Mentre l’Europa tentenna, sale in Grecia la protesta. Chi paga per la crisi e chi dovrebbe pagare. Un’anticipazione dall’edizione italiana di Le Monde Diplomatique
Anche i giochi d’azzardo sono toccati dalla depressione! La cifra degli affari dell’industria del gioco e delle scommesse è calata del 16 %. Non che ci siano meno scommettitori, al contrario. I greci che giocano sono sempre di più. Essi semplicemente hanno meno denaro in tasca. Questa caduta brutale nel paese europeo più «appassionato» a giochi di questo tipo riflette la crisi durevole dell’economia reale.
Nel 2009, il Prodotto interno lordo (Pil) greco è calato del 2,6 %, e una riduzione delle stesse dimensioni è prevista per il 2010. Si verifica anche un aumento della disoccupazione che alla fine del 2009, si assestava ufficialmente al 10,6 %, ma il cui livello reale è stimato al 18 %.
I giovani sono i soggetti più duramente colpiti: nel settembre 2009, un giovane di meno di 24 anni su quattro non aveva un lavoro regolare (1). Ciò aumenta ulteriormente la pressione sui salari per il primo impiego. All’epoca delle sommosse ateniesi del dicembre 2008, si è parlato della «generazione dei 700 euro». Essa potrebbe ben presto diventare quella dei 500 euro.
«La Grecia minacciata dal fallimento» ha conquistato dal dicembre 2009 le prime pagine della stampa economica internazionale. In effetti, le cifre sono impressionanti: il governo di Georges Papandreou (Movimento socialista panellenico, Pasok), che ha preso il posto del conservatore Costas Caramanlis soltanto all’inizio di ottobre 2009, ha dovuto annunciare a Bruxelles una nuova cifra del deficit: 12,7 % del Pil per il 2009, il doppio di quanto aveva indicato, tre mesi prima, il precedente governo.
Anche il debito pubblico è salito a 298 miliardi di euro – ovvero il 112,6 % del Pil. Alcuni pronosticano che nel 2010 esso supererà il 124,9 %. La Grecia – che ha visto la sua nota di credito retrocessa dalle agenzie di notazione internazionali – andrebbe allora a prendere il posto dell’Italia come paese più indebitato d’Europa.
Il deficit pubblico ha molteplici cause. Sul versante degli introiti, le frodi fiscali, ampiamente diffuse, privano ogni anno lo stato di 20 miliardi di euro. Per quanto riguarda le spese, l’elemento fondamentale è rappresentato dal bilancio inflattivo di un servizio pubblico inefficiente e gonfiato a dismisura.
Il Pasok ha promesso ai suoi partner dell’Unione europea di ridurre il deficit di quattro punti nel 2010, per riportarlo all’8,7 % del Pil e ricondurlo al di sotto del 3 % entro il 2012. Per conseguire questi obiettivi, il governo deve rinunciare a molte delle sue promesse elettorali e affrontare una forte resistenza alle sue riforme, dal momento che il consolidamento di bilancio imposto dalla Commissione europea minaccia di rinviare la ripresa dell’economia reale… alle calende greche.
Può sembrare ingiusto che il «lavoro sporco» spetti al Pasok. La maggior parte delle spese importanti è da addebitare ai conservatori di Nuova democrazia (Nea dimokratia, Nd) e in particolare al governo Caramanlis. Ma, se si guarda al passato, il Pasok è tutt’altro che esente da critiche.
La riduzione delle spese salariali rappresenta uno dei punti cruciali del programma di stabilità elaborato dal ministro delle finanze Georges Papakonstantinou. Quest’ultimo prevede un blocco delle assunzioni nel settore pubblico e, a partire dal 2011, il ricambio di un solo dipendente pubblico su cinque in via di pensionamento. In generale, ogni ministero dovrà ridurre il proprio bilancio del 10 %, tagliando innanzitutto i salari. Ma tali misure possono recuperare soltanto la metà dei 9 miliardi di euro delle economie previste per il 2010. L’altra metà deve provenire da un incremento delle entrate: vendita di beni immobiliari di proprietà dello stato e, soprattutto, rincaro del 20 % delle tasse su alcol, tabacco e carburante. L’aumento delle imposte dirette colpirà innanzitutto i contribuenti più agiati: tasse speciali sugli immobili di lusso e rialzo dell’imposta sulle successioni.
Secondo il fisco, i più ricchi sono gli operai…
TUTTAVIA, la lotta contro l’evasione fiscale è decisiva. Nella sua dichiarazione di politica generale, Papandreou ha esortato i greci a mostrarsi «contribuenti fieri» in quanto è loro dovere finanziare le spese collettive. L’appello è eroico, poiché è rivolto ad una società il cui eroe incontestato, in tutti gli ambienti sociali, rimane il più abile evasore del fisco: Aristotele Onassis. Il ministro delle finanze prevede un rafforzamento dei controlli. Egli ha rimproverato ai medici del quartiere di Kolonaki, il più ricco di Atene, di dichiarare un reddito annuale «prossimo al salario minimo operaio». Nel 2008, i liberi professionisti (medici, avvocati, architetti) hanno dichiarato un reddito annuale di 10.493 euro, gli uomini d’affari e i traders si assestano su una media di 13.236 euro, mentre quella dei lavoratori dipendenti e dei pensionati ammonta a 16.123 euro. Per il fisco, i più ricchi sono gli operai, gli impiegati e i pensionati (2).
Il governo ha dichiarato che la lotta all’evasione fiscale potrebbe fruttare 3 miliardi di euro all’anno, ma non prima del 2011. I partner europei della Grecia e i mercati non hanno tutta questa pazienza. E spingono affinché si eseguano dei tagli più netti alla spesa pubblica. Si dice già che, dopo il summit europeo dell’11 febbraio, sarebbe stato disposto da Bruxelles un «piano B», nel caso in cui il programma di stabilità non producesse risultati «soddisfacenti»: aumento di un punto dell’Iva e riduzione generalizzata (dal 5 % al 7 %) dei salari della funzione pubblica. Gli europei mettono in evidenza anche un problema che i diversi governi hanno sempre evitato con cura di affrontare apertamente: il crescente deficit delle casse delle assicurazioni sociali.
Per Yannis Stournaras, direttore dell’istituto di ricerche economiche Iobe, la questione delle pensioni è «il fattore centrale che determinerà nel medio periodo l’evoluzione delle finanze pubbliche del nostro paese (3)». La cassa generale delle pensioni e delle assicurazioni di malattia, che ha ricevuto dallo stato 2,9 miliardi di euro, quest’anno dovrebbe essere deficitaria di 13 miliardi.
Il ministro del lavoro e degli affari sociali, Andreas Loverdos, ha presentato a febbraio un vasto piano di misure imperniato su tre punti principali: l’accorpamento dei tredici enti previdenziali esistenti in tre grandi organismi, il che permetterebbe economie di scala; la caccia ai beneficiari illegittimi di pensioni; l’integrazione dei lavoratori in nero al sistema di protezioni sociali.
Loverdos ha anche osato affrontare il delicato problema delle pensioni. Nel settore privato, egli intende portare l’età media effettiva di pensiona mento da 61,5 a 63,5 anni, attraverso un insieme di regolamentazioni ed una penalizzazione del pensionamento anticipato. Un sistema che egli propone di estendere successivamente al settore pubblico. Ma, anche in questo caso, l’Unione esige delle regole più severe: il famoso «piano B» pretenderebbe un innalzamento dell’età pensionabile fino a 67 anni sia nel settore privato che in quello pubblico.
Le proteste possono mutare rapidamente in rivolta sociale?
IL SECONDO PUNTO riguarda il calcolo dell’ammontare dei diritti alla pensione. La nuova legge cambierebbe le regole applicate dalla maggior parte degli istituti, che fissano l’importo delle pensioni in base agli ultimi (da tre a cinque) anni di attività professionale, e non sull’insieme della carriera. Ma i sondaggi di opinione mostrano che due greci su tre non sono disposti a fare tali sacrifici. Essi d’altronde hanno ragione: i redditi reali della maggior parte di loro, già bassi, non aumentano da anni. E, se lavorano nel settore privato, hanno doppiamente ragione, poiché le imposte sul salario sono loro prelevate all’origine, mentre i membri delle libere professioni, che appartengono alle classi medie, piangono miseria.
Il Pasok, che ha promesso durante la sua campagna elettorale una società più giusta ed un rilancio «verde» dell’economia, dovrà affrontare una prevedibile opposizione. Affinché le proteste non si trasformino in un vasto movimento di rivolta, il governo cerca di valorizzare la dimensione «giustizia sociale». Quindi propone l’aumento delle imposte sugli alti salari, sui grandi patrimoni e sulle successioni; una tassazione al 90 % dei bonus bancari e la riduzione drastica dei salari degli alti dirigenti delle aziende nazionali…
Ma tutto ciò non fornirà denaro a sufficienza. L’altro elemento centrale è la lotta contro la corruzione, divenuta uno sport nazionale da cui traggono profitto soprattutto i privilegiati. Il che spiega perché la «tolleranza zero», proclamata dal governo, sia così popolare nell’opinione pubblica.
Il governo deve tuttavia affrontare lo stesso ostacolo che incontra per l’insieme del suo piano di risanamento: il tempo. Ciò è particolarmente vero per quanto attiene alla lotta contro l’evasione fiscale. I dispositivi tecnici per il rafforzamento dei controlli delle innumerevoli piccole imprese e per i liberi professionisti sono tuttora inesistenti. E il blocco dei salari dei funzionari del fisco potrebbe produrre come effetto di fare crescere la loro disponibilità a piccoli espedienti lucrativi. Inoltre, aggiustamenti fiscali troppo severi potrebbero con tutta probabilità mettere in difficoltà numerose piccole società.
Lo stesso ragionamento vale per la lotta all’economia sotterranea: i redditi provenienti dal lavoro nero o «grigio» contribuiscono in tempo di crisi ad ammortizzare le sue conseguenze sociali e a stabilizzare la congiuntura (4). Inoltre, ritardare l’età pensionabile ha come conseguenza il fatto che numerosi posti di lavoro rimangono occupati per lungo tempo, il che riduce ulteriormente per molti giovani le opportunità di accedervi.
La Grecia si rivolge all’Unione. Ma, dalla sua adesione nel 1981, ha percepito più di 100 miliardi di euro di fondi comunitari (5). Dov’è finito questo denaro? Una buona parte è stata utilizzata per le infrastrutture. Grazie a cui lo stato ha potuto, in larga misura, prendersi cura dei suoi contribuenti – a cominciare dai più ricchi di loro. A questi ultimi, infatti, è stato applicato un tasso di prelevamento tra più bassi dell’Unione prima del suo allargamento. Un’altra parte di questi fondi, importante ma difficile da misurare, è approdata su conti privati.
Questa dilapidazione dei fondi e la moderazione nel prelievo fiscale sui redditi superiori si riflettono negli yacht e nelle vetture di lusso, e più ancora nelle ville del weekend presenti nei sobborghi residenziali di Atene. È là che si materializza il denaro destinato a finanziare i programmi e i progetti promessi (per l’industria, ma anche per l’agricoltura e il turismo) e per promuovere uno sviluppo economico di lunga durata. Tale sottrazione di fondi ha anche danneggiato l’ambiente: gli incendi di foreste che divampano pressoché ogni anno nell’Attica e nel Peloponneso sono legati a una deforestazione criminale che, attraverso il fuoco, mira a liberare redditizi terreni edificabili destinati agli ateniesi più facoltosi.
Il piano di risanamento dovrebbe riguardare anche le spese militari. Da diversi anni,queste assorbono più del 4 % del Pil. Da un lato, la Commissione europea – come nel novembre 2009 – raccomanda ad Atene di ridurre la propria spesa in armamenti, mentre dall’altro la Germania e la Francia in particolare fanno pressioni sul governo affinché esso acquisti i loro carri armati, i loro aerei da combattimento o le loro fregate.
Accettare il rigore o essere sanzionati dai mercati
IN GENNAIO, il governo di Atene ha esposto il suo programma di stabilità e di crescita di fronte ai rappresentanti della Commissione europea e della Banca centrale europea (Bce) inviati sul posto. Alcuni partner della «zona euro», in particolare i tedeschi, si sono lamentati dei ritardi, ma sembravano disponibili ad accettarlo. Tuttavia, l’11 febbraio, il summit dell’Unione ha adottato una strategia più dura, qualificando il programma greco come «ambizioso» che nel linguaggio degli esperti significa «irrealistico». Il messaggio è chiaro: accettare il «piano B» o essere sanzionato dai mercati. Atene ha tempo fino al 15 marzo per presentare i suoi primi risultati.
Il governo di Papandreou ammette così apertamente che i greci hanno perduto una quota importante della loro sovranità. L’esecutivo può anche permetterselo: in Grecia si può incontrare una grande condivisione dell’idea europea, che non ha simili in nessun altro paese dell’Unione. Ma, soprattutto, praticamente tutti hanno compreso che, al di fuori della «zona euro», il paese avrebbe conosciuto la bancarotta.
L’eventualità di un’uscita dalla «zona euro» per ritornare alla dracma appare un’ipotesi assurda a molti dirigenti. Una svalutazione massiccia della moneta non farebbe che gonfiare ulteriormente la montagna di debiti del paese – sotto forma di obbligazioni in euro. E la Grecia dovrebbe rinunciare alla manna finanziaria di Bruxelles – forse 23 miliardi di euro – in cui il paese può ancora sperare da qui al 2013. I partner di Atene hanno anch’essi tutto l’interesse a evitare una bancarotta del paese che potrebbe trascinare con sé altre nazioni (Spagna, Portogallo…).
L’imposizione di un programma di «super austerità», facendo così della Grecia la «Lettonia del Sud», come si dice ad Atene, non solamente sarebbe ingiusto, ma anche controproducente. Tale «piano B» ridurrebbe le possibilità di aumentare le entrate pubbliche e colpirebbe qualunque margine di ripresa economica, anche modesta, nel 2011… e dunque impedirebbe di ridurre il deficit.
Alcuni sospettano che vi siano dei paesi europei che operano per una svalutazione «controllata» dell’euro per facilitare le loro esportazioni mondiali. È quindi loro necessario che la situazione della Grecia sia l’alibi per tale operazione?
(1) Ta Nea, Atene, 10 dicembre 2009. Cfr. Anche il rapporto sul quarto trimestre 2009 dell’Istituto di ricerca economica Iobe (p. 6268): www.iobe.gr.
(2) Solamente il 7,5 % dei liberi professionisti e il 13 % dei dirigenti di azienda e dei commercianti hanno dichiarato più di 30.000 euro. Ta Nea, 30 dicembre 2009.
(3) Kathimerini, Atene, 8 novembre 2009.
(4) Cfr. Deutsche Bank Research, «Krisenfest mit Schattenwirtschaft» («L’economia sotterranea permette di resistere alla crisi»), 17 dicembre 2009, www.dbresearchde.
(5) È impossibile stabilire la cifra esatta. Ma alcune analisi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) valutano che, a partire dal 1981, le sovvenzioni provenienti da Bruxelles rappresentino ogni anno circa lo 0,7 % del Pil medio.
(Traduzione di Al. Ma.)
* giornalista, Atene e Berlino
Articolo tratto da Le Monde Diplomatique, edizione italiana, in edicola con il manifesto dal 16 marzo