L’Europa riceve il 3,5% degli Ide cinesi: capitali alla ricerca di nuovi mercati e di risorse strategiche. Con quali risultati? Un primo bilancio, da una ricerca empirica
La recente crescita degli investimenti diretti esteri (Ide) provenienti dalla Cina ha generato un forte interesse a livello internazionale, ma nonostante la frequente attenzione dei media poco si sa riguardo alle motivazioni che spingono le imprese cinesi a investire all’estero. In Europa specialmente, gli Ide cinesi sono spesso visti con un mix di preoccupazione e speranza. Vi sono timori legati alla presenza nell’ombra del governo cinese, poiché molte delle imprese che si espandono all’estero sono a capitale pubblico e anche quelle che non lo sono ricevono un forte supporto sia a livello politico sia economico. Nel caso di acquisizioni poi, vi è grande incertezza intorno alla possibilità di sopravvivenza delle imprese acquisite, oltre che per l’impatto sull’occupazione locale e, ancora, per il rischio di trasferire alla Cina tecnologie e competenze avanzate. Tra gli aspetti positivi c’è l’iniezione di capitali “freschi”, particolarmente importante in un periodo come questo caratterizzato da scarsa crescita economica. Inoltre nel caso delle acquisizioni, si è spesso assistito a operazioni che hanno permesso il salvataggio d’imprese in condizioni finanziarie difficili e rivitalizzato il mercato locale. In generale va detto che il dibattito a tutt’oggi è basato spesso su informazioni imprecise, su opinioni personali o al massimo su pochi casi di alcune imprese note a livello internazionale come Haier e Huawei o su acquisizioni come quella della divisione Pc della Ibm da parte di Lenovo o della Volvo da parte di Geely.
Gli studi che analizzano il fenomeno dell’espansione degli Ide cinesi in Europa sono ancora relativamente ridotti. In quest’articolo, ci proponiamo di arricchire il dibattito corrente utilizzando dati e informazioni disponibili sia a livello macroeconomico sia a livello d’impresa. A livello macro, si osserva come lo stock di Ide cinesi all’estero sia cresciuto in modo vertiginoso, passando da quattro miliardi di dollari nel 2000 a più di 300 miliardi nel 2010 (Mofcom, 2009). Considerando i flussi, l’ammontare annuale degli Ide cinesi durante lo stesso periodo è passato da poco meno di un miliardo a 59 miliardi di dollari, con un incremento significativo dal 2008. Da questi dati possiamo derivare un primo, importante, fatto stilizzato: durante la crisi finanziaria, mentre i flussi d’investimento a livello globale si riducevano, la presenza delle imprese cinesi all’estero è aumentata significativamente.
Osservando i dati macro, si nota inoltre come la gran parte degli Ide cinesi siano diretti verso Hong Kong (67% dello stock totale nel 2009) e verso due “paradisi fiscali” come le isole Cayman e le isole Vergini (complessivamente 12% dello stock totale nel 2009). Seguono gli investimenti – orientati per lo più verso il settore delle risorse naturali – in Africa (4%) e quindi l’Unione europea (Ue), che riceve al momento una quota d’investimenti piuttosto ridotta in termini relativi (3.5%). In Europa, se si esclude la Russia, i principali paesi riceventi sono la Gran Bretagna e la Germania, mentre un’attenzione crescente da parte delle imprese cinesi si dirige anche verso i paesi nuovi entranti nell’Ue. Dati alla mano, tuttavia, a oggi sembra comunque difficile identificare una tendenza prevalente nell’ingresso in Europa, almeno in termini geografici.
Nonostante la rilevanza dell’Europa in termini di Ide cinesi sia ancora limitata, ci sembra comunque interessante analizzare le motivazioni che spingono le imprese cinesi a investire nel continente. Basandoci sull’evidenza empirica raccolta in uno studio curato dagli autori sugli investimenti cinesi in Italia (Pietrobelli, Rabellotti e Sanfilippo, 2011) per il quale è stata costruita una banca dati originale che raccoglie informazioni sul totale degli investimenti esistenti a oggi. Anche sulla base di numerose interviste effettuate a manager e key informers che operano nel settore, lo studio conferma alcuni dei risultati ottenuti in altri studi disponibili su Gran Bretagna e Germania, e cioè che le imprese cinesi investono in Europa spinte da due motivazioni prevalenti: (1) la ricerca di nuovi mercati (investimenti market seeking) e (2) la ricerca di risorse strategiche (investimenti strategic assets seeking). Rispetto alla prima tipologia d’investimenti, è opportuno distinguere una fase iniziale, fino alla prima metà del 2000, in cui gli investimenti potevano essere considerati prevalentemente di tipo ‘difensivo’, ovvero finalizzati a rafforzare le relazioni commerciali con il paese di destinazione e una fase più recente in cui prevalgono finalità più ‘offensive’, ovvero investimenti che hanno come obiettivo la creazione di nuove opportunità commerciali. L’obiettivo delle imprese cinesi in Europa sta diventando infatti sempre più quello di avvicinarsi a una clientela più sofisticata, al fine di interpretarne meglio le esigenze e di adattare i prodotti alle caratteristiche della domanda. Inoltre, le imprese cinesi con la loro presenza in Europa ambiscono a promuovere i loro marchi, migliorando la loro reputazione nei mercati internazionali così come in quello domestico. A questo riguardo, un caso molto interessante è quello di Haier, nel 2010 il più grande produttore al mondo nel settore della refrigerazione e delle lavatrici. Haier ha iniziato il proprio processo d’internazionalizzazione producendo in Cina per conto delle grandi multinazionali del settore e poi dalla seconda metà degli anni ’90 ha investito prima in paesi vicini come Indonesia e Malesia e dal 2000 in poi negli Usa e in Italia, dove ha stabilito a Varese la propria sede per coordinare le attività di marketing e di vendita per l’Europa occidentale. Nel 2003, sempre in Italia, Haier ha portato a termine un’importante acquisizione prendendo il controllo della Meneghetti, un produttore di frigoriferi, seguita nel 2009 dall’acquisizione di Elba, impresa veneta specializzata nella produzione di accessori per la cucina. Le acquisizioni sono state motivate da un lato dalla necessità di superare le barriere tariffarie imposte dall’Ue e dall’altro dall’obiettivo dell’impresa di migliorare le proprie competenze in termini di produzione e di design, per sviluppare e produrre beni per il mercato europeo e per la fascia più alta del mercato cinese. A queste motivazioni va aggiunto l’obiettivo di acquisire conoscenza e capacità manageriali che è da considerarsi alla base della decisione di stabilire il quartier generale per l’Europa a Varese, dove sono presenti tutte le più importanti multinazionali del settore e un numero consistente di piccole e medie imprese specializzate nella produzione di beni intermedi e servizi. Varese è quindi un distretto produttivo specializzato nella produzione di elettrodomestici per la casa e gli investitori cinesi localizzandosi qui, ambiscono a sfruttare anche quelle economie di agglomerazione derivanti dalla presenza contemporanea nell’area di lavoratori e fornitori specializzati e dalla disponibilità di conoscenze specifiche sui mercati e sulle tecnologie.
Quanto discusso finora ci porta ad analizzare più nel dettaglio la seconda tipologia d’investimenti cinesi in Europa, quelli volti alla ricerca di risorse strategiche tra cui tecnologie avanzate, conoscenze specializzate, competenze a livello manageriale, accesso a reti di distribuzione ed effetto reputazione sui mercati. L’evidenza empirica raccolta mostra che le imprese cinesi tendoano a utilizzare i propri investimenti in Europa per superare rapidamente gli svantaggi in termini di tecnologia e competenze. Nei settori in cui la Cina ha ancora uno svantaggio competitivo, gli investimenti sono mirati per lo più all’acquisizione di competenze, specialmente in attività a elevato valore aggiunto. In questa logica si possono inquadrare gli investimenti esteri cinesi nel settore automobilistico, settore nel quale l’Italia conta una forte tradizione. L’Italia è considerata un avamposto tecnologico, dove acquisire soprattutto competenze di design necessarie per migliorare la competitività dell’industria automobilistica cinese in primo luogo nel mercato interno, e forse, in un futuro non lontano, anche nel mercato internazionale. In particolare, l’area di Torino, dove è presente l’intera filiera dell’auto, dal design alla produzione, ha attratto due tra le principali imprese cinesi del settore, Changan e Anhui. Le due imprese, rispettivamente nel 2004 e nel 2005, hanno aperto a Torino un proprio centro di ricerca e sviluppo e di design, nei quali lavorano ingegneri italiani e cinesi in collaborazione con altre imprese della filiera e con centri di ricerca locali, tra cui il Politecnico.
Un’altra conferma dell’importanza della motivazione strategic asset seeking viene dalla crescente adozione dell’acquisizione come modalità di entrata nei mercati internazionali. Essendo “ultime arrivate” nei mercati internazionali, le imprese cinesi trovano nell’acquisizione una modalità rapida per accedere a risorse a elevato valore aggiunto. Tuttavia in molti casi le imprese acquisite vivono un momento di difficoltà finanziaria e questo, unito alla poca esperienza delle imprese cinesi, ha fatto emergere molti dubbi sulla loro capacità di gestire le acquisizioni. A questo proposito, una delle questioni più dibattute in questo momento nella letteratura economica riguarda quanto e in che modo le risorse strategiche acquisite vengano poi effettivamente assorbite e utilizzate con successo da parte delle imprese cinesi. L’evidenza empirica mostra una serie di casi in cui la distanza culturale o le differenze nel modo di gestire le imprese hanno rappresentato una barriera insuperabile per il successo dell’acquisizione. Rimanendo in Italia, l’acquisizione della Benelli da parte di Quianjiang, il più grande gruppo cinese nel settore dei motocicli, è un esempio di come i problemi di comunicazione, specialmente nell’area tecnica, possano generare ritardi e ostacoli nello sviluppo di importanti progetti produttivi.
Trarre delle conclusioni sulla base delle limitate informazioni disponibili sulle imprese cinesi in Europa è un esercizio difficile. Quello che appare evidente dall’evidenza empirica qui presentata è che l’espansione degli Ide cinesi è un fenomeno complesso e che sono dunque necessarie analisi empiriche robuste e rigorose. L’evidenza sugli investimenti delle imprese cinesi in Italia rivela un tentativo di accedere alle competenze più avanzate disponibili nel nostro paese, e dovrà essere analizzata in profondità per disegnare risposte appropriate di politica economica.
(1) Mofcom (2009) 2008 Statistical Bulletin of China’s Outward Foreign Direct Investment, Beijing: Ministry of Commerce.
(2) Pietrobelli, C., Rabellotti, R. e Sanfilippo, M. (2011) Chinese FDI strategy in Italy: the ‘Marco Polo’ effect, in corso di pubblicazione in International Journal of Technological Learning, Innovation and Development scaricabile nella versione working paper da http://www.chathamhouse.org.uk/files/16054_pp0210italy.pdf .