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Chi c’è, chi non c’è

Lavoro, pensioni, tasse. La manovra si accanisce contro chi la crisi l’ha già pagata. E la aggrava. Grandi assenti: patrimoni ed evasione fiscale. C’era un’altra strada? Sì.

“La prossima volta che vi diranno che in assenza di tagli alla spesa l’America farà la fine della Grecia, rispondete pure che tagliando la spesa in corso di depressione economica faremo la fine dell’Europa”.. La fine dell’Europa, descritta nelle parole di Paul Krugman, è quella dei medici che uccidono il paziente non perché danno una medicina troppo forte, ma perché hanno sbagliato la diagnosi: pensano che la crisi dipenda da un eccesso di spesa nei paesi indebitati, mentre il problema è che si spende troppo poco nell’insieme dell’Europa. Tagliando e tassando si spenderà ancora di meno, la domanda di beni e servizi scenderà e si aggraverà la recessione: andando avanti così, si uccide l’euro, dice Krugman. Per questo non consiglierebbe mai agli americani di seguire il mantra europeo dell’austerità.

Dall’eurotassa alla neuromanovra

Non la prendiamo alla lontana, ma stiamo proprio nel cuore del problema della manovra economica del governo Monti, se per introdurla ricorriamo alle parole del premio Nobel Paul Krugman. Il primo e irremovibile difetto della manovra da 24 miliardi varata a mercati chiusi dal governo, salutata dalle lacrime della ministra del lavoro la domenica e dai sorrisi delle piazze finanziarie il lunedì, è lì, nel suo stesso obiettivo dichiarato: stringere la cinghia, cioè il bilancio, aiutando in questo l’economia a ruzzolare giù per la sua strada. Manovra pro-ciclica, dicono gli esperti. “Se aumentano l’Iva e la gente compra di meno, quando ci riprendiamo?”, dicono sull’autobus. Segno dei tempi: con l’eurotassa facemmo tutti un sacrificio utile per entrare in Europa, stavolta rischiamo di fare (e non tutti) un sacrificio inutile per evitare che i mercati facciano saltare l’Europa. E però, il circolo vizioso potrebbe diventare virtuoso, dicono i tecnici, per la bizantina logica della politica europea. Pare – a essere ottimisti – che ai piani alti dell’Ue abbiano capito che c’è bisogno di una copertura comunitaria per i debiti nazionali, per tenere a bada la speculazione; però prima di darla i governi dei paesi “disciplinati” vogliono essere sicuri (o vogliono far credere ai loro elettori di essere sicuri) che gli “indisciplinati” come Italia & co. hanno messo la testa a posto. Quindi, dopo il bastone di Monti arriverà – col ponte dell’Immacolata – la carotina europea e staremo più tranquilli, almeno in termini di spread.

Sarà. Intanto però – e comunque andrà a finire con l’euro e gli spread – il bastone ha colpito duro qui da noi. Dobbiamo ringraziare la sincerità portata in sala stampa dalla ministra Fornero con le sue lacrime, che resteranno per sempre la vera firma della manovra. Ma non rinunciare a guardare dentro la stangata sulle pensioni, e tutte le altre. Perché, se nel complesso si può dire che una manovra restrittiva da 24 miliardi di questi tempi è una follia sacrificale, va anche aggiunto che c’è – c’era – modo e modo di farla. E tra i modi, il governo d’impegno nazionale ha scelto il più antico e trito, reggendosi sui vecchi pilastri: tagli alle pensioni presenti e future; aumento dell’imposta sui consumi; tasse sulla casa. Non si fa la rivoluzione col fisco, ci avvertono gli scienziati delle finanze: le tasse non possono ribaltare la distribuzione del reddito e della ricchezza che il mercato ha stabilito. E’ vero. Ma anche senza rivoluzioni e ribaltamenti, possono ben distribuire il peso tra varie spalle. Il che non è successo con questa manovra: e se non succede ora, in piena emergenza e pieni poteri del governo, succederà mai?

Casa sì, capitali no

La parte fiscale della manovra è centrata su casa e Iva. Si reintroduce di fatto l’Ici, l’imposta sugli immobili, abolendo quella vanesia e irresponsabile mossa elettorale fatta a suo tempo da Berlusconi: tornerà una soglia di protezione per la prima casa a beneficio delle abitazioni più “povere” (per il catasto), ma quella tassa torneremo a pagarla più o meno tutti. Però sarà più bassa per la prima casa, più alta per le seconde, terze etc. Ma non è l’Ici in sé il problema, né il fatto che i valori delle rendite catastali restano lontani dalla realtà dunque dall’equità (l’aumento del 60% è spalmato su tutte, case del centro accatastate come stamberghe e case di periferia che in confronto risultano extralusso). E neanche solamente il fatto che restano in piedi regimi di privilegio non giustificabili (di privilegi ed esenzioni non è il momento di parlare ora, ha detto Monti rispondendo a domande sulla Chiesa esentasse). Il problema è che, dicendo che solo gli immobili si possono rintracciare e tartassare, il governo spaccia questa come l’unica patrimoniale possibile, rinunciando a mettere nel patrimonio la ricchezza finanziaria. Ci mette solo, ma in separata sede (dunque senza poter fare il cumulo), le barche, gli elicotteri e gli aerei privati. E i titoli, le azioni, le obbligazioni? Niente da fare, tecnicamente non siamo in grado, ha detto il governante tecnico con il banchiere tecnico seduto al suo fianco. Siamo invece in grado – e in sé sarebbe una bella notizia – di mettere il sale sulla coda ai capitali “scudati”, quelli degli evasori fiscali, ripuliti a basso prezzo con il condono Tremonti: li possiamo trovare e far pagare, come a suo tempo avevano chiesto Cgil e Pd, proponendo un’aliquota del 15%. Però pagheranno solo, secondo il decreto Monti, l’1,5%. Pochissimo. Grazie a questo obolo pare che abbiamo salvato pensionati da 700 euro al mese dal blocco dell’indicizzazione sulle pensioni: che all’inizio era previsto per tutte le pensioni superiori al minimo e che invece si applicherà “solo” a quelle al di sopra dei 960 euro mensili. Ossia 9 milioni di pensioni, il 53,5% del totale.

Cassa pensionistica

Quella sulle pensioni è la parte più dolorosa e pericolosa della manovra. Dolorosa, perché congelare la scala mobile sulle pensioni da mille euro al mese comporta un sacrificio economico duro, per i pensionati, in tempi in cui l’inflazione sembra rialzare la testa. E anche perché c’è un’intera generazione, nata attorno agli anni ’50, che si trova di colpo con due brutte novità: andrà in pensione più tardi (per le donne si’innalza all’improvviso uno “scalone” di due anni: una muraglia) e con meno soldi. Ma anche pericolosa: che vuol dire lasciare per più tempo al lavoro la gente mentre fuori la recessione impazza? Se in via generale non è dimostrata una relazione univoca tra l’occupazione dei vecchi e quella dei giovani (cioè: non è detto che se l’età della pensione è più alta c’è meno occupazione giovanile, né è detto il contrario, tutto dipende da vari elementi del sistema), è certo però che, quando c’è la crisi economica e il lavoro è scarso, se i padri e le madri e i nonni restano al lavoro di più, ce ne sarà di meno per i figli e i nipoti. Inoltre, nonostante la retorica sui giovani, non c’è alcuna traccia, nella manovra, di trasferimento dei risparmi pensionistici a un nuovo welfare per i giovani. E allora, perché puntare tanto della manovra sulle pensioni? Per due motivi: simbolo e cassa. Mettere mano alle pensioni è diventato un biglietto di visita, un fiore all’occhiello per le pagelle europee e delle agenzie di rating. E allo stesso tempo permette di fare cassa subito, e tanta. Si dice che così si attua una riforma strutturale, che i parametri andavano aggiustati: ma un conto è dire che, in prospettiva, si dovrà lavorare più a lungo perché si vive più a lungo, e attrezzare i nostri sistemi produttivi e assicurativi su questo; un altro conto è alzare all’improvviso l’ostacolo davanti all’atleta all’ultima curva. Considerando che spesso l’atleta era una ragazza che ha cominciato a lavorare a 18 anni, si è fatta una vita di lavoro tra fabbrica e casa e figli senza godere di alcun servizio di “conciliazione”, ha avuto frequenti interruzioni del lavoro per i motivi prima detti, e adesso in fabbrica neanche ce la vogliono più tanto. (per gli effetti delle manovre pensionistiche sul mercato del lavoro e sulle donne, si veda l’articolo di Michele Raitano su inGenere.it)

Senza tracce

“Non colpite il ceto medio”, è stata l’obiezione che pare abbia fatto sparire dalla manovra all’ultimo momento l’aumento dell’Irpef per i redditi medio-alti. Non si capisce perché si possano invece colpire con tanta facilità i ceti bassi. Infatti, se formalmente l’aumento dell’Iva, che scatterà a metà 2012, riguarda tutti, di fatto pesa di più su chi destina ai consumi una parte maggiore del suo reddito; non perché è uno spendaccione, ma perché ha poco reddito. Anche in questo caso, l’obiezione è un allargar di braccia: non potevamo fare altro, da qualche parte bisogna pur prendere i soldi. Ma senza ricorrere a trovate tremontiane di finanza creativa (a proposito, gioverà ricordare che tutto ciò lo abbiamo ereditato da lui, dal ministro Giulio Tremonti, uscito di scena senza beccarsi fischi), forse altre strade c’erano. Due, come abbiamo visto prima, sono state scartate o depotenziate sul nascere: patrimoniale e tassa sui capitali scudati. Ma la grande occasione persa per un governo d’emergenza è nella lotta all’evasione. Non si fa da un giorno all’altro, ha detto Monti. Il che è vero. Però da un giorno all’altro si può abbassare la soglia di transazioni in contanti consentite: il governo l’ha fatto, ma di pochissimo, portandola a 1.000 euro. Sarebbe servito molto di più, sia in termini pratici che per quella che chiamano “compliance” (tradotto: l’aria che tira, e segnala che conviene mettersi in riga) contro affitti in nero, pagamenti sommersi, parcelle nascoste. A vantaggio dei lavoratori dipendenti che pagano le tasse, e dei tanti lavoratori indipendenti che fanno altrettanto, la massa dei contribuenti avrebbe accettato di buon grado di essere costretta a usare moneta elettronica (carta di credito) o assegni per pagamenti sopra i 200 o i 300 euro. All’ex ministro Tremonti, che pagava in contanti per la casa in cui abitava la bellezza di 8.000 euro il mese, era difficile chiedere una misura del genere. Dai tecnici che adesso girano nelle stanze di Quintino Sella, si pensava di poter avere almeno un messaggio arcigno e concreto agli evasori. Invece non c’è neanche questo.

p.s. Almeno una piccola buona notizia si può dare. Monti – in gioventù allievo di Tobin – ha detto che l’Italia cambierà la sua posizione in sede Ue sulla tassa sulle transazioni finanziarie, sulla quale il suo predecessore aveva messo il veto insieme alla Gran Bretagna. Speriamo che le buone intenzioni non restino sulla carta.