla mia pelle questa frenesia, che è assolutamente disumana, semplicemente incredibile. Ho dormito due ore a notte per cinque mesi … Sono anche sollevato di non dover più sostenere questa pressione incredibile per negoziare su una posizione che ritengo difficile da difendere, anche se sono riuscito ad obbligare l’altra parte ad accettare, ha capito cosa intendo.

HL: Come è stato? Le è piaciuto qualche aspetto?

YV: Oh si, tanti. Le mie peggiori paure sono state confermate, ma la situazione si è rivelata persino peggiore di quanto era immaginabile. Quindi è stato divertente, sedersi in prima fila.

HL: A cosa si riferisce?

YV: Alla completa mancanza di ogni scrupolo democratico da parte dei supposti difensori della democrazia europea. Alla chiara comprensione, dall’altra parte, di essere, analiticamente, sulla stessa linea. E ancora, vedere figure molto potenti che ti guardano negli occhi e ti dicono “hai ragione, ma noi ti schiacceremo comunque”.

HL: Lei ha detto che i creditori si sono opposti perché “ha provato a parlare di economia nell’Eurogruppo, cosa che nessuno fa”. Cos’è successo quando lo ha fatto?

YV: Non è che non è stato gradito, è che c’è stato il più totale rifiuto a discutere di argomenti economici. Un rifiuto secco. … Proponevo cose che avevo studiato a fondo – per assicurarmi di essere coerente – e mi guardavano con occhi sbarrati. Era come se non avessi parlato. Avrei potuto cantare l’inno nazionale svedese – avrei ottenuto la stessa risposta. É spaventoso, per chi come me è abituato al dibattito accademico … l’altra parte deve essere sempre interpellata. Bene, in questo caso non c’è stato affatto coinvolgimento. Non è stato nemmeno irritante, è stato come se nessuno avesse parlato.

HL: Questo atteggiamento c’è stato da quando è arrivato, all’inizio di febbraio?

YV: Ci sono state persone che si sono mostrate comprensive a livello personale, ma a porte chiuse, informalmente, soprattutto dal FMI. Ma poi all’interno dell’Eurogruppo, poche parole cortesi, tutti rintanati dentro al copione ufficiale. Ma Schäuble è stato coerente fin dall’inizio. Il suo punto punto di vista era “non ho intenzione di discutere il programma – è stato accettato dal precedente governo e non possiamo permettere che un’elezione cambi qualcosa, perché ci sono sempre elezioni, siamo 19 qui, e se ogni volta che c’è un’elezione qualcosa cambia, gli accordi tra di noi non avrebbero senso.” A quel punto mi sono dovuto alzare e replicare “forse allora non dovremmo più indire elezioni nei paesi indebitati”, non ho avuto risposta. L’unica interpretazione che posso dare del suo punto di vista è “sì, sarebbe una buona idea, ma è difficile da attuare. Quindi o firmi sulla linea tratteggiata o sei fuori”.

HL: E la Merkel?

YV: Devi capire che non ho mai avuto a che fare con la Merkel; i ministri delle Finanze parlano con i ministri delle Finanze, i primi ministri parlano coi cancellieri. L’idea che mi sono fatto è che lei era molto diversa. Ha provato a calmare Tsipras dicendogli “Troveremo una soluzione, non preoccuparti, non permetterò che accada nulla di terribile. Collabora con le istituzioni; non c’e nessun vicolo cieco qui.” Questo non è quello che ho sentito dalla mia controparte – sia il capo dell’Eurogruppo che il dottor Schäuble, entrambi sono stati molto chiari. A un certo punto, la questione mi è stata posta in maniera inequivocabile: “questo è un cavallo: o monti o sei morto.”

HL: Giusto per sapere, a quando risale questo?

YV: All’inizio, proprio all’inizio. Noi ci siamo incontrati la prima volta all’inizio di febbraio.

HL: Perché aspettare fino all’estate allora?

YV: Non avevamo alternative. Il nostro governo è stato eletto con un mandato a negoziare. Quindi, il nostro primo mandato era creare lo spazio e il tempo per avviare una trattativa e raggiungere un altro accordo. Questo era il nostro mandato – il nostro mandato era negoziare, non rovesciare il tavolo dei creditori. Le trattative sono durate tantissimo, perché l’altra parte si rifiutava di negoziare. Hanno insistito su un “accordo completo”; volevano parlare di qualsiasi cosa. Io sono dell’idea che quando si vuole parlare di qualsiasi cosa, in realtà non si vuole parlare di niente. E siamo andati avanti così. Ti faccio un esempio. Ci dicevano di aver bisogno di tutti i dati sulla situazione fiscale del paese e di tutti i dati sulle imprese statali. Così abbiamo sprecato tanto tempo cercando di consegnare tutti i dati, di rispondere a dei questionari e partecipando a incontri infiniti. Questa è stata la prima fase. Nella seconda ci hanno chiesto cosa intendevamo fare con l’IVA. Glielo dicevamo e loro rifiutavano le nostre proposte senza trovare alternative. E poi, prima che avessimo l’opportunità di trovare un accordo sull’IVA, passavano a un’altra questione, come per esempio le privatizzazioni. Ci chiedevano cosa volessimo fare sulla privatizzazione, esponevamo il nostro progetto e loro lo respingevano. Poi, ci spostavamo su un altro argomento, come le pensioni, poi passavamo a parlare dei mercati, poi dei rapporti di lavoro e di ogni altro argomento … Era come un cane che si morde la coda.

Il governo sentiva che non avrebbe potuto interrompere il processo. Il mio consiglio fin dall’inizio era questo: questo è un Paese fermo da tempo … Sicuramente abbiamo bisogno di riformare il Paese, siamo tutti d’accordo su questo. Visto che il tempo è sostanza, e dato che durante le trattative la Banca Centrale stava stringendo la liquidità delle banche greche per farci pressione, per farci soccombere, la mia proposta costante alla Troika era molto semplice: metterci d’accordo su tre o quattro riforme importanti, come il sistema fiscale e l’IVA, e implementarle subito. In cambio loro avrebbero dovuto allentare le restrizioni sulla liquidità della BCE.

Volete un accordo completo – proseguiamo le trattative – ma nel frattempo lasciateci introdurre queste riforme in Parlamento.

Ma loro dicevano “no, deve essere una revisione completa. Se osate introdurre una qualsiasi legge, le trattative saltano. Verrà considerata un’azione unilaterale ostile al conseguimento di un accordo.” E poi ovviamente pochi mesi dopo hanno fatto trapelare ai media che non avevamo riformato il Paese e che stavamo sprecando tempo! Quindi (risatina) siamo stati incastrati, in un certo senso. E’ arrivato poi il giorno in cui la liquidità è finita completamente, e siamo andati in default, o quasi, verso il FMI. Solo allora hanno fatto le loro proposte, che sono assolutamente impossibili … del tutto tossiche e inaccettabili. Hanno preso tempo poi se ne sono usciti con quel genere di proposta che si presenta quando non si vuole raggiungere un accordo.

HL: Avete provato a collaborare con i governi di altri stati indebitati?

YV: La risposta è no e la ragione è molto semplice: proprio sin dall’inizio quei Paesi hanno fatto capire molto chiaramente che sarebbero stati i peggiori nemici del nostro governo. Il loro incubo più grande era il nostro successo: se avessimo ottenuto un accordo migliore per la Grecia, questo li avrebbe distrutti politicamente. Avrebbero dovuto rispondere ai loro elettori perché non erano stati in grado di contrattare come noi.

HL: E la partnership con i partiti amici, come Podemos?

YV: Abbiamo sempre avuto un buon rapporto con loro, ma non c’è nulla che possano fare – la loro voce non potrebbe mai penetrare nell’Eurogruppo. Infatti, più parlavano in nostro favore, come hanno fatto, più il loro ministro delle Finanze diventava ostile nei nostri riguardi.

HL: E George Osborne? Quali erano i suoi rapporti con lui?

YV: Molto buoni, eccezionali. Ma lui sta fuori dalla spirale, sta fuori dall’Eurogruppo. Quando abbiamo parlato in diverse occasioni c’è stata molta empatia. E infatti se leggete il Telegraph, i più grandi sostenitori della nostra causa sono stati i Tories, per via del loro euroscetticismo, eh … non è solo euroscetticismo; è una visione Burkiana della sovranità del Parlamento – nel nostro caso era molto chiaro che il nostro Parlamento veniva trattato come spazzatura.

HL: Qual è il problema principale nel funzionamento dell’Eurogruppo?

YV: (per semplificare …) C’è stato un momento in cui il Presidente dell’Eurogruppo ha deciso di agire contro di noi e ci ha di fatto cacciato via, facendo sapere che la Grecia stava uscendo dall’Eurozona … C’è una convenzione per cui i comunicati devono essere unanimi, e il Presidente non può fissare un incontro dell’Eurozona, escludendo uno stato membro. Egli ha detto “sono sicuro di poterlo fare.” Pertanto ho chiesto un parere legale che ha creato un po’ di confusione. Per circa 5-10 minuti l’incontro è stato interrotto. Impiegati e funzionari parlavano tra di loro, al telefono, e alla fine uno di loro, un esperto legale, si è rivolto a me pronunciando le seguenti parole “Allora, l’Eurogruppo non esiste per la legge; non ci sono trattati stipulati da questo gruppo.”

Quindi, quello che abbiamo è un gruppo inesistente che ha il potere più grande di determinare la vita degli europei. Non risponde a nessuno, dato che non esiste legalmente, non ci sono minute dei suoi incontri e agisce in maniera riservata. Nessun cittadino saprà mai cosa accade al suo interno … Vengono prese decisioni di vita e di morte, e i membri non rispondono a nessuno.

HL: E il gruppo è controllato da attitudini tedesche?

YV: In tutto e per tutto. Non da attitudini, ma dal ministro delle Finanze della Germania. Egli è il direttore di un’orchestra ben accordata. Se l’orchestra stona, allora lui interviene e la rimette in riga.

HL: Non ci sono contrappesi all’interno del gruppo? Può la Francia contrastare quel potere?

YV: Solo il ministro delle Finanze francese ha contestato la linea tedesca, ma la sua voce è stata molto sottile. Ha sempre dovuto usare un linguaggio molto corretto, per non essere visto come oppositore. E alla fine, quando il dottor Schäuble ha tracciato la linea ufficiale, il ministro delle Finanze francese l’ha sempre accettata.

HL: Parliamo del suo background teorico, e dell’articolo su Marx nel 2013, quando ha detto:L’uscita dall’Eurozona della Grecia o del Portogallo o dell’Italia porterebbe presto a una frammentazione del capitalismo europeo, creando una regione dal surplus gravemente recessivo a est del Reno e a Nord delle Alpi, mentre il resto dell’Europa sarebbe in preda a una violenta stagflazione. Chi pensate che beneficerebbe da questo sviluppo? Una sinistra progressista, che nascerà come la fenice dalle ceneri delle istituzioni pubbliche europee? O i nazisti di Alba Dorata, i vari neofascisti, gli xenofobi e i trafficoni? Non ho assolutamente dubbi su quale dei due ne uscirà meglio dalla disintegrazione dell’Eurozona.” Quindi pensa ancora che un’uscita della Grecia favorirebbe inevitabilmente Alba Dorata?

YV: Dunque, io non credo a versioni deterministiche della storia. Syriza ora è una forza dominante. Se riusciremo ad uscire uniti da questo caos, e gestire in modo appropriato l’uscita della Grecia … sarà possibile avere un’alternativa. Ma non sono sicuro che ci riusciremo, perché gestire il collasso di un’unione monetaria richiede grandi competenze, e non sono sicuro che qui in Grecia l’abbiamo senza aiuti esterni.

HL: Deve aver pensato all’uscita della Grecia fin dal primo giorno …

YV: Sì, certamente.

HL: … sono stati fatti dei preparativi?

YV: La risposta è sì e no. Abbiamo un piccolo gruppo, un “gabinetto di guerra” nel ministero, composto da cinque persone: così abbiamo lavorato provando a calcolare, sulla carta, tutto quello che doveva essere fatto in caso di uscita della Grecia. Ma una cosa è farlo a livello di 4-5 persone, ben diverso è preparare il Paese a quell’eventualità. Per preparare il Paese, deve essere presa una decisione esecutiva, che non è mai stata presa.

HL: E la settimana scorsa, la Grexit è stata una decisione per la quale eravate propensi?

YV: Secondo me, avremmo dovuto fare molta attenzione a non attivare questo meccanismo. Non volevo che diventasse una profezia che si autoavvera. Non volevo che questo caso fosse come la famosa massima di Nietzsche secondo cui se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te. Ma credo che nel momento in cui l’Eurogruppo ha chiuso le banche, avremmo dovuto stimolare questo processo.

HL: Quindi, per quel che posso capire, c’erano due opzioni – un’immediata uscita della Grecia o stampare IOU, una moneta parallela, e prendere il controllo della Banca di Grecia?

YV: Esatto. Non ho mai creduto di dover introdurre una nuova moneta. Il mio punto di vista – espresso al governo – era che se avessero chiuso le nostre banche, cosa che ritenevo essere una mossa aggressiva di incredibile potenza, avremmo dovuto rispondere aggressivamente ma senza oltrepassare il punto di non ritorno.

Avremmo dovuto emettere le nostre IOU, o almeno annunciare che eravamo intenzionati a farlo; tagliare il debito greco detenuto dalla BCE o almeno annunciare che eravamo intenzionati a farlo; prendere il controllo della Banca di Grecia. Queste erano le tre cose che avremmo dovuto attuare se la BCE avesse chiuso le nostre banche.… Ho avvisato il Gabinetto che la BCE avrebbe chiuso le nostre banche per un mese, al fine di costringerci a un accordo umiliante. Quando questo si è verificato – e molti miei colleghi non potevano crederci – le mie raccomandazioni di rispondere “energicamente” furono respinte.

HL: E quanto vicini ci siete arrivati?

YV: Allora, su sei persone, eravamo una minoranza di due. … Quindi ho ricevuto l’ordine di chiudere le banche con il consenso della BCE e della Banca di Grecia. Io ero contrario, ma l’ho fatto comunque perché sono un giocatore di squadra e credo nella responsabilità collettiva. Poi c’è stato il referendum, che ci ha dato una spinta incredibile, una di quelle che avrebbe giustificato questo tipo di risposta energica contro la BCE. Ma poi proprio quella notte il governo ha deciso che la volontà del popolo, che quel clamoroso “No”, non avrebbe dovuto essere il carburante di una risposta energica. Avrebbe dovuto invece portare a maggiori concessioni alla controparte: l’incontro del Consiglio dei leader politici con il Primo Ministro che accetta la premessa per cui qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa faccia la controparte, noi non reagiremo mai in modo da sfidarli. Essenzialmente questo significa piegarsi … smettere di negoziare.

HL: Quindi lei non spera che questo accordo sia migliore di quello della settimana scorsa? Pensa che sia peggiore?

YV: In ogni caso sarà peggiore. Io confido e spero che il nostro governo insista sulla ristrutturazione del debito ma non riesco a capire come il ministro delle finanze tedesco possa mai firmare un accordo del genere nella prossima riunione dell’Eurogruppo. Se lo fa, sarà un miracolo.

HL: Esattamente – questo perché, come ha spiegato, la vostra influenza a questo punto è venuta meno?

YV: Penso di sì. A meno che Schäuble non prenda ordini diversi dalla Cancelliera. Resta da vedere, se lei si muoverà in questa direzione.

HL: Cambiando argomento, potrebbe spiegare in parole povere ai nostri lettori le sue obiezioni al “Capitale” di Piketty?

YV: Allora, innanzitutto lasciami dire che mi sento in imbarazzo perché Piketty è stato di grande aiuto a me e al governo, e io sono stato un critico terribile nei suoi confronti nella mia recensione del suo libro! Ho molto apprezzato la sua posizione durante gli ultimi mesi, e ho intenzione di dirglielo quando lo incontrerò a settembre. Ma la mia critica al suo libro resta in piedi. Il suo punto di vista è corretto. La sua avversione per la disuguaglianza… A mio avviso però nel suo libro usa un modello neoclassico dell’economia che gli lascia poco spazio per costruire l’argomento a cui tiene, e deve quindi inserire nel modello parametri molto specifici, indebolendo l’insieme del suo ragionamento. In altre parole, se mi opponessi alla sua tesi secondo cui la disuguaglianza è congenita al capitalismo riuscirei a smontarla attaccando la sua analisi.

HL: Non voglio entrare troppo nel dettaglio, perché questo non ci fa avvicinare alla fine …

YV: Sì …

HL: ma si tratta della sua misurazione della ricchezza?

YV: Sì, Piketty usa una definizione di capitale che rende impossibile capire cosa sia il capitale – quindi è una contraddizione di termini.

HL: Torniamo alla crisi. Non capisco molto il suo rapporto con Tsipras …

YV: Lo conosco dalla fine del 2010. All’epoca ero un critico illustre del governo, nonostante fossi stato vicino al governo in passato. Ero vicino alla famiglia Papandreou – in un certo senso lo sono ancora – ma diventai famoso quando dissi “stiamo fingendo che non si arriverà alla bancarotta, stiamo provando a coprirla con nuovi prestiti insostenibili.” Allora, Tsipras era un leader molto giovane che cercava di capire cosa stesse accadendo, cosa avesse causato la crisi e quale posizione avrebbe dovuto prendere.

HL: C’è stato un primo incontro che ricorda?

YV: Oh sì. Era la fine del 2010, andammo in un bar, eravamo in tre. Mi ricordo che all’epoca non era chiaro quali fossero le sue opinioni, sulla dracma vs. l’euro e sulle cause della crisi. Io invece sapevo molto bene cosa stava accadendo. Così è iniziato un dialogo che è rimasto aperto per anni e che credo abbia contribuito a formare la sua posizione su quello che si sarebbe dovuto fare.

HL: Come si sente ora, dopo quattro anni e mezzo, a non lavorare più a fianco di Tsipras?

YV: In realtà mi sento molto vicino a lui. La nostra separazione è stata estremamente amichevole. Non c’è mai stato un serio problema tra di noi, mai, fino ad oggi. E sono estremamente vicino a Euclid Tsakalotos (il nuovo ministro delle Finanze).

HL: E presumibilmente lei ha parlato con entrambi questa settimana?

YV: Non parlo con il Primo Ministro da un paio di giorni ma con Euclid sì, lui mi è molto vicino e viceversa; non lo invidio affatto.

HL: Sarebbe sconvolto se Tsipras si dimettesse?

YV: Niente mi sconvolge in questi giorni. La nostra Eurozona è un posto molto inospitale per le persone perbene. Non mi sorprenderebbe nemmeno se restasse ed accettasse un pessimo accordo. Capisco che egli sente di avere un obbligo nei confronti del popolo che lo sostiene, che ci sostiene: non lasciare che questo paese diventi uno stato fallito. Ma non ho intenzione di tradire il mio punto di vista, perfezionato nel 2010, per il quale questo paese deve smettere di fare finta di nulla, deve smettere di prendere nuovi prestiti fingendo di aver risolto il problema, quando non è così. Abbiamo reso il nostro debito ancora più insostenibile, a causa delle condizioni di austerità che contraggono ulteriormente l’economia, e spostano il carico su chi non ha nulla, creando una crisi umanitaria. È qualcosa che non intendo accettare e di cui non intendo far parte.

HL: Ultima domanda – rimarrà vicino a qualcuno con cui ha dovuto negoziare?

YV: Uhm, non ne sono sicuro. Non ho intenzione di fare nomi ora, potrei rovinare le loro carriere!

 

 

(Traduzione di Victor Murrugarra)

 

Qui la versione in inglese dell’intervista