La pandemia del Covid 19 sta rendendo palese l’importanza delle misure di contrasto alla povertà. Dalle prime sperimentazioni al Rei a al RdC il volume di Cristiano Gori ripercorre le principali tappe della nascita di un sistema di protezione sociale dei poveri in Italia, fino al 2008 trascurato dal dibattito pubblico.
Di recente è stato pubblicato il libro Combattere la povertà: L’Italia dalla Social card al Covid-19, del professor Cristiano Gori, tra i fondatori di Alleanza contro la povertà, una rete di associazioni, realtà del Terzo Settore, sindacati e studiosi.
Il volume ripercorre la storia delle misure di sostegno al reddito in Italia, a partire dai primi dibattiti nelle commissioni governative degli anni ’80, passando per la Commissione Onofri (1997) e la prima sperimentazione del Reddito Minimo di Inserimento (RMI) del governo Prodi nei nel biennio 1999-2000, all’analisi delle prime misure del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA), della social card del 2008 e del 2012, fino ai più recenti Reddito di Inserimento (ReI) del 2017 e Reddito di Cittadinanza (RdC) del 2019.
Dall’analisi emerge come, a differenza degli altri Paesi europei, fino al 2008 il dibattito italiano sulle misure di sostegno al reddito sia stato trascurato per molteplici motivazioni. In primo luogo perché la povertà è stata considerata negli anni un problema di specifiche categorie sociali e territoriali, in particolare i cittadini del Mezzogiorno disoccupati, non assurgendo mai a questione di rango nazionale. La seconda ragione riguarderebbe due delle principali culture politiche del ‘900, ossia quella cattolica e quella comunista, le quali, per ragioni diverse, avevano avversato la promozione di strumenti universali di sostegno al reddito: i primi perché ritenevano fondamentale il ruolo della carità delle organizzazioni religiose, ed i secondi in quanto legati ad una cultura cosiddetta “lavorista”, per la quale la povertà poteva combattersi solo attraverso il lavoro. In terzo luogo, secondo l’autore, l’Italia ha risentito per anni della mancanza di quella che egli denomina provocatoriamente “una vera e propria una lobby dei poveri”, ossia uno o più gruppi di pressione in grado di operare una pressione sulle forze politiche affinché la povertà acquisisse centralità nel dibattito pubblico e nelle scelte dei vari governi succedutisi negli ultimi 20-30 anni.
Un altro tema importante riguarda la definizione di “povertà”, profondamente mutata nel tempo in ragione dei cambiamenti sociali verificatisi tra nell’ultima decade del ‘900 e le prime del nuovo millennio. Si sottolinea, infatti, che a partire dal 2008 sembrano essere saltate le regole che fino a quel momento avevano caratterizzato la definizione di povertà. L’aumento dei cosìdetti working poor, infatti, ha rovesciato alcuni consolidati paradigmi:
- assenza o ridotta povertà in presenza di almeno un occupato nel nucleo familiare, mentre nel 2017 quasi il 10% della popolazione attiva dell’UE è stata considerata a rischio povertà e in l’Italia la percentuale sale al 12,2 (gruppo di ricerca “Working, Yet Poor (WorkYP)”);
- diminuzione direttamente proporzionale della povertà in presenza di pochi figli, mentre nel 2018 secondo l’Istat il 9,5% dei nuclei familiari con un solo figlio minore è in una situazione di povertà assoluta e ben il 17% in povertà relativa;
- aumento della povertà solo tra gli anziani, mentre ad oggi, secondo il rapporto Caritas 2020, il numero dei giovani tra 18 e 34 anni è passato dal 20% al 22,7% facendo emergere ancor di più la c.d. “questione generazionale”.
In questo contesto si colloca l’analisi delle recenti misure di contrasto alla povertà, in particolare il ReI, fortemente voluto dall’Alleanza contro la povertà, ed il RdC, fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle. Se da una parte, infatti, il RdC è nato con l’ambizione di ampliare la platea di beneficiari da 300 mila famiglie a un 1 milione e 100 mila e le risorse da 2,7 a 8 miliardi, dall’altra l’autore sostiene che il ReI sia stato una misura meglio strutturata e progettata perché teneva conto del ruolo dei Comuni, del Terzo Settore e degli assistenti sociali, realizzando una più complessiva ed efficacie presa in carico del soggetto in condizione di povertà e del suo nucleo familiare. Sebbene esistano delle differenze di impianto generale, come già si è avuto modo di analizzare, è possibile riscontrare diverse analogie tra ReI e RdC.
L’ecquivoco di fondo sul RdC consiste nell’essere stato pensato e strutturato come strumento per realizzare politiche attive del lavoro attraverso la condizionalità, creando figure (a loro volta precarie) quali i navigator, non messe nelle condizioni (almeno finora) di assolvere al compito di far incontrare offerta e domanda di lavoro, a causa del problema strutturale di domanda aggregata, oltre che per la mancata riforma dei Centro per l’impiego. Il Reddito di Cittadinanza non poteva essere la soluzione per aumentare l’occupazione, ma è senza dubbio – e la pandemia Covid 19 lo sta dimostrando – un efficace strumento di sostegno al reddito. Tale funzione viene definita con accezione negativa come “assistenzialismo”, mentre trattasi di una sacrosanta forma di solidarietà, di assistenza e protezione sociale. Sempre in tema di pandemia da Covid–19 nel libro viene spiegata la genesi anche del c.d. Rem (Reddito di emergenza) di cui, in questi mesi hanno beneficiato 650 mila persone, ossia coloro che non risultavano coperti dal RdC per mancanza di requisiti.
La riflessione finale è proprio questa: di fronte ad una platea complessiva di 3 milioni (coperte dal RdC) e 650 mila persone (coperte dal Rem) sarà possibile nei prossimi mesi aprire un confronto tecnico sulle misure esistenti di contrasto alla povertà al fine di giungere ad una proposta complessiva che tenga conto di queste recenti esperienze? In particolare sarà possibile allargare ulteriormente la platea dei beneficiari del RdC rendendolo più inclusivo e meno condizionato, lasciando il tema dell’occupazione alle politiche del lavoro ed alle politiche industriali?
Il volume lascia aperti alcuni importanti interrogativi in relazione alla necessità di non ridurre il tema della povertà ad una mera redistribuzione dei fondi pubblici, ma anche all’esigenza di combattere l’impoverimento e quindi le disuguaglianze attraverso la distribuzione della ricchezza prodotta, nonché attraverso politiche del lavoro non incentrate tanto sul rendere “occupabili” i soggetti, quando renderli occupati con salari dignitosi. Aggiungo in conclusione, non potendo approfondire in questa sede, che queste analisi andrebbero messe in relazione alle proposte di reddito universale che in questi mesi sono state rilanciate da movimenti ed associazioni, proprio di fronte alla necessità, resa palese con la pandemia Covid 19, di garantire una continuità di reddito in mancanza di lavoro, o nella impossibilità di lavorare. Rimangono pertanto anche altri interrogativi: a fronte di tantissimi bonus e sussidi diversi, i cui criteri sono spesso stati mutati per consentire un allargamento della platea, esiste lo spazio per garantire una misura di sostegno al reddito universale, slegata dalla particolare situazione lavorativa dei diversi soggetti? Il RdC potrebbe essere modificato anche in tal senso?
Cristiano Gori, Combattere la povertà:
L’Italia dalla Social card al Covid-19 Laterza