Le dimissioni dell’AD Tavares certificano l’esito di una drammatica crisi di Stellantis che tocca in particolare l’Italia. E le cui responsabilità ricadono anche sul Governo, con scelte miopi e controproducenti che stanno mettendo a rischio il futuro di lavoratori e imprese nel Paese.
Le dimissioni dell’Amministratore Delegato Carlos Tavares dal vertice di Stellantis sono il prevedibile epilogo di una parabola disastrosa della multinazionale auto presieduta dall’assenteista John Elkann, interessato più all’evoluzione finanziaria del gruppo (e al tornaconto della sua famiglia) che alla performance industriale dell’ex gruppo torinese. Un disastro annunciato da mesi di débâcle delle vendite (-9,4% in undici mesi) e di immatricolazioni (-30mila nel mese di novembre).
Dalla nascita di Stellantis, il management non ne ha azzeccata quasi nessuna. Trasferendo presto la sede legale in Olanda ci ha fatto capire da subito che dell’Italia non gli sarebbe importato granché. Del resto le scelte – o le mancate scelte – del gruppo rispetto al nostro Paese hanno sempre lasciato pochi dubbi: Stellantis ha smantellato i centri di ricerca (portandoli in Francia) e non è riuscita a realizzare un piano industriale capace di assicurare un futuro ai nostri siti produttivi. Il milione di veicoli da produrre ogni anno (dagli attuali 500mila) si è dimostrato una chimera, o una operazione di mera propaganda.
Il gruppo ex Fiat ha inoltre cercato di fare resistenza, opponendosi all’entrata di un nuovo player (cinese) in Italia, e di lucrare fino all’ultimo chiedendo incentivi e soldi allo Stato italiano. Non ha mai voluto ascoltare i sindacati italiani, e neanche un Governo che pure si è dimostrato accomodante nei suoi confronti. Peraltro, la stessa Confindustria ha sempre assecondato un gruppo che nemmeno figura tra i suoi aderenti: Fiat è uscita dalla confederazione degli industriali nel lontano 2012.
Ora, proprio la classe industriale – Stellantis e Confindustria – ha cercato di dare la colpa della crisi dell’automotive al Green Deal e alla transizione all’elettrificazione della mobilità, con la scadenza del 2035 sulla messa al bando della fabbricazione di vetture alimentate da motori endotermici in avvicinamento. Si tratta di un alibi, anzi di una truffa intellettuale e politica. La crisi dell’automotive è anteriore al Green Deal e deriva, per l’appunto, dalla mancanza di scelte di politica industriale efficaci a causa di una parossistica attenzione ai rendimenti finanziari, più che a quelli industriali.
Colpevoli sono stati anche i Governi che – in nome della libertà di mercato – hanno latitato, facendo venire meno una capacità di indirizzo che in altri Paesi (Germania e Francia) non è mancata. L’attuale Esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha addirittura tagliato in Legge di Bilancio 2025 i 4,6 miliardi del Fondo automotive. Allo stesso modo, la crisi attuale di Volkswagen è anche conseguenza – oltre che delle incertezze europee sulla direzione di marcia della transizione – della ritirata del Governo tedesco e della sua incapacità di affrontare la drammatica situazione economica dovuta, anche, alla perdurante guerra in Ucraina.
In questo quadro, le proposte dell’Alleanza Clima Lavoro avanzate nel corso dei suoi convegni e iniziative e messe nero su bianco nei suoi documenti vanno in una direzione che Governi e Stellantis non hanno mai voluto seguire: la decisa scelta dell’elettrificazione della mobilità e dell’automotive con politiche industriali efficaci e coordinate. Servirebbe non un tavolo, ma un Piano nazionale dell’automotive (sul modello di quello francese) capace di rilanciare l’intero settore, insieme a una Strategia nazionale della mobilità sostenibile, che coinvolga i grandi centri urbani e sappia alimentare una transizione giusta, che non lasci indietro nessuno.
La crisi dell’automotive riguarda il futuro di decine di migliaia di lavoratori nel nostro Paese e quello di numerosi siti produttivi strategici, da Nord a Sud. Quella di perdere posti di lavoro e produzioni industriali nel settore auto è una prospettiva assolutamente inaccettabile: il Governo deve intervenire subito, cominciando con il mettere fine alla catena di errori e di scelte miopi e controproducenti che hanno caratterizzato il suo operato.