La Corte Costituzionale ha respinto il ricorso sulla presunta incostituzionalità di un prelievo aggiuntivo su bonus e stock option dei manager
Il 16 luglio scorso la Corte Costituzionale ha depositato una sentenza1 che è destinata a segnare una storica inversione di tendenza. Sino a oggi, infatti, Palazzo della Consulta si è sempre posto a difesa dei privilegi (tutte le leggi che hanno provato a introdurre prelievi sulle cosiddette pensioni d’oro su ricorso di ex magistrati sono state dichiarate incostituzionali)2, invocando il superiore divieto dell’art. 53 della Costituzione di introdurre imposte o prelievi non generalizzati ma rivolti solo a una determinata categoria di contribuenti. Nel caso delle pensioni ci si era spinti a sostenere che tali orribili balzelli avrebbero attentato alle pensioni considerate “un reddito differito”. In altre parole si sosteneva e si sostiene che la pensione, ancorché maturata con il precedente e anacronistico sistema retributivo, altro non sarebbe che una quota di stipendio che viene liquidata successivamente.
Il quesito posto questa volta alla Corte è invece il seguente (semplifico ovviamente): è rispettosa degli art. 3 e 53 della Costituzione una legge (art. 1 legge 30 luglio 2010 n. 122)3 che prevede un prelievo addizionale con aliquota del 10% sui compensi variabili (bonus e stock options) riconosciuti a manager e co.co.co del settore finanziario?
Con sorpresa, questa volta la Corte ha respinto il ricorso sulla presunta incostituzionalità perché il provvedimento, sono le parole della sentenza citata, “rappresenta un disincentivo per le prassi retributive che possono avere l’effetto di condurre all’assunzione di rischi eccessivi di breve termine da parte della categoria di contribuenti sottoposti al prelievo. Questi ultimi, in ragione del tasso di professionalità, dell’autonomia operativa, del potere decisionale di cui godono e dell’ispirazione a maggiori guadagni personali (…) sono in grado di porre in essere attività speculative suscettibili di pregiudicare la stabilità finanziaria. Un rischio di questo genere non ricorre per l’attività degli altri contribuenti che vengono retribuiti in modo analogo ma non hanno la stessa possibilità di incidere, con il loro operato, sulla stabilità dei mercati finanziari”. Il punto di partenza, sono sempre le parole della Corte evidenziate, è da ricercare nelle dichiarazioni emerse dal G20 di Pittsburgh del 2009, “che, con riguardo ai problemi afferenti alla crisi economica globale, ha individuato, tra le aree critiche su cui incidere al fine di agevolare la stabilità finanziaria, le modalità retributive recanti l’effetto di incentivare l’assunzione di rischi eccessivi”.4
In altre parole passa il principio “chi può sbagliare paga”, soprattutto se a subire gli effetti sono le rendite (finanziarie) altrui. Certamente un bel passo in avanti ma chissà se i magistrati avranno il coraggio di aprire la porta alla lotta alla cultura della rendita, già denunciata da Jacques Necker, direttore generale delle finanze e poi Ministro con Luigi XVI alla fine del ‘700?
Illuminante un passaggio del padre di Mme De Stael in proposito: “Niente è più contrario all’equità nella ripartizione del carico tributario che un prelievo di risorse sulla generalità dei cittadini del regno che vada a profitto di un numero limitato di persone, solitamente già favoriti dalla loro situazione di partenza. E tuttavia proprio questo accade quando un cattivo governo consuma una parte delle imposte a fare doni eccessivi, o per corrispondere cariche pubbliche inutili, o per eccessivi guadagni che consente di lucrare al mondo della finanza”. 5
Doni eccessivi (pensioni costruite sul principio retributivo e o invalidità o indennità troppo facilmente concesse); cariche pubbliche inutili (qui l’elenco è infinito…) o eccessivi guadagni (anche qui…) potranno finalmente cadere sotto la scure della nuova politica renziana?
La risposta passa ancora per la Corte: riuscirà a liberarsi dal giogo intellettuale della categoria di cui è espressione e che si ritiene eletta tra gli eletti e comprendere che il magistrato non deve pagare di più perché potrebbe sbagliare (nessuno è infallibile), ma semplicemente perché privilegiato e, come molti degli alti funzionari pubblici e dei rent seeker privati, beneficiari dell’inamovibilità (retributiva e/o posizione)? A mio modo di vedere tale inamovibilità dovrebbe anch’essa essere configurabile quindi come una rendita: anche quest’ultima deve avere un prezzo, concretizzabile in un contributo a beneficio della collettività.
La sicurezza economica ora più che mai ha un valore e quindi è giusto che chi ne benefici contribuisca maggiormente al benessere della collettività.
1 Sentenza n. 201/2014 del 9 luglio 2014 nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco, nel procedimento vertente tra Iardella Maria Teresa e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Lecco con ordinanza dell’8 ottobre 2013, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2014. 2 In particolare la sentenza n. 116/2013 depositata il 5 giugno 2013. 3 Che convertiva il DL sui compensi variabili delle misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica 4 Anche l’Unione Europea è andata in questa direzione con la Direttiva del 26 giugno 2013 n. 2013/36/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE). 5 La citazione è tratta da Garonna P., L’Europa di Coppet 1780-1820. Una lezione dalla storia per il futuro dell’Europa, Franco Angeli, Milano 2008.