Con il piano per gli aeroporti del Ministero per lo Sviluppo abbiamo un esempio delle politiche per l’economia reale che progetta il governo Monti: nessuna scelta strategica, restano gli scali inutili e gli enti locali pagano il conto
Il piano per gli aeroporti elaborato dal Ministero per lo Sviluppo e anticipato da Repubblica nei giorni scorsi è il primo tentativo da parte del governo Monti di cimentarsi con l’economia reale. Non che non sia reale mandare in pensione otto anni più tardi I cittadini o introdurre nuove tasse ma questo è il primo piano con il quale questo governo intende intervenire sui meccanismi della economia non finanziaria e sui conti dello stato. Oltre al merito è pertanto interessante analizzarlo per capire gli orientamenti di fondo, i criteri, le linee guida che questo pezzo della classe dirigente del paese intende seguire per garantire il mitico sviluppo. Consideriamolo un test.
Il piano definisce strategici 32 aeroporti mentre il resto li declassa ad aeroporti di interesse strettamente locale da dare in gestione agli enti locali. Tra quelli strategici troviamo Cuneo, Viterbo che oltre ad essere a 50 km da Roma necessita oltre un miliardo e mezzo di investimenti per realizzarlo, Pescara dove oggi atterrano 10 aerei al giorno, Montichiari, che dista 60 km da Bergamo e 40 da Verona e che dovrebbe avere una prevalenza di scalo merci, Treviso, che dista 30 km da quello di Venezia, a sua volta definito aeroporto intercontinentale e chiave per l’oriente, Ancona che ha nove voli giornalieri ed altrettanti intersettimanali, Perugia con tre voli giornalieri ed un certo numero intersettimanali. Lo scorso anno a Perugia hanno fatto scalo 175. 000 persone, 480 al giorno.
Definiti non strategici e da declassare nella gestione tutta a carico degli enti locali troviamo ad esempio Albenga, in realtà chiuso da tempo, Aosta, chiuso da due anni di proprietà della regione Valle d’Aosta che ha a sua volta ha 24 contenziosi legali con la società di gestione e in perenne ristrutturazione, Siena, Fano, in realtà poco più di un aeroclub, Foggia, che è rimasto chiuso alcuni mesi all’inizio dell’anno per il ritiro della compagnia low cost che faceva servizio. La distinzione tra aeroporti strategici e non non si basa sulla proprietà. Tutti gli aeroporti italiani sono di proprietà degli enti locali. Lo è stata fin qui Malpensa lo sono Bergamo, Verona, Bolzano, Olbia, Perugia, e via dicendo. Ogni qualvolta, cioè abbastanza spesso, le perdite impongono la ricapitalizzazione sono le regioni, le provincie o i comuni ad intervenire. Quindi queste strutture sono a carico del contribuente. Difficile parlare di razionalizzazione nel piano del ministero. Sull’asse della autostrada Torino Trieste, poco più di 500 km continueranno ad insistere 9 aeroporti, uno ogni 56 km. I passeggeri per quest’anno dovrebbero essere circa 48 milioni, con Malpensa e Venezia che insieme ne fanno 29.
Se poi guardiamo le rilevazioni statistiche scopriamo che l’ENAC censisce solo 40 aeroporti operativi. Il più importante è Fiumicino con 36 milioni di passeggeri, il più piccolo è Siena con meno di 5.000.
Ora l’annuncio di un taglio del 50% non trova riscontro nella realtà. Appare una boutade propagandistica perché nel presunto conto sono finiti anche gli aeroclub. Gli aeroporti reali sono 40 il piano ne definisce strategici 32.
È possibile razionalizzare? È possibile superare la logica frazionistica che ha caratterizzato il sistema del trasporto aereo in Italia? Misure immediate possono essere prese se si guarda l’esperienza di questi anni. Nell’estate del 2011 Treviso ha chiuso per lavori. Venezia ha assorbito completamente il traffico e gli aerei con destinazione Treviso ma atterrati a Venezia hanno persino incrementato i passeggeri. Praticamente c’è chi ha utilizzato quelle linee aeree per raggiungere la città lagunare. Nessuno ci ha perso. Perché allora mettere in cantiere due nuovi aeroporti, Viterbo e Salerno, potenziare Cuneo che oggi ha 225.000 passeggeri, 600 al giorno, voler sviluppare Montichiari per un traffico merci in concorrenza di nuovo con Malpensa?
Abbiamo poi le previsioni per il futuro. Ovviamente si parla di grande incremento del traffico aereo, solo cosi si può sostenere un programma che include nuovi aeroporti ma fanno specie i numeri, soprattutto quello di Malpensa. Quest’anno l’aeroporto milanese avrà circa 17 milioni di passeggeri. Dieci in meno del suo anno più brillante. Nel piano ministeriale ne avrà 46 milioni nel 2030. Tre volte tanti quelli di oggi. Su Malpensa siamo abituati alle sparate. Sono sempre state funzionali a gonfiare i costi e gli investimenti perché i soldi si fanno con la spesa pubblica e non con l’esercizio degli aeroporti. Nel 1972 il primo piano per l’ampliamento dell’aeroporto prevedeva 40 milioni di passeggeri nel 2000. Sappiamo come è andata.
L’approccio del ministero di Passera non contiene niente di nuovo. Aggredire il sistema aeroportuale italiano vuol dire scontrarsi con una miriade di interessi locali fortissimi. Il fatto che le province, quelle che si voglio abolire, siano spesso le proprietarie degli aeroporti, e così gli enti locali in generale, ha prodotto un intreccio formidabile tra ceto politico e imprenditoria del settore. Sia nelle grandi che nelle piccole cose. Nelle opere di ampliamento, in quelle di manutenzione, nei servizi a terra e cosi via. Spezzare questo intreccio richiede non solo una visione ma una forza che questo governo sembra non avere. Il piano Passera rischia di passare perché non fa del male a nessuno.