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Gas, debiti, guerre e dis-integrazione europea

Con la guerra la politica energetica Ue sta mostrando i suoi limiti. La Commissione, non coordinando la corsa dei governi alle forniture, favorisce il rialzo dei prezzi. Il mercato olandese, deregolamentato, agevola il capital gain. Gli Usa ci guadagnano vendendo Gnl a prezzi non calmierati. Incombe una bolla speculativa.

La guerra in Ucraina dopo otto mesi di ostilità e di continue escalation sta modificando profondamente l’assetto dell’Unione Europea e la politica energetica e ambientale dell’intero continente. Un’intera generazione di infrastrutture che collegano la Russia con l’Europa centrale sono prossime alla rottamazione assieme agli equilibri interni all’Unione Europea.

Fin dai primi giorni del conflitto, la Nato ha oscurato il ruolo dell’Unione Europea, tentennante tra le sanzioni da adottare e i compromessi da raggiungere tra i paesi membri. I paesi membri dell’Unione hanno trovato coesione solo nella corsa al riarmo con aumenti vertiginosi delle spese militari senza grande cura degli equilibri di bilancio pubblico.

Sul versante della politica energetica e sul coordinamento delle sanzioni la Commissione è stata incerta dal primo giorno di guerra. Il timore di perdere l’oro blu russo e gli interessi nazionali sono riemersi rapidamente creando i presupposti per una nuova stagione di tensioni tra i paesi membri.

La dipendenza dal gas russo scaturisce dalle scelte compiute a seguito della caduta del muro di Berlino. L’Olanda, unico paese esportatore di gas in Europa negli anni ha ridotto drasticamente la produzione di gas del giacimento di Groningen a causa dei terremoti dovuti alle attività di estrazione e, assieme alle modeste produzioni nazionali di altri paesi europei, non può sopperire al venire meno del gas russo. La partnership Germania-Russia, chiave dell’egemonia continentale tedesca post-riunificazione e fattore di crescita del prodotto russo dall’inizio secolo è giunta alla fine lasciando incertezza su quali saranno le nuove vie del gas. L’Italia potrebbe diventare il principale snodo del gas in Europa grazie alla ricchezza di gasdotti e di fornitori dall’Africa e dall’Asia realizzando dopo decenni le visioni di Enrico Mattei. Questa prospettiva potrebbe destabilizzare l’egemonia politica dei paesi frugali, Germania in testa, che potrebbero tornare rapidamente ad anteporre i propri interessi nazionali alla piena integrazione europea e utilizzando il debito pubblico dei paesi del mediterraneo come deterrente. 

La mancanza di una strategia comune per la messa in sicurezza delle forniture di gas in caso di eventi eccezionali rappresenta una vulnerabilità. La politica energetica liberista europea, invece di integrare i paesi, sta portando maggiore incertezza legando il benessere delle persone e la competitività delle imprese a una combinazione di mercato e finanza che stanno trascinando il continente in una spirale depressiva e inflazionistica. 

La complessità dei mercati del gas e dell’elettricità, integrati tra loro, e la finanza hanno condotto a una rincorsa sui prezzi già nel 2021 con effetti nefasti sull’economia. Con il liberismo europeo la formazione dei prezzi, la scelta dei fornitori, sia a monte, negli scambi tra i grossisti, sia a valle, nei contratti di fornitura finali, è diventato il modello dominante. Lo smantellamento delle tariffe di tutela per le famiglie e le imprese ha avuto ad oggi effetti incerti nonostante la natura di monopolio naturale di tale mercato.

Dal 2003 la finanziarizzazione degli scambi per il mercato all’ingrosso del gas ha trovato nel mercato olandese (Title Transfer Facility, TTF) il luogo ideale in un sistema completamente deregolamentato in cui non accedono esclusivamente i grossisti del gas ma soprattutto i fondi di investimento, che realizzano profitti dal commercio dei contratti future assieme alle casse pubbliche olandesi per la tassazione del capital gain. L’esclusione di meccanismi correttivi nelle crisi come la sospensione delle quotazioni temporanee per eccesso di rialzo e tutti gli scambi ha lasciati alla domanda e offerta virtuale di gas il compito di fare i prezzi (e regalare gli extra-profitti ai fondi di investimento).

Oggi siamo in una situazione simile a quella dei barili di carta riscontrata sul mercato petrolifero alla vigilia della grande recessione del 2008: i rialzi del greggio provenivano dalla speculazione sui futures con scambi giornalieri che erano multipli di quelli necessari per le operazioni di copertura del mercato reale. La finanza ne beneficia per realizzare corposi profitti esattamente come per i mutui sub-prime che hanno fatto sprofondare il pianeta in una delle peggiori recessioni economiche della storia.

Al fattore finanza se ne deve aggiungere un altro: come la dipendenza dal gas russo non sia omogenea, né per combinazione dei mix energetici, né per il suo utilizzo finale. I 169 miliardi di metri cubi di gas russo su un totale di oltre 440 miliardi di metri cubi consumati in tutta Europa si ripartisce in maniera diseguale tra i paesi con l’Europa orientale, dipendente quasi al 100% da tale risorse. Nel 2019 in Germania e Italia la dipendenza dal gas russo si posiziona su percentuali elevate: circa il 48% e il 38%, ma con una profonda differenza sull’utilizzo finale. In Germania il gas viene utilizzato moltissimo per il riscaldamento e in percentuali assai minori per la produzione di energia elettrica, grazie al peso delle rinnovabili. In Italia la metà dell’energia elettrica viene prodotta tramite il gas. Secondo l’IEA, International Energy Agency, nel periodo marzo 2021 – marzo 2022, 50,4% dell’energia elettrica viene prodotta da centrali a gas, in Germania e Francia tale percentuale scende al 14,4% e al 6%. Nonostante la quota di gas russo in Italia stia scendendo rapidamente, il maggior prezzo del gas sul mercato di riferimento con la liberalizzazione si trasferisce sulle famiglie e le imprese con rincari maggiori del resto degli altri paesi con uno spread del costo del kilowattora rispetto i principali partner europei che ne riduce la competitività e alimenta l’inflazione. 

Gli Stati Uniti, fin da subito sponsor per l’invio di armi in Ucraina, stanno riscuotendo ampi benefici dalla guerra in diversi ambiti. I produttori americani dell’ecologico shale gas e gli armatori totalizzano ricchi profitti grazie a un mercato europeo in cui il gas viene ceduto a un prezzo assai maggiore di quello americano, l’industria delle armi sta ricevendo nuovi ordinativi sia dal governo americano sia dai paesi europei spinti nella corsa al riarmo, la politica estera americana è diventata egemone rispetto a quella europea sempre più incerta nonostante il rischio di un conflitto nucleare sul proprio continente. Gli Stati Uniti non hanno nemmeno dovuto garantire forniture di gas liquefatto a prezzi calmierati ai partner europei.

Con la guerra la politica energetica europea sta mostrando i suoi limiti. La stessa Commissione europea, non coordinando la corsa dei singoli governi ad accaparrarsi nuovi contratti di fornitura da altri produttori assieme alla richiesta di aumentare gli stoccaggi, ha favorito involontariamente il rialzo dei prezzi. I paesi europei hanno bloccato i propositi di abbandono delle vecchie fonti fossili e dell’energia nucleare per sopperire alla eventuale chiusura definitiva del gas russo con un rallentamento della transizione ecologica. Lo stesso price cap è arrivato in ritardo senza trovare un consenso unanime a causa del ritorno degli interessi nazionali in paesi come la stessa Germania. Tale approccio si nota negli interventi di sostegno per le famiglie e le imprese lasciati ai governi nazionali con la Germania e l’Olanda, i paesi frugali, che sfruttano i margini ancora ampi sui loro bilanci pubblici e i paesi del Mediterraneo che si trovano difronte alla scelta tra sostenibilità del debito e interventi di sostegno. La tassazione degli extra-profitti delle società energetiche è una soluzione parziale, ma non in grado di intercettare gli extra-profitti dei fondi di investimento, degli armatori delle metaniere e dei produttori di gas americani. 

L’inverno si preannuncia assai difficile con la recessione alle porte e potrebbe favorire un ritorno dei movimenti nazionalisti e identitari minando la sopravvivenza dell’Unione Europea come è oggi. Inoltre la bolla del gas potrebbe esplodere da un giorno all’altro con una caduta verticale dei prezzi e ulteriori problemi sulle scelte strategiche di investimento infrastrutturale e di investimento con nuove turbolenze per l’economia.

La coesione tra gli Stati membri è minacciata da maggiori squilibri tra paesi a basso debito, che soffrono la prospettiva di perdere le infrastrutture del gas e quelli ad alto debito, che dovranno affrontare il ritorno dell’austerità. Vent’anni di politiche energetiche con la Russia sono prossime al fallimento. L’Italia potrebbe emergere come crocevia del gas ma deve anche gestire il debito e le tentazioni nazionalistiche nel paese. 

L’unica opzione per l’Europa è la ricerca della pace e dei negoziati. La spirale inflazionistica e recessiva può essere scongiurata solo in tale direzione. Al contempo l’Unione Europea dovrebbe spingere per una maggiore integrazione dei paesi membri, invece di cedere alla facile tentazione di espandersi ad Est con i rischi di maggiori ostacoli all’integrazione e maggiore militarizzazione delle politiche comuni.