Secondo un recente studio della Banca d’Italia, la riduzione dell’attività economica a livello locale ha prodotto un aumento dei furti e delle estorsioni
Un recente “working paper” della Banca di Italia (1) ci fornisce elementi di conoscenza riguardo gli effetti delle condizioni economiche di un territorio sulla criminalità. Lo studio, focalizzato sulle dinamiche del mercato locale del lavoro, analizza la risposta nel breve periodo della criminalità alle variazioni (negative) degli indici dell’economia registrati tra il 2007-2009.
Proviamo a riassumere le conclusioni più importanti ricavate dagli autori attraverso la stima delle correlazioni tra un sistema di dataset costruito sulle denunzie di reato e su proxies che riassumono l’andamento dell’economia nel territorio.
Dunque, una riduzione dell’1% dell’attività economica a livello locale produce un aumento dei furti (+0.5%) e delle estorsioni (+1%). A conferma, come sostiene un filone di analisi economica, introdotto già nel 1968 da Gary Baker, che l’assottigliarsi delle opportunità per accedere ad un mercato del lavoro legale fa diventare più attraente la possibilità di commettere un reato. La crisi determina un impatto, sostiene il “paper”, sulle tipologie di reato che non richiedono specifiche abilità, come appunto i furti, suggerendo altresì come una certa quantità di azioni criminali “improvvisate” possano essere dettate direttamente dalle difficoltà economiche dei singoli.
Di converso, si rileva un impatto negativo su altre categorie di reato in cui appaiono necessarie maggiori competenze criminali, quali le rapine. Ed ancora, secondo la ricerca, non risulterebbe alcuna relazione tra la crisi ed i reati a carattere non strettamente economico, come stupri, omicidi o altri crimini violenti.
Altre tesi sulle quali vogliamo richiamare sforzo di riflessione. Misure per l’occupazione adottate nei mercati locali del lavoro determinano una diminuzione degli effetti dell’economia criminale. Ed il rapporto tra crisi e crimine è meno intenso dove è più forte la criminalità organizzata indicando – sostiene il paper – come il “monopolio” dell’illegalità detenuto dalle organizzazioni mafiose renda molto più difficile “improvvisare” reati rispetto alle zone dove invece il controllo del territorio è meno capillare.
Il paper della Banca d’Italia ha il pregio di poggiarsi su correlazioni “robuste” dal punto di vista statistico ma anche il limite di riferirsi ad un primo ciclo di crisi (2007-2009). Può risultare opportuno un approfondimento dello studio del rapporto tra crimine ed economia, più precisamente degli effetti della crisi economica sulla microcriminalità di tipo predatorio e sui cosidetti reati da bisogno ricorrendo agli ultimi dati disponibili (2011-2012). Basandosi – nel nostro caso – su osservazioni e non sullo studio di correlazioni. Una premessa metodologica, prima di proseguire.
Come è noto, il ricorso ai dati su questo tema deve scontare due limiti: il cosiddetto “numero oscuro” e la mancata citazione degli arresti collegati ai reati. Le stime, infatti, si basano sulle denunzie presentate (solo la metà, ad esempio, per le rapine). Ma, ovviamente, ignorano casi di tolleranza, assenza di interesse alla denunzia, inserimento già nei costi di gestione di una percentuale di illegalità (il taccheggio nei supermercati) ritenuto meno oneroso della denunzia stessa. Le statistiche istituzionali, poi, non riescono a documentare l’intera filiera del reato: commissione, denunzia, arresti, sanzione, effetto sconto su una pena irrogata. L’osservazione diretta può recuperare, in parte, la parzialità delle statistiche.
Concentriamoci dapprima sui cosiddetti reati predatori, così definiti perché incidono direttamente sui beni personali e sono in grado di destare particolare preoccupazione nella collettività per la modalità con cui vengono portati a termine: violenza nelle rapine e negli scippi, abilità subdola nei borseggi, nei furti e nelle truffe.
I dati forniti dal Ministero dell’Interno tra il 2011 ed il 2012 indicano tassi di variazione a due cifre nei furti in abitazione (+15,5%), nei furti con destrezza (+11%), negli scippi (+17,1%). Variazioni più contenute per le truffe e frodi informatiche (+7,7%), per le rapine che crescono del 4,7% ed i furti di autovetture (+0,4%).
C’è una caratterizzazione territoriale dei reati denunziati? Non è facile trovare ipotesi convincenti di correlazioni: i furti con destrezza colpiscono città “ricche” (Milano, Bologna), mentre i furti (in aumento, come abbiamo visto) nelle abitazioni risparmiano città del Sud (2). Particolarmente coinvolte invece nei furti di autovetture, nelle truffe e frodi informatiche (Napoli), nelle rapine (Napoli, Palermo), negli scippi (Catania, Napoli). I tassi di variazione complessivi più alti si collocano a macchia di leopardo: Bolzano, Siena, Lucca, La Spezia, Ravenna, Rimini. E questo ci riporta alla problematica del numero oscuro.
Passiamo ora al taccheggio che, insieme alle frodi da parte di dipendenti e fornitori, oltre agli errori amministrativi, ha rappresentato nel 2011 (ultimi dati disponibili) una tassa invisibile per le famiglie (dovuto al ricarico dei costi da illegalità sui prezzi finali di vendita) pari a 175 euro, 12 euro in più rispetto al 2010 (3).
Nel nostro paese, nel 2011, sono aumentati i furti commessi da parte dei clienti: sono infatti il 52,7% i taccheggi ad opera di bande organizzate da ladri non professionisti, un valore ben più alto rispetto alle medie europee e mondiali. Taccheggi che si affiancano ai furti ad opera di dipendenti (20%). Il residuo negativo, calcolato sulle differenze inventariali, non è attribuibile.
Ci sono diversi tipi di taccheggio. Quello dei beni di lusso si concentra su accessori firmati, hi-tech, profumi, più facili da smerciale sul mercato nero. Ma le cronache evidenziano, quotidianamente ormai, furti “low cost”, furti per bisogno. Dai salami ai carciofi, dalle arance ai formaggi, dalla legna per il riscaldamento fino addirittura ai vasi dei fiori del cimitero. Con la crisi, ci viene spiegato, si registra un’impennata di piccoli furti messi a segno per soddisfare anche i più elementari bisogni e le più tradizionali abitudini. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti nei primi mesi del 2013 che riscontra, come segnale preoccupante, il bilancio delle festività di fine anno 2012 in cui è salito alla cifra record di 689 milioni di euro (+3,2% rispetto all’anno precedente) il valore dei prodotti alimentari e non, rubati nei supermercati.
Proviamo a trarre qualche sommaria conclusione. La crisi economica, con riferimento alla microcriminalità predatoria, sembra incidere positivamente. Innescando reazioni di insicurezza, sfiducia, rabbia sociale. Importa quasi niente infatti sapere che un furto in un’abitazione potrebbe nascere dalla necessità di risolvere una situazione di disagio. All’interno della microcriminalità emergono comunque anche reati da bisogni che segnalano un aumento preoccupante dello stato di indigenza e poi una sorta di salto di paradigma con riferimento a realtà nei cui sono notoriamente presenti organizzazioni mafiose. A Palermo, le rapine tra il 2011 e il 2012 sono aumentate del 25% e gli scippi del 12%.
Ora, secondo il “paper” della Banca d’Italia, nell’analisi dei costi-benefici relativa alla presenza nelle grandi realtà urbane della Sicilia di organizzazioni mafiose, occorreva tener presente come il loro controllo del territorio impedisse fenomeni degenerativi sotto il profilo della microcriminalità. I numeri e l’osservazione diretta ci dicono o che questo controllo si è attenuato perché l’organizzazione mafiosa attraversa anche’essa momenti di difficoltà ovvero che i morsi della crisi economica impongono alla stessa organizzazione un modello di rapporto con il micro crimine meno stringente. Quasi cioè si ritenesse che accanto alle tradizionali forme di economia criminale si potessero affiancare altre forme non necessariamente riconducibili alle organizzazioni mafiose prima ritenute incoerenti con la dimostrazione di un assoluto dominio su un territorio. Per quanto riguarda Reggio Calabria, c’è da segnalare, ad esempio, una inattesa joint venture tra le ‘ndrine locali e le organizzazioni criminali dei rom, un modello che si ripete con riferimento ad organizzazioni criminali di diversa etnia, in particolare nel mercato degli stupefacenti, anche in altre città (Palermo, tra tutte).
La crisi economica, insomma, sotto il profilo della criminalità, incentiva reati, riordina gerarchie e filiere di comando nelle organizzazioni, rimette in discussione modelli consolidati, impone schemi di redistribuzione feroce. Speriamo senza indebolire, per “tagli” e ridimensionamenti, l’azione di contrasto.
1 G.de Blasio- C.Menon, Down and out in Italian towns: measuring the impact of economics downturns on crime, Banca d’Italia, Temi di discussione n.925, Luglio 2013. Degli stessi autori, L’effetto della crisi sulla criminalità “locale”, LaVoce.info, 20-12-2012. 2 Sta emergendo, con riferimento ai furti in abitazione la presenza di organizzazioni mafiose di origine georgiana che, con i proventi ricavati, finanziano reati più articolati e complessi (droghe, prostituzione, traffico di merci) 3 Barometro Mondiale da Furti nel Retail (2012).