Top menu

Caro Monti, faccia il liberale

Il governo Monti ha sostenuto che i giovani non devono contare sull’aiuto dei genitori, ma ancora non ha introdotto un’imposta sulle eredità

Un milione e passa di euro Monti, sui 3 milioni l’ex banchiere Passera, oltre 7 milioni la ministra Severino (finalmente un gender gap al rovescio), e via elencando. Le fortune economiche del governo tecnico hanno tenuto banco per qualche giorno, dopo la pubblicazione delle “schede-trasparenza”. Purtroppo però subito la discussione s’è spenta, lasciando solo la sgradevole sensazione di aver sbirciato, malmostosi, dal buco della serratura delle belle case dell’altissima borghesia che ci governa: meno patinata, non sbrasona come la precedente, ma altrettanto ben piazzata nella classifica di quelli che i cacciatori di patrimoni chiamano gli “high net worth individuals” (HNWI). Eppure qualcosa si poteva chiedere, anche a un governo come quello di Monti, in materia. E non qualcosa “di sinistra”, votabile solo da una parte del parlamento (seppure); bensì qualcosa di liberale, persino liberista.

Se si guarda ai redditi, guardando a tutta la compagine tecnica e non solo alle sue punte di grido, abbiamo che i ministri italiani attuali sono piazzati nel “top 5”: appartengono cioè al 5 per cento di popolazione che guadagna di più. “Ce li siamo guadagnati, ci paghiamo le tasse”, hanno commentato alcuni dei ministri – e in effetti nel governo precedente pochi potevano affermare le due cose con altrettanta sicumera. Uno potrebbe argomentare sul concetto di giusta remunerazione e sulla forbice che si è aperta tra gli stessi redditi da lavoro, ma tant’è: i “working rich” non sono un fenomeno solo nostrano, semmai da noi si colorano di antico – i banchieri e gli uomini della finanza sono superati dagli avvocati -, ma insomma non siamo i soli, nel mondo capitalistico, ad assistere alla crescita abnorme delle diseguaglianze nei redditi da lavoro (per dire, Severino porta a casa in un giorno, al netto delle tasse, quello che l’italiano medio prende in 170 giorni). Però le differenze si fanno ancora più forti se si guarda alla seconda parte delle “schede-trasparenza”, quella sui patrimoni.

Monti, che quanto a reddito è più “povero” dei ministri della Giustizia e dello Sviluppo, ha un patrimonio immobiliare fatto di dodici case, un ufficio e tre negozi, e una ricchezza finanziaria (fondi e obbligazioni) per 11 milioni di euro. Il collega Passera ha solo due case, ma un patrimonio mobiliare superiore ai 20 milioni di euro. Paola Severino ha 6 milioni in Btp, e una lista di azioni assai nutrita. E l’elenco potrebbe continuare : ne viene fuori che molti tra i membri del governo hanno un patrimonio superiore al milione di euro, cioè appartengono tecnicamente agli HNWI, high-net-worth individual. Secondo Cap Gemini, gli HNWI sono poco più di 10 milioni in tutto il mondo, 3,1 milioni in Europa e 178.800 in Italia. Dunque: se, quanto a redditi, i nostri ministri appartengono alla minoranza del 5% più ricco della popolazione, se si va a misurare la loro ricchezza li si trova in una fascia ancora più ristretta.

Ora, se è vero che sui loro lauti guadagni da lavoro i “working rich” devono – o dovrebbero, salvo trucchi da elusione – pagare le tasse, non altrettanto succede per i loro patrimoni, per i quali è stata ripristinata una forma di imposizione solo relativamente alle case (con il ritorno dell’Ici). E soprattutto, niente o pochissimo si paga al momento in cui le fortune, accumulate in anni di così ben remunerato lavoro, passano agli eredi. In Italia l’imposta di successione di fatto non c’è, poiché ne sono esentati i patrimoni fino a un milione di euro, soglia che non si calcola sull’intero patrimonio ma “per testa”. Vale a dire: se chi muore lascia un valore di 3 milioni di euro a moglie e due figli, questi non pagano nulla. Questo succede al termine di una serie di modifiche della legislazione in Italia: ridotta alla fine degli anni ’90 dai governi Amato e D’Alema, l’imposta di successione è stata abolita dal secondo governo Berlusconi (nel 2001), e poi è stata reintrodotta nella minima forma attuale dal governo Prodi nel 2006. In quasi tutti gli altri paesi capitalistici è molto più forte: in Gran Bretagna, per esempio, vige sì una franchigia abbastanza alta (non si paga niente sotto le 325mila sterline), ma sopra la soglia dell’esenzione la tassa è del 40%. Secondo i dati pubblicati quale mese fa da lavoce.info (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002366-351.html), tra i grandi paesi siamo quello con il gettito più basso da imposte sull’eredità: veniamo dopo Francia, Stati uniti, Spagna, Gran Bretagna e Germania. E’ dagli Stati uniti che è venuta, una decina di anni fa, la mobilitazione dei ricchissimi contro Bush, quando un buon gruppo di abbienti – capitanato da Warren Buffet – si è scagliato contro le proposte di abolire quella che la destra americana chiamava la “death tax”. Che invece, nella teoria della scienza delle finanze, ha un posto d’onore negli scaffali del pensiero liberale. In uno di questi, le Lezioni di politica sociale di Luigi Einaudi, si legge:

“Dovrebbe in primo luogo l’imposta ereditaria falcidiare, alla morte di ogni uomo, tutta l’eccedenza della sostanza che egli in vita ha saputo cumulare al di là di quanto basti a garantire la vita del coniuge superstite, la educazione e la istruzione dei figli sino alla maggiore età economica, la sussistenza dei figli inetti, per deficienze fisiche o mentali, a procacciarsi il sostentamento, il possesso della casa, provveduta di adiacenze, di mobilio, di libri ed oggetti vari, reputata bastevole alla famiglia sopravvivente; sicché la sostanza riservata sia tenuta entro limiti atti a impedire diseguaglianze apprezzabili nei punti di partenza”.

Anche senza arrivare all’estremismo di Einaudi, e proporre “la falcidia” di gran parte della fortuna ereditata, spazio d’azione ce n’è, e parecchio. Soprattutto da parte di un governo che ha sostenuto a diverse riprese, e con toni urticanti, che i giovani non devono contare sull’aiuto di mamma e papà, ma darsi da fare con le proprie teste e le proprie braccia. E allora, caro professor Monti, faccia una cosa liberale: introduca un’imposta sulle eredità. Vera, però.