La semestrale di agosto ha certificato ulteriori perdite di bilancio per circa 232 milioni di euro per l’istituto marchigiano. E ora è in arrivo un piano di ristrutturazione lacrime e sangue
Può portare certamente a molte riflessioni l’avventuroso intreccio delle vicende del Monte dei Paschi di Siena. Da una parte, sono presenti nel caso alcuni elementi di eccezionalità, troppo sottolineati peraltro dai media nazionali ed internazionali, mentre andrebbero ricordati invece soprattutto, a nostro parere, i suoi caratteri di normalità e di quotidianità.
Per quanto riguarda il primo tema, indubbiamente pesano nel renderlo un fatto molto rilevante da una parte le stesse dimensioni del caso, dall’altra anche la rivelazione dei molti episodi di corruzione.
Ma non meno rilevanti appaiono gli aspetti che ci rimandano ad una normalità della trama rispetto alle pratiche ordinarie del sistema finanziario e politico del nostro paese; e da questo punto di vista c’era certamente poco da stupirsi.
Così i giornali si sono meravigliati per le diverse operazioni su derivati che sono emerse nella vicenda. Ma pratiche analoghe si sono manifestate e da tempo nella gran parte delle banche del nostro paese.
Nel frattempo, lo scoppio di altri casi, quali quelli della BPM, della Banca delle Marche e più di recente della Carige e di altre banche minori, indicano che vanno messi in discussione complessivamente molti aspetti del funzionamento del nostro sistema economico, politico e finanziario.
Appare chiaramente da tali casi come i vari partiti politici, a destra e a sinistra dello schieramento, a livello nazionale e locale, operino di frequente di concerto nello spartirsi poltrone, incarichi, prebende, influenze e nel farne godere i loro amici, come poi il management delle banche faccia spesso i propri esclusivi interessi in maniera lecita e meno lecita, come ancora gli organi di controllo tecnico interni ed esterni, così come gli azionisti e le eventuali fondazioni presenti nella compagine azionaria non controllino nulla e come infine la stessa Banca d’Italia intervenga, quando interviene, spesso tardivamente, anche se alla fine essa sembra restare l’ultimo baluardo della legalità. Un vero inferno.
Emerge come sembra comunque essersi smarrita anche a sinistra una idea di gestione degli affari economici che guardi al bene comune e agli interessi del paese.
Gli sviluppi del caso della Banca delle Marche
E veniamo ora di nuovo al caso specifico della Banca delle Marche. Alcuni mesi fa su questo stesso sito avevamo delineato i contorni dell’episodio. Le difficoltà della banca non appaiono certo trascurabili, visto, oltre che il peso dell’istituto nella sua regione di origine, anche comunque il fatto che come dimensioni esso è pur sempre il nono organismo bancario del paese ed appariva, sino a tempi recenti, persino il terzo come redditività. Ricordiamo intanto molto sinteticamente le vicende raccontate nell’articolo precedente.
Alla fine del luglio 2012 il direttore generale dell’istituto, Massimo Bianconi, sino a quel momento da tutti riverito come un grande manager bancario, presenta all’improvviso le sue dimissioni. Questo a seguito di un’ispezione della Banca d’Italia che aveva trovato varie irregolarità nella gestione: affari immobiliari personali, rilevanti finanziamenti dati ad amici, collegamenti stretti con altri personaggi quali Coppola e Ricucci, perdite nascoste nelle pieghe dei bilanci, forte sbilanciamento dei prestiti verso alcuni settori e così via.
In particolare, come ha scritto l’Espresso in un articolo del 2011, ”…lo scrigno dei soldi facili della Cricca era stato individuato dai magistrati di Firenze e Perugia nella Banca delle Marche. Balducci, Anemone e la loro corte di amici, soci e familiari godevano di percorsi facilitati per muovere denaro…”.
Nel settembre del 2012 la Banca d’Italia infligge delle multe ai membri del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e al direttore generale per carenze organizzative. Si dimettono poi anche altri dirigenti e viene inserito un nuovo management; si scoprono perdite in bilancio sconosciute per diverse centinaia di milioni di euro. Il rating della banca diminuisce pesantemente, mentre anche la magistratura apre un’inchiesta. Si teme a questo punto che la banca non ce la faccia a risalire la china da sola.
Le vicende successive al nostro primo articolo indicano in effetti le difficoltà di un ritorno alla normalità, in relazione anche ad un aggravamento della situazione.
Una nuova ispezione della Banca d’Italia nel novembre del 2012 porta in effetti ad un esame ancora più critico dei criteri di valutazione dei crediti. Così il bilancio d’esercizio sempre del 2012, che viene approvato nel giugno del 2013, presenta la prima perdita della sua storia per un importo di 526 milioni. In bilancio sono stati, tra l’altro, inserite svalutazioni dei crediti per oltre un miliardo di euro.
Si rileva sempre dalle cifre del bilancio che i crediti in difficoltà erano pari a circa il 20% di quelli totali; se consideriamo che successivamente si troverà che tale peso era da stimare intorno al 24% e che in questo momento la percentuale media di perdite su crediti del sistema bancario italiano si aggira intorno al 10%, si può concludere che circa il 60% delle perdite poteva essere attribuita, per usare un eufemismo, alla “cattiva gestione” del precedente management ed il resto invece alle difficoltà indotte dalla crisi.
Dalle analisi che sono emerse sulla stampa, risulta poi eccessiva la concentrazione del credito della banca sul settore edilizio ed immobiliare, pari al 30% del totale, contro una media nazionale del 19%. Su questo fronte meritevolmente il nuovo management ha deciso di cambiare i suoi orientamenti puntando molto di più sull’industria e sulle piccole e medie imprese.
Nell’agosto del 2013 si apprende dalla stampa che la semestrale della banca indica ulteriori perdite di bilancio per circa 232 milioni di euro, in relazione in particolare ad ulteriori perdite su crediti per 452 milioni scoperte nei conti, oltre a quelle rilevate nel bilancio precedente.
Nel frattempo l’istituto ha varato un piano di ristrutturazione, che prevede un aumento di capitale per 300 milioni di euro, più 100 milioni di un prestito convertibile, una riduzione delle dimensioni della banca con la diminuzione di 1,5 nel livello dei suoi asset, un taglio rilevante nei suoi costi di gestione.
In tale quadro si prevedono provvedimenti molto drastici, quali la vendita della controllata Cassa di Loreto, l’esternalizzazione del centro elettronico, la cessione di 50 filiali della banca al di fuori dalle Marche –l’istituto chiaramente tende a concentrarsi ora di nuovo sul suo territorio di origine -, la messa a disposizione di tutti i lavoratori con contratto non a tempo indeterminato, che sono circa 200, e un piano di prepensionamenti per circa 300 persone.
Ma ci si può chiedere chi sottoscriverà il nuovo capitale della Banca, tanto più che, come viene sottolineato in un articolo del Corriere della Sera del settembre 2013, al Monte di Paschi servono altri 2,5 miliardi di euro, alla Carige 800 milioni, alla Popolare di Milano 500 e via dicendo. Nessuno sa dove cercarli, mentre le fondazioni azioniste delle varie banche sono messe altrettanto male della banche controllate.
Vista la gravità della situazione, la Banca d’Italia vara il commissariamento temporaneo della banca. La mossa diventa obbligata in relazione al fatto che con le ultime perdite i mezzi propri dell’istituto sono scesi al disotto dell’8% del totale dell’attivo, livello minimo previsto dalla regolamentazione, mentre non appare ancora chiaro chi sottoscriverà un adeguato aumento del capitale sociale.
Infine, c’è da aggiungere che alcuni sindacati, Cgil, Cisl e sindacato quadri, hanno rifiutano sostanzialmente in toto il piano di ristrutturazione. Quello che in particolare temono i rappresentanti dei lavoratori, oltre alla riduzione della forza lavoro, è lo “spezzatino” degli asset aziendali e l’eventualità che venga da fuori un nuovo padrone che trascuri l’economia locale. Le altre organizzazioni dei lavoratori rimangono inerti, ma comunque nessuno sembra avere idee sul che fare.
Cosa fare
Il caso, oltre alla constatazione delle possibili commistioni improprie tra banche e politica, nonché degli scarsi controlli operati dai vari organi preposti, induce anche ad alcune riflessioni importanti in merito ai processi di crescita delle dimensioni e di concentrazione da molti anni in atto nel sistema bancario nazionale, nonché in relazione ai processi di ristrutturazione che diversi istituti stanno affrontando.
Alcuni decenni fa tutti pensavano che il nostro sistema bancario fosse troppo frammentato, che il numero degli istituti fosse troppo elevato, che esso fosse inefficiente, operando con costi troppo elevati, troppo legato alla politica, troppo poco internazionalizzato, che rendesse un servizio troppo mediocre ai suoi clienti.
Da allora è stato avviato un processo di sviluppo dimensionale, anche attraverso molte fusioni ed acquisizioni e il numero dei nostri istituti si è molto ridotto.
Si può dire che da una parte il sistema ci ha guadagnato qualcosa in termini di efficienza, di riduzione di alcuni costi e in termini di concorrenza e di internazionalizzazione. Ma, come mostra il caso della Banca delle Marche, che è cresciuta soprattutto per linee interne, ma anche quelli in particolare di molte casse di risparmio, banche popolari, banche di credito cooperative, le maggiori dimensioni hanno portato con loro in troppi casi ad una perdita dei rapporti con il territorio, che era invece uno dei punti di forza del sistema precedente. E questo fatto si è sentito molto e in maniera negativa in particolare con la crisi.
Tra l’altro viene fuori dalle analisi che le banche incriminate raccoglievano il denaro sul territorio ma lo investivano poi altrove. La gran parte delle sofferenze della Banca delle Marche sono su grandi clienti fuori dai confini locali, come ha scritto Fabio Pavesi su Il Sole24Ore.
Urge quindi un ripensamento dell’intero processo in vista di una riterritorializzazione del sistema, a parte la necessità di avere alcune, e solo alcune, banche di grandissime dimensioni che dovrebbero in effetti presidiare in particolare i processi di internazionalizzazione del nostro sistema industriale.
Per altro verso, il sistema bancario europeo, come del resto quello nazionale, si trova di fronte ad un grande problema di ricapitalizzazione, in relazione alle perdite emerse e a quelle occulte, molto maggiori delle prime. Ad esempio qualche tempo fa Wolfgang Munchau, sul Financial Times, ha valutato che gli istituti del nostro continente abbiano bisogno di una ricapitalizzazione che può essere stimata tra 1,0 e 2,6 trilioni di dollari.
A nostro parere bisogna tra l’altro pensare , anche da questo lato, così come da quello del finanziamento delle piccole e medie imprese, a nuove forme di intervento dell’operatore pubblico. Il problema appare urgente.