Chi sono i “colpevoli” della crisi greca? Quali le opzioni per il futuro governo greco? Chi pagherà le conseguenze di una eventuale uscita dall’Unione europea?
Da qualche settimana la Grecia è al centro dell’attenzione per le possibili conseguenze che la sua uscita dall’euro potrebbe avere. Le note che seguono sono poco più di un collage di alcune valutazioni che sono apparse sulla stampa internazionale a tale proposito.
I colpevoli della crisi
Chi sono i principali responsabili della crisi? Il team economico del Guardian (Economics blog, 2012) indica quattro attori, tutti coinvolti sia nel boom del paese che, poi, nelle difficoltà. Il primo colpevole viene indicato nei vari governi che, desiderosi di far avanzare l’economia, hanno spinto all’accumulo di un enorme debito e non hanno contrastato una drammatica perdita di competitività, nascondendo le vere cifre dei deficit di bilancio e dei livelli di indebitamento.
Un secondo personaggio è costituito dai mercati internazionali, che hanno irresponsabilmente prestato somme enormi al paese. Ma quando è risultato chiaro che il debito era arrivato a livelli assurdi, hanno provato a rimandare il giorno del giudizio, cercando di coprirsi in tutti i modi e aumentando le difficoltà del paese. Ma i primi due attori non hanno agito nel vuoto. Dietro di loro, l’eurozona non aveva norme e istituzioni adeguate. I governi europei, poi, non hanno cooperato per una risposta adeguata ai problemi. Infine, bisogna ricordare il ruolo del Fondo monetario internazionale che non ha agito in alcun modo per contribuire a governare la questione. I quattro attori citati se la caveranno in molti modi, lasciando invece nei guai le vere vittime, i greci meno agiati, la cui situazione continuerà a peggiorare negli anni che verranno, mentre il loro lavoro e i loro risparmi continueranno ad evaporare.
Le ipotesi in campo
W. Munchau (Munchau, 2012) analizza le quattro principali opzioni che si presentano oggi alla Grecia. La prima sarebbe quella di accettare una maggiore dose di austerità e di “riforme” come richiesto dal Fmi e dall’Ue, che esigono altri 11 miliardi di tagli alla spesa pubblica. Un rischio di tale opzione sarebbe quello, dice l’autore, di mantenere la Grecia in uno stato di depressione permanente e nella trappola del debito; ma certamente tale scelta non sarebbe sostenibile sul fronte politico e non appare comunque razionale.
La seconda sarebbe quella di proseguire con il piano citato soltanto sino a quando il paese raggiungesse un attivo primario e a questo punto fare default o rinegoziare il programma con Ue e l’Fmi. C’è comunque il rischio che anche tale opzione sia politicamente insostenibile.
La terza è quella delineata dal leader di Syriza, A. Tsipras, che vuole che la Grecia, senza uscire dall’euro, cancelli subito il programma di austerità, rovesci alcune delle riforme avviate – bloccando tra l’altro i licenziamenti nel settore pubblico e aumentando i salari – e consideri la possibilità di un default sul debito residuo; a questo proposito Tsipras sostiene che l’Ue negozierebbe sui termini sopra indicati, perché essa non ha alcun interesse a spingere la Grecia fuori dall’euro. Ma si tratta di una scommessa, afferma Munchau.
La quarta sarebbe infine quella di una uscita volontaria e immediata dal sistema.
L’autore esclude la prima opzione come la peggiore e inclina piuttosto per la seconda, mentre per quanto riguarda la terza, pur manifestando qualche simpatia in proposito, la giudica come troppo rischiosa.
Le conseguenze per la Grecia
Seguiamo in proposito due articoli comparsi rispettivamente sul Wall Street Journal (Smith, Stevis, Bouras, 2012) e sul Financial Times (Giles, Spiegel, Hope, 2012). Il ritorno alla dracma comporterebbe una svalutazione di tale moneta rispetto all’euro sulla cui percentuale i pareri sono diversi; il WSJ ricorda che in casi recenti la caduta si è aggirata intorno al 60-70%, anche se i confronti sono difficili per la diversità delle situazioni. Il FT, più prudentemente, ricorda che per stabilizzare il debito greco a un livello tale da evitare ulteriori fughe di capitali sarebbe necessaria tra l’altro una svalutazione del 50% verso la Germania. Diversi articoli, oltre a quelli citati, ricordano che i vantaggi della svalutazione sulle esportazioni del paese potrebbero essere presto vanificati dall’inflazione; qualcuno pensa che raggiungerà il 20% annuo, qualcuno anche il 40% o perfino il 50%.
Il ritorno alla dracma comporterebbe la conseguenza che tutti i contratti domestici dovrebbero essere ridenominati nella nuova moneta; si imporrebbero, presumibilmente, controlli dei cambi e altre misure per limitare le fughe dei capitali (FT). Fissare i nuovi termini finanziari per i contratti in euro con partner esteri diventerebbe un incubo. Le imprese, incapaci di trovare delle fonti di finanziamento e di incassare la gran parte dei loro crediti verso altre imprese nazionali, fallirebbero su larga scala. Per quanto riguarda le banche, già tecnicamente insolventi per le forti perdite sui titoli di stato, non potrebbero avere soldi in prestito dalla Bce, dato che i titoli del debito pubblico greco non sarebbero più spendibili. Esse sarebbero necessariamente nazionalizzate. Il Pil potrebbe crollare del 20% in un anno e il rapporto debito/Pil raggiungere il 200%. Il popolo greco assisterebbe a un diffondersi incontrollato della povertà.
Rispetto a questo scenario catastrofico, qualche voce appare più ottimistica. Così per Subramanian (Subramanian, 2012) l’uscita dall’euro, dopo un periodo di difficoltà, potrebbe mettere in moto un processo di aggiustamento che, in particolare grazie al deprezzamento del cambio, potrebbe presto re-indirizzare l’economia verso un sentiero di crescita.
Le conseguenze per il resto del mondo
Gli effetti di contagio sarebbero per molti devastanti, come ci ricorda un articolo del New York Times (Thomas jr., 2012); lo scenario peggiore sarebbe quello che la Grecia lasci l’euro mentre il sistema bancario spagnolo sta collassando. Comunque, potrebbero rilevarsi non adeguati i sistemi di contenimento del contagio. Il fondo salva stati, che oggi ammonta a 500 miliardi di euro, non sarebbe sufficiente a governare i due eventi; ovviamente esso sarebbe del tutto molto inferiore alle necessità se si aprisse anche il problema italiano.
Uno scenario parallelo evocato da molti è un bank run in diversi paesi europei del sud. I depositi bancari di Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda sono pari a 5,5 trilioni di dollari, sette volte tanto il fondo salva stati. Si stima che le banche di questi paesi potrebbero perdere rapidamente qualche centinaia di miliardi di euro di depositi. L’unico rimedio a breve sarebbe quello che la Bce faccia nuovi prestiti; una garanzia più strutturale sarebbe quella che l’Europa garantisca i depositi bancari dei paesi a rischio. Ma ci si può chiedere se i contribuenti del nord sarebbero disponibili a garantire il sistema bancario spagnolo e italiano. Intanto le imprese potrebbero registrare una rilevante contrazione del credito.
In sintesi, come ci ricorda il FT, l’eurozona potrebbe avere gli strumenti per limitare il contagio, ma è molto incerto come si comporterà. Se non lo facesse, la fine dell’euro sarebbe vicina. Su questo punto, M. Wolf (Wolf, 2012) sottolinea come un’uscita della Grecia dall’euro avrebbe come conseguenza la caduta dell’illusione che nessun paese si sarebbe chiamato fuori e comincerebbero a dubitare fortemente della sopravvivenza del sistema, con tutte le conseguenze del caso. L’uscita della Grecia porrebbe quindi la scelta tra un’unione più forte e un futuro di crisi senza fine. Il WSJ ricorda una stima dell’Institute of International Finance che valuta i costi dell’uscita dall’euro in 1 trilione di euro.
L’Economist va più in dettaglio (Economist, 2012) e valuta i costi diretti. Intanto la Banca centrale greca è debitrice verso le altre banche centrali di circa 100 miliardi di euro, la Bce registrerebbe delle perdite sui 56 miliardi di euro di titoli di stato ellenici che ha comprato sul mercato secondario; il fondo monetario ha prestato 22 miliardi; il paesi europei hanno poi sborsato fondi per 161 miliardi. Anche dopo le perdite già registrate, le banche europee e altri investitori possiedono ancora titoli del paese per un valore nominale di 55 miliardi di euro. Le banche internazionali sono poi creditrici per 69 miliardi di dollari verso le imprese e le famiglie greche. Di tutti questi importi non è chiaro quanto si perderebbe realmente. Se non si riuscisse a delimitare il contagio, le cose si metterebbero male anche sul piano dell’economia reale. Si verificherebbe comunque un crollo nella fiducia; si registrerebbero riduzioni di consumi, investimenti, esportazioni, con caduta del Pil dei vari paesi. Evitiamo, per mancanza di spazio, di evocare le possibili conseguenze del default sull’economia dei paesi extra-europei.
Conclusioni
La gran parte dei commentatori pensa che una sua uscita dall’euro comporterebbe gravi problemi oltre che alla Grecia anche agli altri stati europei e all’economia mondiale, anche se appare difficile delineare con una certa precisione le conseguenze. A nostro parere, la soluzione più ragionevole sarebbe più o meno quella delineata da Syriza: rinegoziare i termini dell’accordo e allentare la stretta sul paese. I problemi veri dell’attuale situazione sono, peraltro, da una parte di tipo politico, dall’altra di competitività dei paesi del Sud Europa.
L’euro, sottolinea Rachman (Rachman, 2012), non ha dietro di se un’unione politica e perciò manca delle istituzioni necessarie perché l’unione monetaria funzioni. Non vi è un forte governo centrale in grado di far rispettare la disciplina di bilancio, né un bilancio federale tale da finanziare i trasferimenti di risorse dalle aree ricche a quelle povere. Di conseguenza, l’unica via per risolvere la situazione sarebbe quella di programmare una integrazione politica più stringente. D’altro canto, Keegan (Keegan, 2012) ci ricorda che sia che l’euro resti in piedi, sia che esso crolli, i rilevanti squilibri esistenti nel commercio tra i vari paesi europei e le rilevanti differenze di competitività continueranno a causare dei problemi importanti nei prossimi anni. Varata un’unione politica, allora si potrebbero mettere in campo misure di governo dei problemi finanziari e di rilancio degli investimenti, attraverso meccanismi quali il rafforzamento dell’operatività della Bce, gli eurobond, l’ampliamento del capitale della Bei (Banca europea per gli investimenti), il potenziamento dei fondi strutturali, un piano straordinario per il Sud, ecc..
Testi citati nell’articolo
-Economics blog from the Guardian’s economics team, Who is to blame for Greece’s crisis?, www.guardian.co.uk, 18 maggio 2012
-Giles C., Spiegel P., Hope K., Eurozone: if Greece goes…, www.ft.com, 13 maggio 2012
-Keegan W., Saving the euro won’t solve the crisis. Losing it won’t either, www.guardian.co.uk, 20 maggio 2012
-Munchau W., Default now or default later?, www.ft.com, 13 maggio 2012
-Rachman G., Time to plan a velvet divorce from the euro, www.ft.com, 21 maggio 2012
-Smith G. T., Stevis M., Bouras S., Hazardous greek-exit scenario, www.wsj.com, 14 maggio 2012
-Subramanian A., Greece’s exit may become the euro’s envy, www.ft.com, 14 maggio 2012
-The Economist, Exodus, chapter 1, 19 maggio 2012
-Thomas jr. L., Europe’s worst fear: Spain and Greece spiral down together, www.nyt.com, 20 maggio 2012
-Wolf M., A permanent precedent, www.ft.com, 17 maggio 2012