Il negazionismo climatico odierno utilizza una precisa strategia di manipolazione e inquinamento del dibattito pubblico. Un volume recentemente pubblicato da Left edizioni esplora questo fronte indagando, insieme alle tecniche utilizzate, gli attori e gli interessi economici e di potere che lo animano.
Il sottobosco del negazionismo climatico è un terreno sempre più fitto e stratificato. Alla sua esplorazione sono dedicate le pagine di un testo agile e istruttivo, Contro i mercanti del clima, di recente pubblicato per Left edizioni (dicembre 2024, pp. 108, €14,80) dal giornalista ambientale Giacomo Pellini.
Utilizzando come traccia del percorso di indagine una serie di episodi e dichiarazioni di imbarazzante faciloneria e disinformazione da parte di politici, esponenti di governo, giornalisti, Pellini ricostruisce il quadro del negazionismo climatico e smaschera le strategie manipolatorie e gli interessi economici e di potere che alimentano sui media e nel dibattito pubblico la macchina del fango messa in moto quotidianamente per screditare la lotta al climate change e, con essa, gli obiettivi di decarbonizzazione ed emissioni zero fissati nel Green Deal.
Partiamo da ciò che dovrebbe essere un fatto acquisito. Il riscaldamento climatico esiste ed è causato dall’uomo: a certificarlo è, numeri alla mano, il 99,9% della comunità scientifica. Di fronte al consenso unanime degli scienziati sull’argomento, come può la tesi opposta ottenere credito e farsi largo nell’opinione pubblica? Innanzitutto instillando dubbi, sostiene Pellini, proprio come facevano negli anni ’70-’80 del secolo scorso le lobby del tabacco americane. Questi gruppi antesignani del negazionismo odierno legittimavano le proprie posizioni pro-tabacco foraggiando aggressive campagne mediatiche volte a seminare incertezze sulla veridicità degli effetti nocivi – già all’epoca ampiamente comprovati dalla scienza – del fumo sulla salute.
In particolare, l’enorme bacino di informazioni ed evidenze disponibili veniva utilizzato per infiltrarvi alcune tesi prive di fondamento scientifico e volte a sminuire la dannosità del tabacco. Il dubbio così instillato agisce come una goccia di aceto in un bicchiere d’acqua, che di fatto ne contamina la trasparenza: bastano poche falsità in un mare di evidenze scientifiche per inquinare e distorcere il dibattito.
È sempre questa, a quarant’anni di distanza, la strategia adottata da chi contesta oggi l’esistenza del cambiamento climatico e/o la sua origine antropica: minimizzarne la gravità e mettere in dubbio l’efficacia delle soluzioni proposte dagli esperti. Da quest’analogia deriva appunto il titolo del libro: i mercanti di dubbi che nell’omonimo libro di Erik Conway e Naomi Oreskes (tradotto in Italia da Edizioni Ambiente) stavano a indicare i gruppi di potere che diffondevano menzogne sui danni del fumo, diventano i mercanti del clima dei nostri giorni.
Proprio riguardo al clima, il vecchio approccio negazionista che rifiutava l’esistenza stessa del climate change, è stato via via soppiantato da un nuovo e più subdolo negazionismo, che pur riconoscendone l’esistenza sminuisce la sua gravità o nega la sua origine antropica. Gli strumenti di cui questo nuovo fronte si avvale non si limitano alla fabbricazione di dubbi, ma comprendono diverse e più sofisticate tecniche passate in rassegna nel libro, come il cherry picking, la “falsa scelta”, la criminalizzazione dei movimenti e delle proteste ambientaliste, il greenwashing. I negazionisti del nuovo millennio fanno inoltre leva su una tendenza cognitiva largamente diffusa a svalutare le ricompense future rispetto a quelle presenti, anche nel caso in cui le prime siano a tutti gli effetti molto più vantaggiose delle seconde.
In quest’ottica, affinché i benefici della transizione ecologica possano essere considerati da tutti e da subito appetibili, si sottolinea nel testo l’importanza di accompagnare le politiche climatiche a misure di redistribuzione della ricchezza, ad esempio «introducendo una carbon tax, una tassa climatica riassumibile con la formula ‘chi inquina paga’, tasse ‘verdi’ su attività o prodotti legati alle emissioni di gas ad effetto serra, e imposte sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie da redistribuire alle fasce più colpite dall’aumento dei costi della decarbonizzazione».
L’attuazione delle misure e delle politiche di contrasto al cambiamento climatico viene sistematicamente ostacolata o messa in mora dai negazionisti ricorrendo a una serie di obiezioni che Pellini smonta ricorrendo alle evidenze scientifiche, fornendo dati, percentuali e fonti della letteratura sull’affidabilità delle energie rinnovabili e dei vantaggi dei veicoli elettrici, sulla presunta minaccia al paesaggio degli impianti solari ed eolici, sui benefici per l’economia e il lavoro legati alla transizione ecologica.
A proposito dell’Italia, si denuncia «una mancanza di visione strategica che non solo rallenta la transizione ecologica, ma rischia di lasciare il Paese indietro rispetto agli altri in termini di competitività e sostenibilità»: un’inerzia che ben rispecchia, del resto, le posizioni di un governo in carica composto per due terzi dai partiti – Fratelli d’Italia e Lega – più scettici sul fronte dell’implementazione delle politiche per il clima e la transizione ecologica.
Così, mentre le inveterate dei negazionisti di casa nostra – inarrestabili anche di fronte alla certificazione da parte della stessa Nasa che l’estate 2023 sia stata la più calda dall’era preindustriale – finiscono per avere nei mezzi di informazione lo stesso peso di quelle di Antonello Pasini, autorevole ricercatore e fisico del clima, gli ecologisti vengono presentati dalla Presidente del Consiglio come fanatici e ideologici, «in contrapposizione a un presunto pragmatismo conservatore […], una scorciatoia semantica molto usata a destra per delegittimare o ridimensionare le istanze ecologiste».
Allargando lo sguardo all’Europa e alle recenti elezioni di giugno 2024 per l’europarlamento, Pellini ricostruisce l’avanzata dei partiti di estrema destra, accomunati da posizioni contrarie alla transizione verde legata al Green Deal. La destra radicale vota quasi sempre a sfavore delle politiche per il clima e l’ambiente: tra i partiti più ostili – secondo il report redatto dalla ong francese Bloom cui si fa riferimento nel testo – vi sono appunto la Lega, la delegazione polacca di Ecr, gli spagnoli di Vox, gli ungheresi di Fidesz.
L’ultima parte di Contro i mercanti del clima è dedicata a distinguere le strategie efficaci a livello globale per affrontare i cambiamenti climatici dalle false soluzioni green. Tra le prime, l’abbandono delle fonti fossili a favore delle rinnovabili, l’efficientamento energetico, lo sviluppo dell’agricoltura biologica, la promozione di un’economia circolare e di una mobilità sostenibile. Tra le seconde, il ritorno al nucleare, la cattura e lo stoccaggio di carbonio, l’uso dell’idrogeno blu: le stesse ricette che vedono il nostro Governo, con Ministero dell’Ambiente e Ministero delle Imprese e del Made in Italy in prima fila, tra i principali sostenitori…
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