La volontà di spalancare le porte ai grandi operatori finanziari è testimoniata dalla riapertura delle trattative con i “fondi avvoltoio” che non hanno mai accettato la ristrutturazione del debito
Tra meno di due settimane Renzi visiterà l’Argentina del neoeletto Macri per cercare di stringere nuove relazioni commerciali. Non sarà certo la lingua a frapporsi tra i due viste le origini italiane del nuovo presidente sudamericano. Né, forse, la propensione di entrambi a collocarsi nella sfera d’influenza economica e politica nordamericana. Per l’Argentina questa collocazione è un rovesciamento repentino e brusco dopo più di un decennio di cooperazione tra paesi latinoamericani culminata negli accordi del Mercosur. Per l’Italia un vecchio amore ripreso e mai del tutto abbandonato. Non sono passati neanche due mesi dalle nuove elezioni in Argentina ed il paesaggio economico e sociale oltreché politico è radicalmente mutato. Il paese che visiterà Renzi è un altro da quello di qualche tempo fa. Tanto che già ora Joseph Stiglitz prevede il rischio drammatico di una recessione ed un aumento vertiginoso delle diseguaglianze attraverso uno smantellamento delle tutele sociali che si erano consolidate nel decennio che ora si vuole cancellare, quello di Nestor e Cristina Kirchner. L’analisi dell’economista americano è lucida ed impietosa.
L’Argentina che oggi eredita Macri, sostiene, è ben diversa da quella che, dopo il default, ereditò Nestor Kirchner. Allora altissima disoccupazione, povertà, crescita smodata del debito estero, deindustrializzazioni e crollo del sistema formativo pubblico furono oggetto di un paziente, ma deciso lavoro di investimenti pubblici e di politiche perequative grazie alle risorse recuperate dalla ristrutturazione del debito che comportò un aspro conflitto con il Fondo monetario internazionale. Oggi, nonostante gli indicatori siano ben diversi e molto migliori di allora, le leve di politica economica sono dichiaratamente liberiste con un ribaltamento di peso tra Stato e mercato in favore di quest’ultimo. Lo slogan più in voga degli esponenti del nuovo governo è illuminante: “rimpicciolire lo Stato per ingrandire la Nazione”. Va da sé che a rimpicciolirsi sono tutele, diritti e posti di lavoro e per Nazione s’intendono gli interessi di grandi imprese e finanza che oggi si godono una clamorosa rivincita sociale.
Il primo intervento di Macri è stato quello di svalutare la moneta nazionale (il “peso”) rispetto al dollaro e abolire ogni forma di controllo dei movimenti di capitale finanziario. Questo provvedimento è stato accompagnato da una significativa detassazione soprattutto per le grandi imprese dedite all’esportazione. Con l’effetto simultaneo che la svalutazione ha prodotto una notevole riduzione del potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori, in particolar modo nel pubblico impiego. Le retribuzioni hanno subito, infatti, un improvviso ridimensionamento (- 15% nel settore della formazione, -18% in quello dell’amministrazione pubblica) con la conseguenza che il mercato interno tende a contrarsi e a deprimersi. La Centrale dei Lavoratori d’Argentina stima che in meno di due mesi (da metà dicembre 2015 a gennaio 2016) si sono prodotti 35.000 licenziamenti tra impiego pubblico e privato. E questo sembra essere solo il prologo vista la determinazione dell’esecutivo a costruire tutte le condizioni favorevoli per la libertà di licenziamento. Sono stati fortemente ridimensionati i prodotti e i beni di necessità che erano sottoposti ad un prezzo controllato socialmente. Sono iniziate le prime liberalizzazioni di telefonia e tv ed è stato abolito, per decreto, il limite all’aumento tariffario delle compagnie aeree. Sono state cancellate le tariffe agevolate di luce e gas (contributi statali che una parte della classe media definiva come inutili “mance”). Le prime bollette stanno arrivando con aumenti che superano il 700%.
Ci chiediamo perciò se si riferisse a tutto ciò “l’uso più oculato, ma anche etico delle risorse…” a cui fa allusione un’inquietante quanto mistificatoria apologia del governo Macri di cui è stato recentemente protagonista il nostrano “Fatto Quotidiano”. La volontà del nuovo presidente di spalancare le porte ai grandi operatori finanziari è testimoniata dalla riapertura delle trattative con i “fondi avvoltoio” che non hanno mai accettato la ristrutturazione del debito. Tra questi spiccano quelli del miliardario Paul Singer e del fondo Aurelius di Mark Brodsky. Un anticipo di queste operazioni è stato sottoscritto con gli investitori italiani possessori dei famosi “Tango bond”. La trattativa è stata chiusa con un recupero del 150% del capitale investito dai risparmiatori ed è costato all’Argentina attorno ai 900 milioni di dollari. Questi accordi, ai tempi osteggiati dai Kirchner, avranno un costo complessivo altissimo. Tanto che l’Argentina, ritrovato il feeling con il Fondo monetario internazionale, si appresta a chiedere nuovi onerosi prestiti che sono ovviamente il presupposto per sempre più draconiane politiche di austerità. Torna la profezia di Stiglitz sul rischio d’imminente recessione e di aumento delle diseguaglianze.
E’ difficile sfuggire alla sgradevole sensazione, visto l’intreccio tra liberalizzazioni, smantellamento di tutele e diritti sociali e nuovi indebitamenti, di una cinica logica predatoria che fa a meno persino di politiche tese a garantire un adeguato consenso, perché mette sin d’ora in conto che può non essere possibile ricostruire una maggioranza di governo quando a competere nelle prossime elezioni potrebbe tornare l’ex presidenta Cristina Kirchner. Tant’è che Macri ricorre sistematicamente all’uso della decretazione d’urgenza fino a raggiungere il record assoluto in un tempo così breve. Sono stati nominati persino due giudici della Corte Suprema attraverso questo strumento. I sindacati, inoltre, denunciano un utilizzo spregiudicato e violento delle forze dell’ordine contro i lavoratori teso ad indebolire le stesse organizzazioni e ad evitare che richieste di aumenti salariali (visto l’effetto della svalutazione) possano far impennare l’inflazione. I licenziamenti, peraltro, sembrano fatti con una precisione chirurgica. Tutte le assunzioni nel pubblico impiego promosse dal governo precedente vengono cancellate. Un gruppo di dipendenti della radio pubblica ha subito un licenziamento in tronco nonostante era stato rinnovato di recente il loro contratto con la motivazione che non erano piaciute alla nuova dirigenza le esternazioni libere delle loro idee su twitter. Si avverte un clima d’intimidazione anche verso coloro che il posto di lavoro lo mantengono.
Per queste ragioni è stato annunciato il primo sciopero generale per il prossimo 24 febbraio con mobilitazioni in tutto il paese dei lavoratori del settore statale. Ma il vero allarme democratico è dato dalla distruzione di tutti gli organismi preposti alla tutela dei diritti umani. Dal Ministero della Giustizia a quello della Difesa. Da quello degli Interni al Banco Centrale. Questi organismi hanno fatto luce e animato i processi contro i protagonisti della dittatura militare. E’ stato sciolto un nucleo di lavoro che indagava i rapporti tra il regime ed il sistema bancario. Al Ministero degli Interni lavorava un gruppo che ha sorretto la magistratura nelle indagini sulla tristemente nota vicenda dei bambini sottratti alle madri rapite, torturate e uccise negli anni più bui della storia argentina. Ora, di questo, si occuperà Pablo Noceti, capo di gabinetto del Ministro degli Interni e difensore dei militari golpisti in tante cause di questi anni. La sua politica in materia è chiara: “le cause contro i crimini di Stato sono solo vendetta”. Nel nuovo sito della Presidenza della Repubblica ricompare il dittatore Videla. La sua immagine viene ora restaurata nella galleria dei presidenti insieme agli altri militari. Si respira anche un clima negazionista. Il Ministro della Cultura della città di Buenos Aires e direttore del più importante teatro del paese, il teatro Colon, Dario Lopérfido, ha recentemente affermato che “in Argentina non ci sono stati 30.000 desaparecidos… questo numero è cresciuto solo per ottenere sussidi”. Chissà a quali parametri si riferisse l’articolo del “Fatto Quotidiano” quando ha rilasciato la patente di “progressista” a questo governo. Il Sole 24 Ore, che se ne intende un po’ di più, pudicamente ha parlato di “centro destra”. Macri non ha voluto ricevere né le Nonne né le Madri di Plaza de Mayo. Non ha tempo. Ma ha avuto il tempo per rimuovere il presidente dell’Archivio Nazionale della Memoria e per svuotare delle risorse finanziare le istituzioni preposte a ricordare quella tragedia. Va a saldo una cambiale. Tra i suoi elettori c’è un pezzo significativo di borghesia collusa con la dittatura. Il premio nobel Perez Esquivel da “sopravvissuto” sta facendo sentire la sua voce. Estela Carlotto, presidente delle Nonne, afferma che Macri manca di rispetto e discrimina chi, in questi decenni, ha lottato per ritrovare i nipoti scomparsi durante la dittatura”. Hebe de Bonafini, rappresentante delle Madri di Plaza de Mayo, non si meraviglia del comportamento del nuovo presidente: “Sono gli stessi che hanno sostenuto i militari. Hanno odiato i nostri figli negli anni ’70. Odiano noi oggi”.