Dentro o fuori/Si chiamava così l’ultima figlia del re Filippo II, e un re macedone prese il nome di Europo. E per i greci i confini arrivavano in Crimea e al Don
Vent’anni fa, quando il pericolo dell’astensione inquietava i governi più di quanto non avvenga ora, in alcuni paesi circolò un manifesto con un toro cavalcato da una procace e discinta signorina, la quale invitava gli elettori a votare per l’imminente rinnovo del Parlamento di Strasburgo. L’iconografia, un po’ corriva ma al contempo colta, rinviava al mito greco di Europa, la bellissima principessa di Tiro concupita da Zeus, il quale sotto le sembianze di un toro la rapì sulla spiaggia del Libano e la condusse a Creta per sedurla (dall’unione nacquero ben tre giudici dell’aldilà: Radamante, Minosse e Sarpedone).
Si discute da secoli su quale sia il nesso fra questa leggenda, nota già a Omero ed effigiata lungo tutta la tradizione occidentale (dai mosaici tardo-ellenistici di Beirut, Zeugma e Damasco fino al rilievo di Aligi Sassu nell’atrio dell’Europarlamento di Bruxelles, dalle monete imperiali di Sidone fino al verso dei 2 euro coniati oggi dalla zecca di Atene), e il significato propriamente geografico del termine «Europa». Nel V sec. a.C. Erodoto di Alicarnasso, il pater historiae dell’Occidente, negava proprio che tale nesso esistesse, mentre il primo a sostenerlo con chiarezza fu un poeta siciliano di nome Mosco, autore nel II sec. a.C. di un idillio intitolato appunto al mito di Europa, che si apriva con il sogno della principessa, contesa fra due continenti affrontati. In realtà, il legame più apparentemente ovvio fra mito e geografia sta nel viaggio del fratello di Europa, di nome Cadmo, il quale dopo il ratto avrebbe intrapreso una lunga e inutile peregrinazione in Occidente alla ricerca della sorella, giungendo a toccare molte terre e approdando infine in Beozia, dove avrebbe fondato l’importante città di Tebe. In anni recenti, un arguto e spregiudicato studioso americano di nome Martin Bernal (Atena nera, 1987), ha addirittura voluto leggere dietro questo viaggio di un Palestinese verso l’ovest e l’Egeo, la traccia mitica di un’invasione fenicia della Grecia, e più in generale dell’ingente debito culturale contratto dai Greci con le antichissime civiltà del Medio Oriente e dell’Africa.
Comunque la si veda, e comunque si interpreti l’etimologia del nome «Europa» (alcuni insistono su una derivazione greca, «sguardo largo», o «occhi tenebrosi»; altri su un’origine semitica, «terra della sera»; ma è probabile che nessuna sia corretta), non vi è dubbio che nella Grecia del V secolo si sia affermata l’idea di un continente diverso dall’Africa e dall’Asia, esteso grosso modo dall’Oceano (per il lirico Pindaro i naviganti dovevano evitare le Colonne d’Ercole, «volgendo indietro la nave verso la terra d’Europa») fino alla zona della Crimea e del fiume Tanai, l’odierno Don. Il poeta Eschilo, che dedica un’intera tragedia allo scontro fra Europa e Asia in occasione delle guerre persiane (492-478 a.C.), individua il confine lungo il fiume Fasi, nel Caucaso; Erodoto professa prudenza circa l’etimo e i confini precisi dell’Europa, specie per quanto riguarda le malnote terre a nord e a ovest del fiume Danubio; Ippocrate, il fondatore dell’arte medica, distingue sul piano climatico e politico le terre d’Asia, fertili e abitate da uomini svegli e cortesi ma arrendevoli e soggetti a governi dispotici, dalle terre d’Europa, più aspre ma generatrici di guerrieri coraggiosi e liberi, refrattari alle tirannie. Tra parentesi: chi sospetti l’inattualità dello studio dell’antico, può considerare cosa accade oggi nei luoghi che già 2500 anni fa erano individuati come i (precari) confini dell’Europa: Cadice (si pensi al dramma dell’immigrazione tra Ceuta e la Spagna), le foci del Nilo (si pensi al caos egiziano), il Fasi (si pensi alla guerra del 2008 in Georgia), il Mar d’Azov (si pensi all’attuale conflitto in Crimea).
Nel IV secolo a.C., il perdurante confronto a distanza fra Greci e Persiani approfondì la definizione ideologica dell’Europa per via di opposizione rispetto all’Asia, un argomento caro, con diverse sfumature e analoghi complessi di superiorità, al retore Isocrate e al filosofo Aristotele. La nascente potenza macedone fu forse esortata da alcuni (segnatamente lo storico Teopompo) a estendere il proprio dominio verso ovest, tanto che il re Filippo II mise nome «Europa» alla sua ultima figlia; ma poi la scelta del figlio Alessandro Magno cadde sull’Egitto e l’Oriente, talché lo stesso concetto di Europa fu confinato alla più ridotta area meridionale dei Balcani: secondo lo storico Egesippo di Meciberna, Cadmo sarebbe giunto in Tracia trovandovi non già l’Europa che cercava (sua sorella), bensì un’omonima donna locale, che l’avrebbe sposato e avrebbe dato il nome a tutta la regione; lo storico Pompeo Trogo parlò come eponimo di un re macedone chiamato Europo. Nel lungo periodo, questa accezione di Europa come Tracia sudorientale o come zona balcanica tout court ebbe grande fortuna: in età bizantina fu utilizzata nelle divisioni amministrative ed ecclesiastiche, quando – lacerato l’impero romano – la distanza dall’Europa occidentale era diventata incolmabile.
L’appropriazione del mito, del nome e del concetto di Europa in età romana fu relativamente modesta: in un mondo in tumultuosa espansione verso la conquista dell’intera ecumene, lo spazio europeo non fu caricato di uno speciale significato identitario, anche se Orazio cantava della principessa tiria consolata da Venere («metà del mondo porterà il tuo nome»), e pochi decenni dopo, teste Marziale, immagini di quel mito adornavano il tempio del divo Augusto. A Roma la polarità di fondo fu quella fra Oriente (Alessandria, Antiochia) e Occidente (Roma), e vieppiù nella cultura tardoantica, quando si approfondì il solco, culturale e politico, tra pars Orientis e pars Occidentis, con quest’ultima sempre più propensa a considerare come Europa il nucleo centrale costituito da Italia, Gallia, Germania e Spagna. Così, quando Carlo Magno venne celebrato come “pater Europae”, l’idea retrostante era quella di un continente cristiano e latinofono, preparata da una riflessione sorta almeno a partire dal IV-V secolo d.C.
Ma dinanzi alla nostra «Europa flaccens » («flaccida»: così la definiva nel 600 d.C. il grande monaco irlandese Colombano scrivendo a papa Gregorio Magno), giova forse ricordare in chiusura l’elogio tributato al continente dal geografo greco Strabone (I sec. a.C.): «Possiede una grande varietà di forme, ed è la terra per natura meglio dotata di uomini e di regimi politici validi e quella che ha maggiormente reso partecipi gli altri dei propri beni… I popoli si recano beneficio gli uni agli altri; gli uni offrono il soccorso delle loro armi, gli altri quello dei loro raccolti, delle loro conoscenze tecniche, della loro formazione morale. Naturalmente, essi possono anche recarsi vicendevolmente gran danno, se non si vengono in aiuto».