La realtà della cooperazione di lavoro in Italia ha un’esperianza più che secolare e in questi tempi di crisi potrebbe agire da strumento di recupero di posti di lavoro
Per chi, come noi, è da sempre un convinto sostenitore dell’importanza delle cooperative di lavoro come elemento primario di progresso economico e politico, non può che fare piacere leggere l’inchiesta a firma Luciano Gallino e Matteo Pucciarelli, “Il padrone in tuta blu”, comparsa su La Repubblica del 7 giugno scorso, dedicata alle imprese in crisi rilevate dai propri lavoratori, tecnici e dirigenti, pronti a rischiare in proprio per la ripresa delle loro imprese.
Quello che dispiace è vedere come i due autori trattino recenti esempi accaduti nel nostro paese quasi come una novità assoluta o, addirittura, l’imitazione di esperienze straniere (Argentina, in particolare), ignorando una realtà, quella della cooperazione di lavoro in Italia, più che secolare. In Italia è probabile che il nome coop richiami l’esperienza in altri settori (consumo, bancario, agricolo ecc.) più che nel settore della produzione e lavoro, che rappresenta, al contrario, una delle esperienze più significative a livello mondiale, forse, seconda solo a quella spagnola di Mondragon, ben più nota e studiata a livello mondiale.
La cooperazione di lavoro, dove i lavoratori sono i soci dell’impresa, è attiva in tre settori: costruzioni e impiantistica; settore industriale; servizi. Il settore della cooperazione di lavoro nell’area dei servizi ha raggiunto, negli ultimi vent’anni, dimensioni di primissimo piano. Cooperative come i gruppi Manutencoop e Coopservice (facility management e vigilanza), Camst e Cir (ristorazione) nel 2011 hanno sfiorato un fatturato complessivo di 3.100 milioni di euro e dato occupazione ad oltre 51.300 persone.
I settori delle costruzioni e dell’impiantisca risentono delle difficoltà della crisi edilizia e lottano con fatica per mantenere la loro posizione e non mancano casi in cui l’unica soluzione passa dalla rinegoziazione dei propri debiti.
Molto meno nota è invece la cooperazione nel settore industriale. Le principali cooperative manifatturiere sono concentrate fra Imola e Ravenna, fra cui le più importanti sono Sacmi, Cefla, Coop Ceramica, Tre Elle, Deco Industrie, Icel, con un fatturato di oltre 2.100 milioni di euro.
Negli altri settori le cooperative sono imprese che nella stragrande maggioranza dei casi nascono ex novo, mentre nel settore industriale sono quasi sempre il frutto di trasformazioni di imprese private in crisi oppure con difficoltà di successione. Anche le principali cooperative sopra richiamate hanno storie simili sotto questo profilo.
H. Hansmann (La proprietà dell’impresa – Il Mulino – 2005) ha avanzato l’ipotesi che ciò dipenda dai maggiori capitali inizialmente necessari, sicuramente più elevati nel settore industriale rispetto agli altri settori ed è una spiegazione plausibile.
Proprio per questo motivo le organizzazioni cooperative hanno cercato di dotarsi di strumenti finanziari per agevolare la cooperazione manifatturiera. Matteo Pucciarelli nel suo intervento ha esplicitamente richiamato Coopfond, ma è probabile che il lettore non abbia ben compreso cosa ci sia dietro questa sigla.
La legislazione
Il caso italiano è caratterizzato da due importantissime leggi. La prima legge risale al 1985 (legge 49/1985, cosiddetta legge Marcora’ dal nome del ministro dell’Industria che per lunghi anni si era impegnato per la sua promulgazione (1) ed aveva un contenuto fortemente innovativo. Con questa legge venne data la possibilità di costruire società finanziarie che avrebbero ricevuto contributi pubblici a fondo perduto per intervenire nel capitale di rischio di nuove cooperative costituite da lavoratori in cassa integrazione o comunque espulsi dal circuito produttivo. A questo scopo le associazioni cooperative ed i sindacati dettero vita ad una sola società, Cfi, che poteva sottoscrivere capitale sociale della nuova cooperativa pari a tre volte il capitale sottoscritto dai soci. Con questa operazione lo Stato sostituiva un costo certo (la cassa integrazione) con una scommessa sui lavoratori, che, se vinta, avrebbe trasformato l’intervento dello Stato in una partecipazione.
Nel 1997 intervenne la Dg concorrenza della Ce con l’apertura di una procedura di infrazione in quanto si sostenne che la Legge Marcora fosse un aiuto di Stato. Sino al 2001 la Cfi venne messa in una difficile posizione di stand-by, per poi mutilarne l’operatività con la legge 57/2001 che ne modificava profondamente la missione.
In questo modo veniva limitata una legge fortemente innovativa i cui contenuti sono stati riproposti dal parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema “Cooperative e ristrutturazione” pubblicato sulla gazzetta ufficiale della Ue del 29/6/2012.
Nonostante i limiti introdotti nel 2001, la Cfi nel triennio 2010-2012 ha sostenuto 36 interventi di workers buy-out, sviluppo, consolidamento e start-up investendo 11 milioni di euro in cooperative con una occupazione di oltre 1.700 unità.
La seconda legge è del 1992 (L. 59/92) e all’art. 11 fornisce la possibilità alle associazioni cooperative di dare vita a strumenti finanziari per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, le cui risorse sono fornite dalle stesse cooperative tenute a versare ai fondi mutualistici il 3% degli utili annuali.
Le associazioni cooperative hanno dato vita a tre società: Coopfond (Legacoopservizi, citata nell’intervento di M. Pucciarelli), Fondosviluppo (Confcooperative) e Generalfond (Agci).
Nel 2012 è ricorso il ventennale di questa legge e, purtroppo, le associazioni cooperative hanno perso un’ottima occasione per dar conto dell’utilizzo dei fondi raccolti che, da nostre stime, avrebbero dovuto raggiungere i 900 milioni di euro.
Dalla rendicontazione sociale di Coopfond, nell’ultimo esercizio risulta che le operazioni finanziate sono state 52 per un totale investito di 32,4 milioni di euro, di cui 13 operazioni per 6,3 milioni nel settore delle cooperative industriali.
Questi pochi dati ci sembrano sufficienti a dimostrare le potenzialità della cooperazione come strumento di recupero di posti di lavoro (2). Oggi la sinistra, nel dibattito per il superamento della crisi in atto, offre molto spazio a temi come i beni comuni e la green economy, ma sembra essersi scordata della questione della democrazia economica, di cui la cooperazione rappresenta la sua punta più avanzata.
(1) La genesi di questa legge è stata ricostruita da Francesco Dandolo (L’industria in Italia tra crisi e cooperazione, 2009, Bruno Mondadori) (2) Cecop, l’organismo di rappresentanza a livello europeo della cooperazione di lavoro, nel 2011 ha pubblicato una ricerca su questi temi relativa a tre paesi: Italia, Francia e Spagna, rispettivamente curati da Antonio Zanotti, Francois Suolage e Adrian Zelaia: A. Zevi (a cura) – Al di là della crisi: Cooperazione, Lavoro, Finanza – 2011 – Cecop.