L’Europa è sempre più impopolare, la recessione colpisce l’area euro e Angela Merkel ha di fronte un nuovo partito populista. Così Bruxelles allenta l’austerità e apre a un timido cambio di stagione
La prima notizia viene da Eurobarometro: nel novembre 2012 la percentuale di chi tende a non avere fiducia nell’Europa è al 56% in Francia, al 59% in Germania, al 69% in Gran Bretagna; è al 53% in Italia, quasi raddoppiata rispetto al 2007, più che triplicata in Spagna dove arriva al 72%. La seconda viene dal Fondo monetario: nel 2013 l’area euro sarà in recessione: meno 0,3%, dopo un calo che nel 2012 è stato doppio. Mentre gli occhi sono puntati sulla politica italiana, la terza notizia viene da Berlino: alle elezioni ci sarà una nuova forza politica, Alternative für Deutschland, populista e anti-europea, che vuole il ritorno alle monete nazionali. Potrebbe non superare la soglia del 5%, ma toglierà consensi alla coalizione di governo e mette Angela Merkel di fronte alla prospettiva di perdere più voti con l’attuale ortodossia sull’austerità – che ora colpisce anche l’economia tedesca –, piuttosto che con un’attenuazione dei tagli di spesa.
Il risultato è stato un immediato, quasi imprevisto, disgelo. Annunciato dal presidente della Commissione europea José Manuel Barroso in persona: “dobbiamo avere una politica giusta” ma anche “un’accettazione, in termini politici e sociali”: è il riconoscimento che la politica di austerità ha raggiunto i suoi limiti politici. Ieri è stato un coro unanime. Il “duro” Commissario agli affari economici Olli Rehn ha ammesso che “il rallentamento del consolidamento è possibile”. Da Washington è arrivato il numero due del Fmi a chiedere all’Europa di “evitare la stagnazione”. Da Francoforte il numero due della Banca centrale europea Victor Constancio conferma che “il consolidamento di bilancio può cambiare passo e rallentare”.
Era ora. Questi cinque anni di crisi sono stati affrontati con un’ossessione ideologica fatta di idee sbagliate, conti truccati, politiche insensate – come il Fiscal compact e il pareggio di bilancio scritto nelle costituzioni. Ora, finalmente, il partito dell’austerità è stato sconfitto dalla realtà: si apre un timido cambio di stagione.
È una fortuna per il giovane Enrico Letta, che avrà margini di manovra insperati nel negoziato per un governo che mescolerà fanatici dell’austerità, tagliatori di tasse e – si spera – qualcuno che ricordi i nostri record di disoccupazione e disuguaglianze. Non è ancora un cambio di paradigma: l’orizzonte è sempre quello del mercato, i privilegi intoccabili, i vertici – dell’economia come della politica – restano gli stessi, le possibilità di scorrerie della finanza immutate. Il problema è che l’austerità non è stata sconfitta dalla politica, nel voto e nelle piazze: l’alternativa post-liberista è ancora da costruire.
Ma c’è anche un’altra lettura possibile: cinque anni di austerità hanno consumato i loro effetti: la periferia dell’Europa in ginocchio, la finanza uscita (quasi) indenne, lavoratori e sindacato piegati, il potere concentrato a Berlino. È ora che i capitali tornino a investire, le imprese a fare profitti, i politici a ottenere consensi. Il cambio di stagione potrebbero goderselo soltanto i potenti.