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Capitali spariti, banche da cambiare

La rotta d’Italia. La Bce dà 1000 miliardi alle banche, ma il credito non c’è. I paradisi fiscali restano e i capitali vanno all’estero. Le entrate Imu finiscono nel salvataggio di Monte Paschi. Come si può cambiare il sistema bancario

Tra dicembre 2011 e febbraio 2012 la BCE presta 1.000 miliardi di euro alle banche europee all’1% di interesse, un tasso di fatto negativo se si tiene conto dell’inflazione. Di questi, più di 200 miliardi vanno a istituti italiani.[i] A fronte di questa montagna di denaro fresco, uno studio pubblicato pochi giorni fa segnala che in Italia solo il 5% delle persone sopra i 15 anni ha ottenuto un prestito negli ultimi 12 mesi, a fronte di una media europea del 13%.[ii]

Da anni ci sentiamo ripetere che le banche italiane non sono coinvolte in fenomeni speculativi, a differenza di molte loro omologhe. Che non giocano con i derivati, non sfruttano leve finanziarie insostenibili, non sono piene di titoli tossici. In una parola, le banche italiane fanno le banche. Ma le banche non dovrebbero erogare credito? E dove sono andati a finire i soldi della BCE? Una parte è stata utilizzata per acquistare titoli di Stato. Una misura magari positiva per lo spread, ma rimane il fatto che famiglie e imprese, in particolare quelle di piccola dimensione che rappresentano l’ossatura produttiva del Paese, non riescono ad avere accesso al credito.

Il mantra che ci viene ripetuto ogni giorno è che occorre tornare a crescere. Trascuriamo per un momento il non-senso di fondare gli obiettivi politici unicamente su una continua crescita del PIL.[iii] Chi dovrebbe trainare questa ipotetica crescita? Non certo lo Stato, sottoposto a una rigida cura dimagrante, a misure “lacrime e sangue”, a tagli al welfare e alla spesa pubblica. Lo stesso FMI ha recentemente chiesto scusa, ammettendo che i piani di austerità sono un disastro per l’economia, la crescita e l’occupazione.[iv] Meno che mai le imprese possono essere i motori della crescita, se vengono strangolate dal credit crunch. Rimarrebbe forse il risparmio accumulato negli anni dalle famiglie italiane. Lo stesso risparmio che sempre più spesso serve però come ammortizzatore sociale e per compensare i tagli al welfare.

E allora le banche devono tornare a erogare credito. Non per una generica “crescita”, ma per finanziare e contribuire alla realizzazione di un diverso sistema economico che tuteli i diritti e la dignità del lavoro e sia ecologicamente sostenibile. Oggi questo non avviene, se non in minima parte. Non solo c’è una stretta sul credito, ma questa stretta riguarda in primo luogo proprio i settori più vitali dell’economia, quelli più innovativi, le nuove esperienze di “altra economia” o di economia sociale.

All’estremo opposto, quanta parte del credito bancario finisce ai soliti noti del “salotto buono” del capitalismo nostrano? Sarebbe interessante capire, per ogni banca, quanta parte della raccolta proviene dai cittadini e quanta parte dei prestiti erogati torna loro. Capire se una parte del sistema bancario di fatto raccoglie il risparmio di milioni di clienti e piccoli risparmiatori per erogarlo a un circolo ristrettissimo di persone e imprese. In altre parole, se questa parte del sistema bancario funziona come una gigantesca macchina di “redistribuzione al contrario” della ricchezza, dove il risparmio di milioni di persone viene drenato e incanalato verso l’alto. Forse le grandi banche italiane non speculano come le loro omologhe estere, ma le responsabilità nella recessione attuale, pur se differenti, sono altrettanto pesanti.

Il discorso sulla “redistribuzione al contrario” potrebbe ripetersi andando a vedere su chi ricade gran parte del peso delle tasse, e dove vanno a finire queste risorse. In questi giorni Monte dei Paschi di Siena chiede 3,9 miliardi di euro di aiuti di Stato.[v] Secondo le prime stime del governo, dall’introduzione dell’IMU sulla prima casa dovevano arrivare 3,8 miliardi.[vi] In pratica tutti i proprietari di una casa in Italia hanno contribuito, inconsapevolmente e senza possibilità di scelta, a tenere in piedi la più antica banca del Paese. Pochi mesi prima molti tra i maggiori gruppi bancari italiani versavano centinaia di milioni di euro per chiudere vertenze con l’Agenzia delle Entrate per accuse di comportamenti fiscali scorretti.[vii]

La finanza deve cambiare rotta. Da anni reti e organizzazioni della società civile internazionale chiedono regole e controlli per chiudere il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi. In questi giorni Banca Etica ha lanciato un proprio appello a tutte le forze politiche, chiedendo una presa di posizione e delle risposte concrete su diverse questioni. Se e come il prossimo governo intende migliorare la debole proposta di tassa sulle transazioni finanziarie, in modo da renderla davvero uno strumento in grado di contrastare la speculazione.[viii] Quali misure si intendono adottare contro la fuga di capitali verso i paradisi fiscali. Quali misure verranno messe in campo per favorire il credito alle imprese sociali e al no profit. E via discorrendo.[ix]

Nella maggior parte dei casi non ci sono difficoltà tecniche per introdurre queste o altre regole. È una questione di volontà politica, tanto su scala nazionale quanto europea e internazionale. Una volontà che fino a oggi è mancata. Sulla questione dei paradisi fiscali, ad esempio, diverse nazioni hanno introdotto dei controlli sui movimenti di capitale in entrata e in uscita. Si può lavorare per una rendicontazione Paese per Paese dei dati contabili di tutte le imprese multinazionali, in modo da contrastare tanto l’evasione e l’elusione fiscale quanto la corruzione e il riciclaggio.[x] Per favorire le imprese sociali si può utilizzare la leva fiscale o pensare differenti incentivi.

Una proposta concreta. Nei prossimi anni bisognerà tradurre in Italia le nuove disposizioni di Basilea III, l’accordo pensato per limitare il rischio delle banche. Nella sua versione attuale (Basilea II), la legge italiana, a differenza di quella di altre nazioni europee, prevede che tutto il mondo del no profit sia considerato di default a rischio massimo, mentre le imprese profit e ancora di più di quelle di maggiori dimensioni godono di condizioni più favorevoli. Tutto questo anche se negli anni il terzo settore si è dimostrato almeno altrettanto affidabile di quello “tradizionale”. La stessa Banca Etica lavora da oltre un decennio finanziando prioritariamente proprio il settore no profit, e con tassi di sofferenza nettamente inferiori alla media del sistema bancario italiano. Perché allora non cambiare i coefficienti di rischio, il che equivale a permettere alle imprese sociali e alle nuove forme di economia un più semplice accesso al credito? Ancora meglio sarebbe introdurre un ulteriore parametro che tenga conto anche del rischio e dell’impatto ambientale, premiando nell’accesso al credito le imprese sostenibili e penalizzando chi inquina di più. Ecco come si potrebbero mettere in campo degli strumenti concreti di politica economica. Favorire le imprese più innovative e lavorare nella direzione della tanto sbandierata green economy, il tutto a costo zero per le casse pubbliche.

Questi sono unicamente alcuni esempi. Per cambiare rotta, da un lato tutti noi possiamo scegliere banche che erogano credito all’economia reale e ai progetti ambientalmente e socialmente migliori. Le banche non sono tutte uguali. Alcune fanno davvero ciò che le banche dovrebbero fare, sostenendo l’economia, agendo come uno strumento al servizio dell’insieme della società, operando con criteri di responsabilità e trasparenza. Scegliere questi istituti significa sottrarre risorse alla speculazione e all’attuale modello dominante per contribuire al contrario con i nostri risparmi alla costruzione di un differente sistema economico.[xi]

In parallelo la politica può e deve fare la sua parte, e in questo momento pre-elettorale dobbiamo pretendere impegni chiari. La finanza dovrebbe essere una parte della soluzione, non uno, se non il principale, problema. Contribuire a realizzare tale obiettivo è un obbligo che chiunque voglia candidarsi a guidare il Paese nei prossimi cinque anni deve assumersi, in maniera vincolante, da subito.

[i]www.linkiesta.it/dalla-bce-altri-530-miliardi-alle-banche-stavolta-andranno-alle-imprese [ii]www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=14429 [iii] Sono stati elaborati diversi indicatori alternativi per imsurare il benessere e non unicamente la crescita economica. Vedi ad esempio il QUARS, l’Indice di Qualità dello Sviluppo Regionale: www.sbilanciamoci.org/quars/ [iv] Sul mea culpa del FMI vedi: www.nonconimieisoldi.org/blog/abbiamo-sbagliato/ [v] www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-11-29/chiede-miliardi-aiuti-stato-064153.shtml’uuid=AbBZaP7G [vi]www.governo.it/GovernoInforma/dialogo/aree/patrimoniale/IMU_analisi_ex_ante.pdf [vii]www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Scandali-e-truffe-banche-in-tribunale-16106 [viii] Per maggiori informazioni sulla proposta italiana di tassazione delle transazioni finanziarie vedi: www.zerozerocinque.it [ix] L’appello è disponibile sul sito www.bancaetica.it [x] Per saperne di più sulla rendicontazione Paese per Paese (Country by Country reporting) e la sua importanza nella lotta ai flussi finanziari illeciti: www.taxresearch.org.uk/Documents/CountrybyCountryReporting.pdf [xi] Per maggiori informazioni, vedi ad esempio www.nonconimieisoldi.org o la campagna inglese “Move Your Money”: http://www.moveyourmoney.org.uk/