La Corte costituzionale è intervenuta sulle modalità di trattenimento dei migranti nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, stabilendo che deve essere una legge a disciplinare le modalità di detenzione e i diritti delle persone recluse. Se ne occuperà il governo, ma intanto si apre una crepa nel muro.
Nel corso degli anni è cambiata la denominazione – CPTA (Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza), CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) -, sono variati i tempi massimi di “trattenimento” (sino agli attuali 18 mesi), sono state aperte nuove strutture, ne sono state chiuse e poi riaperte altre (spesso a seguito dei danni causati dalle proteste dei migranti o di indagini che hanno coinvolto gli enti gestori), ma la funzione e le modalità di “trattenimento” restano le stesse. I centri di detenzione, dal lontano 1998, hanno la funzione di “trattenere” “per il tempo strettamente necessario” i cittadini stranieri privi di un titolo di soggiorno rintracciati sul territorio dello Stato destinatari di un provvedimento di respingimento o di espulsione che non è immediatamente eseguibile. Il dlgs n.142/2015 e alcune delle riforme normative più recenti hanno ampliato le ipotesi di “trattenimento” anche per i richiedenti protezione internazionale.
Il movimento antirazzista ha contestato sin dalla loro istituzione il sistema dei centri di detenzione per migranti: strutture chiuse, sorvegliate dalle forze dell’ordine, dalle quali le persone non possono uscire (è di ieri la rivolta nel Cpr di Gradisca d’Isonzo anche a causa delle alte temperature) . La Corte Costituzionale, nella sentenza di cui parliamo tra poco, citando la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, chiarisce che “la nozione di “trattenimento” di un cittadino di un paese terzo implica il confinamento (Ndr. il corsivo è nostro) dello straniero in un luogo determinato, che lo priva della libertà personale”.
Nei CPR le violazioni dei diritti umani denunciate dagli stessi migranti e dalle organizzazioni di tutela sono all’ordine del giorno: condizioni di detenzione disumane e degradanti, mancata garanzia del diritto alla salute, abuso dell’erogazione di psicofarmaci, maltrattamenti, casi di trattenimenti illegittimi di minori hanno causato numerose proteste, atti di autolesionismo e sono purtroppo anche all’origine di alcuni suicidi come quelli di Ousmane Sylla, giovane di 21 anni che si è tolto la vita nel Cpr di Roma il 4 febbraio 2024 e di Moussa Balde, 23 anni, suicidatosi nel maggio 2021 nel settore Ospedaletto del Cpr di Torino (non a caso chiuso poco dopo). Si tratta di violazioni che dopo l’entrata in vigore della L. n. 80/2025, quella che ha convertito in legge il cosiddetto nuovo pacchetto sicurezza, sarà ancora più difficile contestare.
La disumanità e il fallimento di un istituto che prevede la limitazione della libertà personale di persone che non hanno commesso alcun reato, sono stati e continuano ad essere al centro di numerose campagne e iniziative della società civile: da “Siamo tutti clandestini” del 1999, a “LASCIATECIENTRARE” dal 2011 in poi, alla più recente mobilitazione della rete “Mai più lager-NOCPR”, solo per citarne alcune.
Con la sentenza n.96/2025 pubblicata il 3 luglio scorso, la Corte Costituzionale, pur non accogliendo la questione legittimità costituzionale su cui è stata chiamata a pronunciarsi, si è soffermata su alcuni aspetti che meritano attenzione.
La sentenza n. 96/2025 della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale è stata chiamata da una Giudice di Pace di Roma ad esprimersi sulla costituzionalità dell’art. 14 c. 1 e c. 2 del d.lgs. 286/98 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, così come modificato dal Decreto-legge n.130/2020 convertito nella L. 173/2020, che disciplina i CPR.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate vertono sulla violazione della riserva di legge prevista dalla nostra Costituzione in materia di limitazione della libertà personale. In particolare, la legge non definisce i “modi” e i procedimenti per la restrizione della libertà personale all’interno dei CPR; non prevede i diritti e le forme di tutela dei “trattenuti”; non individua l’autorità giudiziaria competente al controllo delle modalità di trattenimento e alla tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti trattenuti né ne definisce il ruolo e i poteri.
L’Art. 13 della Costituzione stabilisce che “la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
L’Art. 25 c. 3 specifica, inoltre, che: “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
Come anticipato, le questioni di legittimità costituzionale sono state dichiarate inammissibili, con una sentenza che ha fatto molto discutere.
La Corte ribadisce che “la misura del trattenimento dello straniero presso centri di permanenza e assistenza comporta una situazione di «assoggettamento fisico all’altrui potere». Tale condizione «è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale».” Viene dunque riconosciuto che il trattenimento nei CPR limita la libertà personale dei migranti che vi sono reclusi.
La Consulta evidenzia inoltre che: “Gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione non possono, infatti, scalfire il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani” (il corsivo è nostro). La libertà personale è un diritto universale della persona indipendentemente dal fatto che sia o meno cittadina.
La Corte riconosce che la norma sottoposta a verifica di costituzionalità non definisce in modo adeguato le modalità con cui viene effettuato il trattenimento nei CPR e i diritti e le forme di tutela delle persone “trattenute” e ricorda che “le disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all’interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite, sono adottate dal prefetto, sentito il questore, in attuazione delle disposizioni recate nel decreto di costituzione del centro e delle direttive impartite dal Ministro dell’interno”. Si tratta di norme secondarie che potrebbero generare una disciplina difforme sul territorio nazionale.
Viene dunque riconosciuto che “il legislatore è venuto meno all’obbligo positivo di disciplinare con legge i «modi» di limitazione della libertà personale, eludendo la funzione di garanzia che la riserva assoluta di legge svolge in relazione alla libertà personale nell’art. 13, secondo comma, Cost.” Cionondimeno, la Corte rigetta la questione di costituzionalità rinviando al legislatore l’onere di intervenire per colmare la lacuna normativa “non rinvenendosi nell’ordinamento una soluzione adeguata a colmare la riscontrata lacuna mediante l’espansione di differenti regimi legislativi”.
Una sentenza che ci riguarda
La sentenza ha suscitato molte polemiche. Non dichiara illegittima l’esistenza dei CPR, ma riconosce che la legge non disciplina come dovrebbe le modalità con cui deve essere effettuato il trattenimento e devono essere garantiti i diritti delle persone trattenute.
Sul piano giuridico, vi è chi, come il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, la definisce “un capolavoro di ipocrisia” e sostiene che la Corte avrebbe potuto intervenire almeno definendo alcuni principi di riferimento per il legislatore. Commenti analoghi sono stati avanzati da Francesco Pallante su Il Manifesto e da Salvatore Fachile e Gennaro Santoro sul sito MeltingPot Europa.
Sul piano politico, il rinvio della Corte al legislatore, in una fase in cui il Parlamento è esautorato dall’iniziativa dell’esecutivo portata avanti a colpi di decretazione d’urgenza, consegna di fatto il potere di intervenire nelle mani del Governo ed è difficile pensare che un eventuale decreto-legge (per altro già annunciato) sulle modalità di trattenimento e sui diritti dei migranti detenuti nei Cpr vada a rafforzare i diritti di questi ultimi.
La sentenza della Corte ha aperto però un varco ad azioni legali che consentono ai migranti reclusi nei CPR di rivendicare i propri diritti. E’ di ieri la notizia della “liberazione” di un migrante albanese detenuto nel CPR di Macomer a seguito della sentenza della Corte di Appello di Cagliari che richiama proprio la pronuncia della Corte Costituzionale. Probabilmente ne seguiranno altre.
Insieme alle campagne promosse contro la collaborazione dei medici e degli psicologi alla gestione dei CPR, sono atti concreti di resistenza quotidiana che cercano di garantire dal basso quei diritti umani che il governo italiano, in buona compagnia e su molti fronti, sembra voler ridurre in frantumi, con una deriva molto pericolosa per tutte e tutti noi.