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Usa, espulsioni di massa: pandemia e occupazione

Negli Usa ci sono già sei milioni di persone che hanno perso il lavoro a causa della pandemia, cifra che potrebbe più che raddoppiare entro l’estate. Una disoccupazione di massa legata all’alta flessibilità del mercato del lavoro americano, con i costi della crisi sulle spalle dei lavoratori.

Are you unemployed because of the coronavirus outbreak?” – Sei disoccupato a causa dell’epidemia da coronavirus? – è la nuova campagna lanciata da The New York Times per raccogliere le voci di lavoratori disoccupati o che hanno perso ore di lavoro in risposta a Covid-19.

Il campanello d’allarme lo ha dato chiaramente il Dipartimento del Lavoro (Figura 1) segnalando un’impennata nelle richieste di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti: da 282.000 richieste (settimana del 13 marzo) a 3.283.000 (settimana del 20 marzo) – cifra rivista poi a 3.341.000 – sino ad arrivare a 6.648.000 (settimana del 28 marzo).

Si è chiuso con una media di 2.612.000 richieste di disoccupazione il mese di marzo, con un aumento di 1.607.750 rispetto alla revisione della settimana precedente. La peggiore settimana sino ad oggi era stata nel 1982, con 695.000 richieste. Ovvero quasi un decimo di quelle attuali.

Come dettaglia il Dipartimento del Lavoro, tutti gli Stati Usa hanno registrato un incremento nelle richieste di sussidio per disoccupazione. Rispetto alla settimana del 21 marzo, i più alti incrementi si registrano in Pennsylvania (+362.012), Ohio (+189.263), Massachussetts (+141.003), Texas (+139.250), California (+128.727).

Secondo Heidi Shierholz e gli economisti dell’Economic Policy Institute, questa è solo la punta dell’iceberg. La perdita sarà di 14 milioni di posti di lavoro entro l’estate. In cima alla lista California (-1.616.251), Texas (1.181.283), New York (905.038) e Florida (854.032)[1].

Figura 1. Numero di richieste di sussidio di disoccupazione (initial claim)[2]

La lettura è chiara: milioni di lavoratori sono stati lasciati a casa appena il Covid-19 ha fatto capolino. Questo è l’effetto dell’alta flessibilità del mercato del lavoro americano.

Flessibilità che ha riguardato anche il mercato del lavoro europeo, e nello specifico quello italiano, uno dei grandi protagonisti delle politiche economiche degli ultimi 30 anni. Il successo di queste politiche è rilevato dall’indice di protezione del lavoro (EPL) calcolato dall’OCSE che, per il nostro Paese, si è ridotto rapidamente nell’ultimo ventennio. La flessibilità aumenta la variabilità della distribuzione di entrate e uscite dal mercato del lavoro. Tuttavia, durante una crisi come quella che stiamo vivendo, questa può portare all’espulsione in massa dei lavoratori dalle imprese.

Per gli Stati Uniti ciò è avvenuto anche un attimo prima della crisi stessa: il cambio di aspettative rispetto al futuro prossimo ha determinato i sei milioni di richieste di sussidi. La ricezione del sussidio non è per altro automatica rispetto alla perdita del lavoro. Dipende da numerosi fattori fra i quali l’aver ricevuto un sussidio in precedenza, le caratteristiche del lavoro perso e le proprietà delle quali si dispone. Il passo verso la povertà potrebbe essere corto per molti.

I fautori della flessibilità potrebbero rispondere che questi lavoratori verranno immediatamente riassorbiti appena la crisi sarà passata. Ma sarà del tutto vero? Anche ammettendo che ci sarà un riassorbimento, quando avverrà? Quanti saranno riassorbiti? Negli stessi settori? E se la domanda non dovesse tornare ai livelli pre-crisi perché la produzione (e quindi l’occupazione) dovrebbe farlo?

Oltre ai costi diretti legati all’espulsione dal mercato del lavoro – perdita di salario – vi sono numerosi costi indiretti e di lungo termine – fra i quali il deterioramento delle conoscenze specifiche legate al lavoro svolto e l’insorgere di malattie cardiovascolari relazionate a stress psico-fisico. Ad oggi, sembrerebbe che questi costi siano scaricati interamente sul mondo del lavoro.

Note

[1] Dati disponibili per il calcolo delle proiezioni qui: https://www.epi.org/blog/states-are-projected-to-lose-more-jobs-due-to-the-coronavirus-14-million-jobs-could-be-lost-by-summer/

[2] Una richiesta iniziale (initial claim) è una richiesta presentata da un disoccupato dopo la separazione dal datore di lavoro. Il richiedente richiede la determinazione dell’idoneità per il programma UI (unemployment insurance). Il conteggio delle richieste di sussidio di disoccupazione è un indicatore economico di primo piano perché fornisce un’indicazione sullo stato del mercato del lavoro e sulle condizioni economiche del paese. Tuttavia, si tratta di dati amministrativi settimanali difficilmente destagionalizzabili, il che rende la serie soggetta a una certa volatilità.