Il caso (surreale) della Banca Popolare di Spoleto dove alti esponenti di Banco Desio, che l’ha acquistata, Commissari straordinari e persino alti dirigenti della Banca d’Italia sono indagati per presunte irregolarità
Le vicende della crisi delle quattro banche locali, su cui si vanno sprecando fiumi di inchiostro, mostrano anche lo stato di grande confusione che tende a regnare nel dibattito relativo al nostro sistema finanziario. Vale la pena, quindi, di ricordare nei suoi giusti contorni, a questo proposito, un altro caso di cui si parla in questo periodo e che,tra l’altro, mette in una posizione particolare la Banca d’Italia.
Il caso della Banca Popolare di Spoleto appare persino surreale: alti esponenti di Banco Desio, che ha acquistato alla fine la Banca Popolare di Spoleto quando era in Amministrazione Straordinaria, nonché Commissari straordinari nominati dalle Autorità di Vigilanza, e per finire alti dirigenti della Banca d’Italia, tra cui addirittura il Governatore Visco, sono indagati per presunte irregolarità e per presunti favoritismi nella Amministrazione straordinaria e in particolare nel culmine di questa, vale a dire nella vendita della Banca a Banco Desio.
Le contestazioni sono di varia natura, relative ai presupposti dell’Amministrazione straordinaria, ritenuti insussistenti, alla ritenuta eccessiva severità nelle svalutazioni dei crediti ed infine, ed anche soprattutto, alla vendita alla Banca citata invece che ad un gruppo bancario asiatico. In via sintetica, si sarebbero esagerate le condizioni di crisi per vendere ad una banca amica, “rectius” gradita alla Banca d’Italia.
Per avere un quadro completo della questione, bisogna sottolineare che l’Amministrazione straordinaria si era inserita in un contesto molto litigioso: e questo intanto tra i vecchi soci, poi tra l’ultima amministrazione ordinaria (in cui il Direttore Generale era un “manager” di livello, fino ai primi anni 2000 importante dirigente Consob noto per il rigore –anche eccessivo-, mentre pende tuttora una causa giuslavoristica per lo scioglimento del lavoro di questi, scioglimento determinato dai Commissari Straordinari) e la penultima, infine tra le varie cordate interessate all’acquisto. Il provvedimento di commissariamento è stato impugnato e annullato in prima istanza e quindi, in pendenza di giudizio al Consiglio di Stato, è stato poi reiterato e nuovamente impugnato.
In tale quadro, estremamente litigioso ed anche oggettivamente controverso, si inserisce la contestazione principale fatta alla Banca d’Italia ed ai Commissari Straordinari, quella di aver favorito l’acquirente a favore degli altri contendenti e dei vecchi soci.
I profili critici di legittimità e di regolarità dei provvedimenti di commissariamento e di altra natura, tra cui il licenziamento dell’ultimo Direttore Generale, non possono essere definiti manifestamente insussistenti e saranno risolti solo con le sentenze finali –che presumibilmente saranno quelle della Cassazione, pertanto tra quasi un decennio-. Ciò non autorizza alcuna illazione, visto che sono profili inevitabili in questioni complesse, il tutto aggravato dalla circostanza che la normativa è tutt’altro che univoca. E soprattutto da qui a parlare di reati il passo è enorme. Si evidenziano i presunti eccessi di svalutazione dei crediti –e questo è un fatto comune a tutti i casi di crisi bancarie-, ma l’esperienza dimostra che i crediti delle banche in crisi non hanno in genere, al momento del realizzo, sorte maggiore di quanto determinato dalle svalutazioni: l’eccessività delle svalutazioni non è mai stata confermata dai fatti. Fantomatici acquirenti del territorio o istituti stranieri si sono poi sempre rivelati inesistenti. Ma non solo, si dimentica il quadro normativo: spetta a Banca d’Italia autorizzare l’acquisto di una partecipazione societaria maggioritaria in una Banca, valutando se vi siano i presupposti per una sana e prudente gestione del credito.
Oltre ai profili di merito, che vedono l’iniziativa giudiziaria del tutto inconsistente, non si comprende perché essa sia stata indirizzata anche verso i Commissari, estranei ai profili autorizzativi all’acquisto.
Che la fantomatica banca asiatica avesse i giusti requisiti appare dubbio. Nel concreto, ad un’analisi obiettiva e disincantata, all’acquisto di Banco Desio non vi erano alternative: anzi, si è trattato, in realtà, di un salvataggio privato. Ed è risaputo, in modo ufficioso ovviamente, che situazioni del genere appartengono al dominio della “moral suasion”, e che fino a pochissimo tempo fa, prima degli interventi negativi dell’Unione Europea, banche che, durante le ispezioni della Banca d’Italia vedevano emergere profili delicati e che quindi avrebbero portato alla proposta di piani di risanamento, per ottenere un atteggiamento più indulgente della stessa Banca nell’esame di tali piani, i suoi dirigenti salvavano di frequente una banca in crisi –Banco Desio era appena uscito da uno scandalo per operazioni sospette con la Svizzera-.
Che un’operazioni di salvataggio veda inquisiti i protagonisti della stessa appare una bizzarria veramente italiana. Che poi l’acquirente compri a condizioni migliori di quelle in situazione non di crisi e faccia un affare è un’evenienza normale degli acquisti di aziende in dissesto (tra l’altro, per completezza, voci officiose evidenziano che finora l’acquisto non si è affatto dimostrato un affare per Banco Desio).
In definitiva, sembra trattarsi di una situazione surreale, nata per non conoscenza dei termini esatti della questione. Si diffonde un atteggiamento di avversione verso Banca d’Italia e verso il sistema bancario in una direzione –di critica dei salvataggi- e contemporaneamente in quella opposta –di mancanza di salvataggi-.
Un ulteriore cenno va fatto alla stessa Banca d’Italia, provvista fino a poco tempo di un potere estremo, basato su una normativa dai confini incerti e malfermi: ora le disposizioni comunitarie ne restringono lo spazio, il rapporto con la BCE sta diventando di vera e propria dipendenza, e, come ciliegina sulla torta, la sua credibilità è intaccata da vicende a volta ad essa esterne ed a volte no, vale a dire anche da suoi comportamenti incerti. Ma non è con attacchi indiscriminati ed irresponsabili che la si indirizza verso l’eliminazione o comunque la riduzione dei profili critici. Anzi, viene il sospetto che gli attacchi verso di essa siano direttamente proporzionali al venir meno della sua potenza e del suo prestigio.
Nel caso in esame vi è un’indagine giudiziaria, e non ci si deve certo accostare in maniera pregiudiziale contro chi critica i potenti: ma una analisi puntuale sui presupposti giuridici, del tutto insussistenti e tali da travisare e da disarticolare l’intero impianto normativo, si rivela doverosa. Ciò soprattutto tenendo conto che l’iniziativa giudiziaria in esame rientra in un quadro in cui l’approccio verso la fase di incertezza che domina lo stato dei mercati è caratterizzato da mancata lucidità e razionalità, sia in un senso che in quello opposto.
Alla fine, la vicenda in esame può essere compresa nella sua compiutezza solo qualificandola quale frutto di delirio (di qui il titolo del presente scritto, che richiama un film “horror” di oltre 40 anni fa, con Brigitte Bardot, Alain Delon e Jane Fonda): ma il ricorso all’irrazionale è troppo semplicistico; come insegnavano Hegel e Marx la Storia non ha mai torto, ha sempre una qualche ragione più o meno sotterranea che la muove. Occorrerebbe quindi un esame più complesso dell’intero sistema finanziario.
Francesco Bochicchio è avvocato di professione. Ha scritto numerosi saggi in materia giuridica, finanziaria, politica. E’ attualmente professore a contratto di Diritto dei Mercati Finanziari presso la cattedra di Economia degli intermediari finanziari dell’Università di Parma. E’ stato Commissario Straordinario di una delle quattro banche appena salvate.