Dopo la troika/Il Presidente della Repubblica a Mosca per trattare con Putin, l’opposizione di sinistra chiede di sostenere la politica di Syriza
A fine febbraio, mentre in Ucraina la tregua si imponeva con difficoltà e a Washington si parlava di nuove sanzioni, il presidente di Cipro Nikos Anastasiades ha compiuto un viaggio di tre giorni in Russia. Era la prima visita di un leader occidentale a Mosca da quando è scoppiata la crisi in Ucraina. La visita ha prodotto dodici accordi bilaterali, il più importante dei quali è senz’altro quello che riguarda l’estensione e l’ampiamento della cooperazione militare tra i due paesi. Il nuovo accordo estende la validità di una precedente intesa, firmata nel 1996, che permette alle navi militari russe di accedere ai porti ciprioti e in particolare a Limassol, l’approdo più importante.
Proprio nei giorni di permanenza di Anastasiades a Mosca, la Duma russa ha anche provveduto a ristrutturare il prestito offerto a suo tempo da Putin al precedente presidente di Cipro, il comunista Dimitris Christofias, di 2,5 miliardi di euro. Il saldo del debito è stato posticipato dal 2018 al 2022 e gli interessi abbassati dal precedente 4,5% all’attuale 2,5%. Un regalo generoso. Durante l’incontro con i vertici della Duma, il presidente cipriota ha anche incassato i ringraziamenti per il fatto che in campo europeo Cipro più volte si era schierata contro le sanzioni a Mosca, considerate un boomerang per le economie dei paesi maggiormente coinvolti nell’interscambio con la Russia.
Un altro importante settore di cooperazione previsto dagli accordi è quello in campo energetico. Cipro sta attivamente esplorando i giacimenti energetici (in particolare di gas) nella sua Zona economica esclusiva e ha avviato da tempo un’intensa collaborazione con i due dirimpettai, Israele ed Egitto. Nell’esplorazione delle riserve partecipa attivamente anche l’ENI, che si è aggiudicata due blocchi di mare.
Il presidente di Cipro non ha certo evitato che la sua visita avesse una visibilità e un’esposizione che andava ben oltre la sua effettiva importanza. Il segnale era rivolto verso l’Unione europea ed era un chiarissimo messaggio di insofferenza: mentre l’Europa si dimostra matrigna, i vecchi amici aiutano finanziariamente, mandano milioni di turisti nelle nostre spiagge (+5% nel 2014), comprano i nostri prodotti agricoli e, alla bisogna, ci possono anche proteggere di fronte all’aggressività turca. Va segnalato che le forze armate turche tengono sotto occupazione militare la parte nord dell’isola fin dal 1974, malgrado le ripetute condanne da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Cipro infatti è un paese membro dell’Unione europea (dal 2004) e dell’eurozona (dal 2008) ma non della NATO. Lo stesso Anastasiades, leader del partito di centrodestra Adunata democrarica (DISY), quando è stato eletto nel 2013 aveva proposto che l’isola abbandonasse la sua tradizionale politica non allineata (Cipro era stata tra i fondatori del movimento agli inizi degli anni Sessanta) per aderire a Partnership for Peace. Il ragionamento del nuovo presidente era che l’adesione di Cipro all’Alleanza Atlantica avrebbe costituito un importante passo verso la sicurezza di Cipro, rendendola alleata della scomoda vicina Turchia. La proposta aveva provocato le forti obiezioni del potente partito comunista AKEL, il quale ricordava che l’invasione turca del 1974 era avvenuta con armamento NATO in esecuzione di un piano NATO per la spartizione dell’isola con la Grecia dei colonnelli. Alla fine, anche Anastasiades ha tacitamente accantonato il proposito di PfP.
Ma il vero motivo del recente riavvio dell’intesa cordiale tra Mosca e Nicosia va ricercato nella dura crisi economica che ha colpito Cipro due anni fa. La crisi cipriota è strettamente collegata con quella greca, anche se ha carattere del tutto diverso: sommariamente, nel caso di Cipro il problema è strettamente legato al sistema bancario, mentre in Grecia l’intervento della troika nel 2010 è stato giustificato da una spesa pubblica eccessiva.
Come forse si ricorderà, a Cipro la crisi è scoppiata nel marzo 2013, appena una settimana dall’elezione di Anastasiades alla presidenza della Repubblica. Il fatto è che una delle più grandi banche di Cipro, la Laiki Bank, era passata sotto il controllo di un banchiere e imprenditore greco, Andreas Vgenopoulos, già proprietario in Grecia della banca Marfin. Approfittando del mancato controllo sia della banca centrale di Grecia che di quella di Cipro, Vgenopoulos aveva provveduto a investire gran parte dei capitali della banca cipriota in bond greci, i quali, con lo spread alle stelle, offrivano interessi da capogiro. Secondo denunce della stampa, aveva anche usato le azioni della Laiki per finanziare la vendita di azioni della Marfin. Il tutto con una politica di generosi crediti al personale politico sia in Grecia che a Cipro. Con l’haircut del debito greco verso privati, deciso agli inizi del 2012, la banca cipriota si è trovata priva di liquidità. Nello stesso periodo, anche la seconda grande banca dell’isola, la Bank of Cyprus, aveva esteso in maniera ingiustificata le sue attività, aquistando istituti di credito e aprendo filiali in Romania e in Russia. L’improvviso tracollo della Laiki ha travolto anche la Bank of Cyprus e minacciava tutta l’isola.
La crisi era scoppiata già nel 2012 ma l’allora presidente Christofias non ha suonato l’allarme. Più tardi, ha gettato la responsabilità all’allora governatore della banca centrale di Cipro Athanasios Orfanidis. Alla fine, mentre per la giustizia greca il caso è chiuso, i magistrati ciprioti continuano a indagare sul caso e sulle responsabilità politiche.
Fatto sta che il nuovo Presidente di Cipro si è ritrovato tra le mani uno scandalo di grandi dimensioni che stava minacciando il sistema finanziario dell’isola, la vera colonna dell’economia cipriota all’epoca. Basti dire che nelle banche di Cipro circolavano capitali che ammontavano al doppio del PIL del paese. La richiesta di aiuto di Nicosia verso il meccanismo europeo di stabilità riguardava in tutto 10 miliardi di euro. Per alcune settimane si è assistito allo stesso scenario scomposto in campo europeo che ci era stato offerto appena tre anni prima in Grecia, con l’aggiunta di gravi (ma mai provate) accuse da parte tedesca verso Cipro di “riciclare il denaro sporco” degli oligarchi russi. Nicosia ha reagito alla fuga di capitali chiudendo le banche per un periodo di tempo e, una volta riaperte, limitando drasticamente i trasferimenti. Alla fine si stima che circa 400 miliardi sono stati trasferiti di preferenza verso istituti austriaci o dei paesi baltici. Ma la novità era quella di applicare per la prima volta la ricetta del bail-in, cioè attingere alle riserve interne al paese. È così che fu imposta una tassa del 9,9% per i depositi bancari superiori a 100 mila euro, escludendo dalla tassazione i conti con meno di 20 mila euro.
Come è successo in tutti gli altri casi, anche a Cipro l’intervento finanziario è stato condizionato, dall’imposizione di un programma di severi tagli alle spese pubbliche. Come in Grecia, anche a Cipro la drastica ricetta della troika ha provocato una profonda recessione, anche se di dimensioni più moderate di quanto previsto: nel 2013 si prevedeva un -9% del PIL mentre alla fine è stato dello -5,4% e nell’anno scorso doveva essere del -4% e invece è stato del -2,8%. Per l’anno in corso la Commissione europea prevede un +0,4% mentre la Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo è più ottimista, prevedendo un +0,7%, che poi è il tasso con cui Cipro ha chiuso l’ultimo quadrimestre del 2014. Questo ha permesso a Moody’s di alzare la valutazione del paese a B3 e a Cipro di tornare nei mercati immettendo a giugno del 2014 bond per 750 milioni. Alto invece rimane il tasso di disoccupazione, stabilmente sul 16%.
Tutto bene? Non proprio. Nei memorandum di austerità sottoscritti dal governo erano comprese le privatizzazioni per un totale di 2,8 miliardi entro le 2018 e le aste giudiziarie per le prime case con il mutuo non saldato. Tutte e due le procedure incontrano seri problemi politici. Sulle privatizzazioni in governo prende tempo: l’aeroporto di Larnaca è da tempo in mani private, l’ente pubblico per l’elettricità ATHK, in attivo, forse non sarà venduto e il governo cerca di garantire l’apertura del mercato invitando i privati a investire nelle energie rinnovabili. Neanche i porti saranno messi all’asta, ma solo “alcuni servizi” portuali. Rimane la lotteria di stato, un’altra importante fonte di introiti per le casse pubbliche cipriote.
Le aste giudiziarie per la prima casa sono state bocciate per ben due volte dal parlamento di Cipro. Questo ha provocato l’annullamento della rituale visita della troika e un duro braccio di ferro tra l’esecutivo (e in particolare tra il ministro delle Finanze Harris Georgiadis, un tecnocrate) e la Camera dei Rappresentanti. L’organo legislativo insiste per una regolamentazione favorevole alle famiglie meno abbienti, mentre la troika è molto preoccupata per la rapida ascesa dei debiti non esigibili delle banche cipriote, ora al 49,7% del totale. Felice eccezione le banche cooperative, che controllano circa un terzo dei depositi dell’isola, le quali a fine febbraio hanno annunciato di abbassare il tasso dei mutui per i suoi 132 mila debitori all’1%.
In questa dialettica interna si è inserita la vittoria elettorale della sinistra greca. La politica anti-austerità del nuovo premier Alexis Tsipras non poteva non avere impatti su Cipro, paese di antica e solida cultura greca. Già nella prima riunione dell’eurogruppo con il nuovo ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, Cipro si è trovata al centro del ciclone: il fatto è che il minaccioso ultimatum consegnato a Varoufakis dal presidente dell’eurogruppo Dijsselbloem era stato approvato dai 18 ministri all’unanimità, quindi anche con il voto favorevole del cipriota Georgiadis. Di fronte agli attacchi della stampa isolana, il ministro ha risposto di “non aver compreso bene” le proposte del governo greco. Era il segnale che aspettava l’opposizione di sinistra e di centro per attaccare la politica del governo e chiedere il rapido adeguamento della sua politica con quella di Atene.
A gettare olio sul fuoco è giunta la precisazione della Commissione europea che i paesi membri sono tenuti a rendere conto degli accordi sottoscritti in campo energetico. La dichiarazione di Bruxelles riguardava le intese, in parte ancora segrete, firmate da Gazprom con altri paesi membri europei, come l’Austria, la Slovenia, la Bulgaria, l’Ungheria, la Croazia e anche la Grecia. Ma a Cipro è stata interpretata come un’inammissibile intromissione alla politica energetica portata avanti dall’intraprendente ministro cipriota dell’Energia Yiorgos Lakkotrypis, che ha recentemente firmato accordi per l’esportazione del gas cipriota all’Egitto e in Giordania. Ma anche una sconfessione degli accordi sottoscritti a Mosca, che prevedono il coinvolgimento russo nelle ricerche e nella produzione del gas cipriota. L’esempio negativo viene, di nuovo, dall’esperienza greca: per ben due volte la Commissione europea ha bloccato la privatizzazione delle società greche del gas DEPA e DESFA, ma anche di quella delle ferrovie, malgrado le offerte russe fossero di gran lunga le migliori.
A Cipro, in conclusione, prevale un senso di delusione verso l’Unione europea. La stessa adesione del 2004 era dettata non certo da motivazioni di carattere economico, quanto invece dalla ricerca di uno spazio di sicurezza. In questo decennio invece l’Europa ha fallito nell’esercitare adeguate pressioni ad Ankara perfino rispetto a una richiesta elementare, come era il riconoscimento di tutti i paesi membri – compresa la Repubblica di Cipro – per far andare avanti il negoziato di adesione. Nessuno, ovviamente, parla di uscita dall’eurozona. Ma sembra maturata la decisione di non aspettarsi molto da Bruxelles e di intraprendere una politica estera attiva e rivolta in ogni direzione.