Il treno su cui viaggiate deraglia. In quanto passeggero, siete chiamato a ripagare i danni. Prima di comprare il biglietto avreste dovuto controllare l’affidabilità del capotreno e la manutenzione di locomotiva e vagoni. Se non l’avete fatto, la responsabilità dell’incidente è anche vostra. Impossibile? Con le normative entrate in vigore all’inizio dell’anno e il cosiddetto bail-in, in caso di crisi bancaria […]
Il treno su cui viaggiate deraglia. In quanto passeggero, siete chiamato a ripagare i danni. Prima di comprare il biglietto avreste dovuto controllare l’affidabilità del capotreno e la manutenzione di locomotiva e vagoni. Se non l’avete fatto, la responsabilità dell’incidente è anche vostra. Impossibile? Con le normative entrate in vigore all’inizio dell’anno e il cosiddetto bail-in, in caso di crisi bancaria gli azionisti, poi gli obbligazionisti e quindi i clienti con conti sopra i 100.000 euro potrebbero dovere sostenere le perdite. Come facciamo però a capire quanto è solida la nostra banca? Visto che siamo chiamati a controllarla, come superare la gigantesca asimmetria tra chi vende un proprio prodotto finanziario e chi lo compra?
I parametri per misurare la solidità di una banca sono definiti nell’accordo di Basilea. Semplificando, misurano il rapporto tra il patrimonio della banca e i prestiti. L’idea è che tra i prestiti erogati alcuni non verranno restituiti, e la banca deve avere un capitale a disposizione per coprire le potenziali perdite. Più il rapporto tra il patrimonio e i prestiti concessi è alto, più la banca è solida. Esistono diversi indicatori denominati Core Tier 1, Total Capital Ratio e altri ancora.
Da soli, questi indicatori sono però per lo meno insufficienti. Dicono come fare fronte a delle perdite. Ma queste perdite, a quanto potrebbero ammontare? Per capirlo bisogna guardare le sofferenze, ovvero la quantità di prestiti erogati che non vengono restituiti. In media le sofferenze delle banche italiane hanno superato il 10%, ma con differenze enormi tra una e l’altra. E guardare le sofferenze non basta ancora, perché una banca può (anzi deve) accantonare delle risorse per coprire tali perdite senza dovere intaccare il proprio patrimonio.
Bene. Controlliamo Core Tier 1, Total Capital Ratio, sofferenze, accantonamenti. Tutto a posto? Non ancora. Anzi, verrebbe da dire che questo è il meno. Perché per molte banche i crediti sono poca cosa. La stragrande maggioranza delle attività è compravendita titoli, speculazione su valute, giochi con i derivati e chi più ne ha più ne metta. Operazioni che stanno al di fuori del calcolo dei coefficienti. Al di là del trading in proprio, è anche possibile rivendere i crediti erogati sui mercati di tutto il mondo tramite operazioni chiamate cartolarizzazioni, sfuggendo così ai controlli.
Ancora, molte banche sono legate a doppio filo a società che svolgono le stesse operazioni ma non sono banche, e spesso sono registrate in qualche paradiso fiscale. E’ il sistema bancario ombra o shadow banking system, che permette di spostare fuori bilancio buona parte delle attività. Non parliamo di bruscolini, anzi. L’anno scorso negli USA c’è stato il sorpasso: la dimensione del sistema bancario ombra ha superato quella del sistema “ufficiale”. In Europa non siamo lontani. Se gran parte delle poste sono messe fuori bilancio nel sistema ombra, verificare la solidità della banca diventa pressoché impossibile.
Con le cartolarizzazioni posso eludere l’accordo di Basilea e concedere sempre più prestiti. Con il sistema bancario ombra posso giocare con il bilancio. Ancora, se non si separano le banche commerciali da quelle di investimento, gran parte dell’attività rischia di essere speculazione che non rientra nei coefficienti patrimoniali. Al momento del fallimento, Lehman Brothers rispettava non solo i criteri di Basilea II ma anche quelli ben più stringenti di Basilea III, pensati dopo la crisi per rendere le banche più solide. Bene, direte voi, ma ora che i piccoli risparmiatori sono chiamati a controllare le banche, queste operazioni saranno vietate, giusto? No, è l’esatto opposto.
A fine 2015 la Commissione europea ha proposto la Capital Markets Union o CMU, una direttiva che dovrebbe aiutare la crescita dell’economia. Come? Per quanto possa sembrare incredibile, rilanciando le cartolarizzazioni e il sistema bancario ombra. Nello stesso momento, la normativa sulla separazione tra banche commerciali e di investimento è impantanata tra veti incrociati e infinite discussioni, e probabilmente non vedrà mai la luce. Nel momento in cui scaricano su piccoli risparmiatori a digiuno di finanza l’onere e la responsabilità di controllare la solidità di una banca, tra CMU e dintorni gli astuti burocrati europei rendono difficilissimo, se non impossibile, capirne il reale stato di salute.
Arrivati a questo punto, probabilmente starete pensando che varcare la soglia della vostra filiale sia un’impresa da fare impallidire il più coraggioso degli Hobbit. Se questo è l’impianto normativo, difficile fare affidamento sulle regole. Occorre allora organizzarsi “dal basso”. Pretendendo la massima trasparenza sull’operato della propria banca. In Italia Banca Etica è l’unica che pubblica sul proprio sito tutti i finanziamenti concessi alle persone giuridiche; le sofferenze non arrivano al 3%, a fronte di una media del sistema bancario italiano superiore al 10%; nessun legame con il sistema bancario ombra o i paradisi fiscali; la banca è di proprietà di quasi 40.000 soci, riuniti in gruppi locali che sul territorio realizzano una valutazione sociale e ambientale di ogni richiesta di finanziamento; il rapporto tra lo stipendio più alto e quello più basso non supera 6 a 1; non ci sono bonus legati al piazzamento di particolari prodotti finanziari.
Un modello in cui già da anni azionisti, clienti, risparmiatori di fatto controllano l’operato della banca. Ma non perché normative astruse impongano di diventare cani da guardia di una finanza tanto complessa quanto incomprensibile. Al contrario, perché una piena condivisione degli obiettivi e una completa trasparenza portano a una reale partecipazione e alla costruzione di un percorso comune e di un modello finanziario in antitesi a quello dominante.
Voi da che parte scegliete di stare?
Questo articolo è pubblicato anche su Il Manifesto