Più di 3.200 immobili all’asta, un capitale di centinaia di migliaia di euro confiscato ai clan. Messi all’asta, a disposizione di chi ha liquidi da spendere
Più di tremiladuecento beni immobili all’asta, un capitale stimato in centinaia di migliaia di euro confiscato ai clan. Ville, appartamenti perfino castelli ma soprattutto aziende. Sarà un caso ma dopo lo scudo fiscale, che legalizza il riciclaggio di denaro sporco, il Governo ha promosso una nuova norma che suona come uno schiaffo nei confronti della parte sana e onesta del nostro paese.
All’interno della Finanziaria approvata al Senato, è inserita una norma che permette la vendita dei beni confiscati alle mafie, una norma che modifica la legge Rognoni-La Torre, approvata proprio dopo l’assassinio del dirigente del PCI siciliano che più di tutti aveva voluto la legge. Nel 1996, più di un milione di firme portarono in parlamento la legge sul riutilizzo sociale di questi beni, che oggi è uno degli strumenti più forti nella lotta alle organizzazioni mafiose.
E’ impressionante scorgere la lunga lista dei beni confiscati alla criminalità organizzata ed accorgersi che la regione con il maggior numero di aziende confiscate è la Lombardia e che Roma dopo Palermo è la città dove sono stati confiscati più immobili. Sono circa novemila i beni confiscati dal 1982, più di 3200 ora rischiano di non essere restituiti alla collettività ma venduti al migliori offerente.
A Montecatini Terme, ad esempio, sarà possibile acquistare il Resort termale di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana, in provincia di Caserta saranno messe all’asta le aziende bufaline legate a Francesco Schiavone, il famoso Sandokan capo dei Casalesi, in Calabria un complesso di appartamenti di Antonio Cordì a Locri, proprietà milionarie da nord a sud. Tutto per finanziare, secondo gli intenti del governo, per il 50% il Ministero degli Interni, per l’altro 50% il Ministero della Giustizia. Un intento apparentemente lodevole ma che nasconde delle false verità, come i circa 700 milioni di Euro non utilizzati del Fondo Unico per la Giustizia, che di fatto ci fanno capire che sotto questo provvedimento c’è ben altro.
Il vero rischio è che a comprare i beni, attualmente in possesso dell’agenzia del demanio, saranno gli stessi a cui sono stati confiscati, magari tramite “amici” o “prestanome”. E’ il caso del commisariamento dei comuni di Canicattì e Nicotera, che nel provvedimento di scioglimento, sono accusati di aver restituito dei beni confiscati alle cosche. Il vero punto debole di questo provvedimento sono le aziende confiscate, per la precisione 1185 quasi tutte sotto ipoteca bancaria, che oggi rischiano di essere un vantaggioso investimento per chi ha grosse somme di denaro liquide, sicuramente non per gli imprenditori onesti che in periodo di crisi difficilmente saranno in grado di fare investimenti così importanti ed esporsi ai rischi che la gestione di un bene confiscato alle mafie comporta.
Un provvedimento, quindi, che rappresenta l’ennesimo regalo alle mafie da parte del parlamento, che rischia di vanificare anche la positiva carrellata di arresti a seguito dell’intensa attività d’indagine perpetrata negli anni.
I risultati della legge 109/96, che promuove il riutilizzo sociale, non sono in discussione: cooperative sociali permettono oggi di garantire lavoro vero nei territori diffondendo una sana cultura del lavoro come strumento di riscatto dalla zavorra mafiosa, centinaia di beni sono stati restituiti alla collettività e sono oggi punto di riferimento per chi si batte nei territori contro le organizzazioni mafiose. L’Eurispes ha definito le cooperative sui beni confiscati una delle eccellenze del nostro paese, perchè capaci di colpire il vero tallone d’Achille delle mafie: i beni mobili e immobili, le proprietà, i profitti.