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Bail-in: la finta equità che punisce i più deboli

Il salvataggio di Banca Etruria e degli altri istituti di credito coinvolti nella crisi sembra il preludio di quel che, da gennaio, si verificherà in occasione di ogni nuova crisi bancaria

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Il salvataggio, via Decreto governativo, di Banca Etruria e degli altri istituti di credito coinvolti nella recente crisi – con le drammatiche conseguenze che si sono viste – sembra costituire il preludio di quel che, dal primo di gennaio in poi, si verificherà in occasione di ogni nuova crisi bancaria. L’inizio del 2016 coinciderà, infatti, con l’entrata in vigore di una norma, il Bail-in, che racchiude in sé uno dei principi cardine della, da molti auspicata, ‘Unione bancaria’. Un principio in nome del quale, la responsabilità ed il destino dei piccoli risparmiatori – e, in una certa misura, dei correntisti – divengono idealmente solidali con quelli di dirigenti, azionisti e grandi operatori finanziari. Sulle colonne di Sbilanciamoci! scrivevamo, lo scorso luglio, come questa evoluzione nella disciplina delle crisi bancarie non solo non si sarebbe tradotta in una responsabilizzazione degli istituti di credito rispetto alla gestione del rischio ma avrebbe posto i soggetti più fragili – piccoli risparmiatori, pensionati in cerca di un luogo sicuro dove collocare la loro liquidazione, correntisti – in totale balìa delle dinamiche imperscrutabili – e spesso devastanti – del sistema finanziario.

Il 2 luglio il parlamento italiano ha recepito la direttiva europea sul ‘bail-in’. La legge che la recepisce prevede, in caso di crisi finanziarie, che i primi a sobbarcarsi l’onere del salvataggio siano gli azionisti, gli obbligazionisti ed anche i correntisti, sul modello dell’haircut già sperimentato a Cipro.

Salutata con giubilo dal suo promotore Sandro Gozi, sottosegretario agli affari europei del PD, la norma sul ‘bail-in’ pone le basi per l’istituzionalizzazione di un potenziale scenario ‘cipriota’ nel caso in cui si dovesse scatenare una nuova tempesta finanziaria nel nostro paese. Nell’estate 2014, di fronte ad una crisi che somigliava moltissimo a quel che sta accadendo oggi in Grecia, le autorità europee pensarono bene di ‘suggerire’ la chiusura delle banche di Cipro consentendo agli istituti dell’isola di attingere ai conti correnti dei loro clienti prelevando forzosamente il 40% dei risparmi in custodia, come riportato a luglio scorso da Suzan Daley sul New York Times. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, durante l’audizione al Senato dello scorso 8 aprile, ha enfatizzato come “..il ‘bail-in’, per come è concepito, è qualcosa che può accelerare le crisi..”. Aggiungendo, inoltre, che “..la clientela va resa consapevole dei rischi derivanti dalla nuova norma..”. Con un formidabile ribaltamento dei ruoli, dunque, i rischi connessi alle spericolate speculazioni bancarie vengono in parte traslati sui correntisti, come se questi ultimi avessero un ruolo nelle decisioni di investimento o nella suddivisione dei profitti della banca.

La legge ha la finalità di limitare l’intervento diretto del bilancio pubblico nel salvare le banche, il cosiddetto ‘bail out’, prevedendolo solo dopo la partecipazione anche dei correntisti agli oneri della crisi, come spiega bene Andrea Baranes su sbilanciamoci.info. Dal 2009, la Germania è stato il paese europeo che ha fatto maggior ricorso al ‘bail out’ per tutelare il proprio interesse nazionale. La motivazione è stata quella di evitare fallimenti bancari con conseguenti corse agli sportelli. Sempre la Germania, con gli oltre 418 miliardi di aiuti alle proprie banche, ha derogato ai trattati europei e ha evitato che la disciplina del mercato ‘punisse’, come nel caso greco, la fallimentare speculazione dei banchieri tedeschi. Impedendo peraltro che banche non tedesche in quel momento in salute acquisissero, a prezzo di realizzo, i pezzi pregiati del loro sistema finanziario.

Il ‘bail-in’, invece, approvato a luglio scorso a Montecitorio nel silenzio generale con 270 voti favorevoli, 113 contrari e 22 astenuti, tutela gli istituti di credito grazie alla partecipazione dei correntisti, ricorrendo ad interventi pubblici esterni solo in casi eccezionali. Un esempio calzante riguarda la crisi del Monte dei Paschi di Siena. I ‘Monti bond’, strumento introdotto nella fase più acuta della crisi, hanno garantito, nel momento in cui la banca era prossima all’insolvenza, la stabilità dell’istituto di credito senza intaccare i depositi dei correntisti. Dal gennaio prossimo, lo stesso salvataggio si sarebbe potuto effettuare solo dopo la partecipazione forzosa dei conti correnti eccendenti i 100mila euro, limite che potrebbe scendere repentinamente in caso di catastrofi finanziarie.

La norma, inoltre, non prevede il licenziamento automatico né il blocco di liquidazioni e prebende per i consigli di amministrazione delle banche insolventi. Questo elemento appare emblematico di un intervento legislativo che pone al centro le banche e la loro dirigenza attraverso una logica giuridica rovesciata che sembrerebbe identificare negli istituti e nei loro managers i soggetti bisognosi di tutela. Si potrebbe obiettare che, il coinvolgimento degli azionisti previsto dal ‘bail-in’, sia esattamente il tentativo di ‘responsabilizzare’ coloro che partecipano alla gestione e agli utili delle banche. Come è noto, tuttavia, il potere informativo di cui godono i grandi azionisti, che spesso coincidono con il management della banca, consente loro di ‘salvarsi’ disinvestendo un attimo prima del collasso. Di fatto le banche in crisi si tramuterebbero in un Titanic dove i correntisti ed i piccoli risparmiatori si troverebbero a recitare la parte dei viaggiatori di terza classe a cui viene negata la scialuppa mentre la nave affonda.

Il ‘bail-in’ è l’ultimo tassello di un mosaico di provvedimenti che in nome del liberismo e dell’austerità stanno tramutando rapidamente il sogno europeo in un incubo. Un incubo alimentato in gran parte dalle lobby finanziarie sempre più allergiche ai valori della democrazia appena riaffermati dal referendum greco. I vertici della Banca Centrale Europea hanno perso un’occasione, dimenticando di colpire in maniera severa le storture alla base dei fallimenti bancari come il mondo opaco dello shadow banking e preferendo una norma che, con accuratezza teutonica, in nome della salvaguardia delle casse pubbliche, ne cura solo i sintomi coinvolgendo nella socializzazione delle perdite delle speculazioni i correntisti, mai partecipi invece dei profitti che restano nelle solite mani.