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Draghi bifronte

Un cattolico sociale tendenzialmente progressista o un liberista fautore delle leggi spietate del mercato? Sul nuovo presidente del Consiglio circolano giudizi opposti, e la sua storia personale li giustifica entrambi. Si può cercare una chiave interpretativa, in base alla quale fare qualche ipotesi sul come guiderà il suo governo. Dal blog di Carlo Clericetti.

Un cattolico sociale, come dicono Enzo Visco e Roberto Schiattarella, che lo hanno conosciuto da vicino? Un uomo dell’austerità, che firmò la lettera col suo predecessore alla Bce Jean-Claude Trichet chiedendo all’Italia lacrime e sangue? Quello che ai greci le lacrime e il sangue ha pesantemente contribuito a farli versare, come lo accusa Yanis Varoufakis? Uno che considera sorpassato il modello sociale europeo, meno spietato del capitalismo anglosassone, come dichiarò in un’intervista al Financial Times? E magari un liberista fautore della “distruzione creatrice” schumpeteriana, secondo l’accusa di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo appena pubblicata sempre sul Financial Times?

E però Draghi è anche quello del whatever it takes, quello che Obama, quando c’era un problema serio, chiedeva “Mario che ne pensa”?. Quello che ha detto che con gli alti debiti pubblici bisogna rassegnarsi a convivere, quello che ha fatto una distinzione tra “debito buono e debito cattivo”. Quello che, solo per aver accettato l’incarico di provare a formare un governo, ha fatto scendere di colpo lo spread di una ventina di punti…

L’uomo del momento, Mario Draghi, ha molte facce. O, se si vuole semplificare, almeno due, una “buona” e una “cattiva”. Qual è quella che prevale?

Per tentare di elaborare una risposta andiamo un po’ indietro nel tempo. Nelle varie Considerazioni finali l’allora governatore di Bankitalia aveva toccato argomenti insoliti per quell’occasione, come i conflitti di interesse nel mondo della finanza, la riduzione dei costi per i risparmiatori e la loro tutela. Poi, il 25 ottobre 2007, tiene un discorso alla riunione annuale della società degli economisti e denuncia: in Italia i salari sono troppo bassi, in parità di potere d’acquisto fra il 30 e il 40% inferiori rispetto a Francia, Germania e Regno Unito. E la crescita dei consumi, continua, “è fondamentale” per la crescita del Pil. Accipicchia, pensano in tanti, Draghi batte su un tema tradizionalmente caro alla sinistra. Insomma, non un rivoluzionario, ma appariva come un governatore più attento anche ai problemi della gente e non solo a quelli delle banche.

Ma nelle Considerazioni del 2010 arriva una sorta di doccia fredda. “E’ urgente un rafforzamento del Patto di stabilità e crescita: l’impegno a raggiungere un saldo di bilancio strutturale in pareggio o in avanzo va reso cogente, introducendo sanzioni, anche politiche, in caso di inadempienze”. Accipicchia, pensano ancora più persone della volta precedente, Draghi è diventato più tedesco dei tedeschi. Già, ma c’era un motivo: di lì a poco sarebbe stato designato il nuovo presidente della Bce, e Draghi era in pole position tra i possibili candidati. Francoforte val bene una conversione all’austerità “dura”, deve aver pensato.

Insomma, l’uomo si adatta alle circostanze. Privatizzatore quando era direttore generale del Tesoro, perché quello ci si aspettava in quella fase da chi guidava la politica economica: Guido Carli, Nino Andreatta, Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi. “Austeritario” a Francoforte, per non scontrarsi con la Germania egemone. In una prima fase, tutt’altro che rivoluzionario in politica monetaria: tra il 2012 e il 2015 (sì, proprio nel periodo successivo al whatever it takes) il bilancio della Bce si riduce di circa 1.000 miliardi, altro che politica monetaria espansiva… Probabilmente il prezzo da pagare proprio per quella frase, insieme all’accettazione del Mes, organismo tecnocratico a guida tedesca, come organo decisionale sulle vicende dei paesi che si fossero trovati in difficoltà.

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