La legge di Bilancio, guardata in dettaglio, è un’occasione mancata, tanto più grave tanto più le sfide di struttura che attendono il Paese sono disattese. Dal mancato universalismo sugli ammortizzatori fino alla non condizionalità degli aiuti alle imprese per progetti green. Solo ritocchi su un vecchio impianto.
Siamo seri
La Legge di Bilancio 2022-2024 forse, parafrasando Luigi Pirandello, “non è una cosa seria” che si possa risolvere con la logica. Riduciamo la pressione fiscale, ma non sappiamo ancora come farla. Riformiamo la previdenza? Aspettate aprile. Ridisegniamo gli ammortizzatori sociali? Forse sì e forse no. I giovani sono il nostro futuro? Devono pur imparare a far fatica. La Legge di Bilancio è in realtà una cosa tremendamente seria, ma le cose serie sono annacquate e non offrono un orizzonte capace di piegare e condizionare gli attori sociali, le famiglie, il capitale e il lavoro.
La Legge di Bilancio, in questo modo, diventa una “occasione mancata” tanto più grave tanto più le sfide di struttura che attendono il Paese sono disattese. Financo nella declinazione dell’ammontare finanziario della manovra abbiamo avuto numeri che di volta in volta sono cambiati; la prima versione illustrata da Draghi durante la prima conferenza stampa del 28 ottobre parlava di 23 mld di euro, che sono diventati 30 mld nella rivisitazione della stessa dopo 10 giorni di discussione. Quale è l’ammontare della manovra? Quale è l’obbiettivo generale? Tutte la parti in commedia hanno qualcosa da rivendicare, ma la sensazione è quella di miglioramenti a margine come se non fosse stato possibile fare qualcosa di più importante. I Titoli della Legge di Bilancio così come gli articoli suggeriscono delle riforme anche importanti, ma “la macchina volante azionata a mano da quattro uomini” (Leonardo da Vinci) necessita di maggiore impegno e ingegno.
I grandi numeri della Legge di Bilancio 2022-2024
Quanto è grande nelle idee e nei contenuti la manovra economica predisposta dal governo Draghi e dal ministro Franco?
Rispetto alla politica economica dobbiamo utilizzare la NADEF presentata a settembre: la crescita aggiuntiva del PIL tra quadro programmatico e tendenziale è pari a 0,5 punti di PIL nel 2022, a 0,2 punti nel 2023 e zero nel 2024; l’occupazione non registra valori migliori, cioè cresce di 0,1 punti nel 2022, di 0,2 punti nel 2023 e di 0,1 nel 2024. Considerato il deficit aggiuntivo era lecito aspettarci qualcosa di meglio; sebbene i modelli econometrici utilizzati dal MEF sottostimino l’effetto macroeconomico della spesa pubblica, rimane altrettanto indiscutibile che la particolare struttura economica del Paese non permette di avere dei moltiplicatori più alti in ragione della propria specializzazione produttiva.
La composizione per categoria della spesa pubblica (p. 20) sembra insistere nell’appoggio incondizionato al sistema delle imprese (contributo agli investimenti ad imprese in conto capitale) indipendentemente dalla capacità o meno di queste di realizzare un reddito aggiuntivo adeguato. Compressivamente il sistema delle imprese intercetta 24.680 mln nel 2022; 25.644 mln nel 2023; 25.448 mln nel 2024. Possiamo discutere delle variazioni (incrementi) che intercorrono tra un anno e l’altro (3.014 mln nel 2022, 6.389 mln nel 2023 e 5.153 mln nel 2024), ma gli effetti economici sono una frazione di quella auspicabile o desiderabile per giustificare questo sostegno pubblico.
Sempre dal lato della composizione per categoria della spesa pubblica (p. 20) (Enti di previdenza e assistenza sociale in conto corrente) si registra un rafforzamento di questa voce, passando da 150.949 mln del 2022, 151.975 mln del 2023 e 152.901 del 2024, ovvero un incremento pari a 1.952 mln tra il 2022 e il 2024. Sono altrettanto importanti gli scostamenti annuali rispetto alle previsioni a legislazione vigente date dalla Legge di Bilancio: 6.296 mln per il 2022; 6.497 mln per il 2023; 5.171 mln per il 2024. Non sono risorse meno importanti di quelle riservate alle imprese, ma è il caso di ricordare che queste non hanno lo scopo di far crescere il reddito, piuttosto di conservarlo in ragione delle prestazioni erogate.
La politica economica è, guardando ai numeri della composizione per categoria della Legge di Bilancio 2022-2024, un insieme eterogeneo di oggetti in cui non prevale un obbiettivo in particolare, piuttosto un atteggiamento che adegua la spesa pubblica rispetto alle problematicità che il sistema economico nazionale di volta in volta manifesta. Non proprio l’esercizio di un governo che dovrebbe guidare la transizione digitale e ambientale del Paese rispetto agli obbiettivi europei (NGEU). Non essendoci più (temporaneamente) i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita, almeno fino al 2023, lo spazio fiscale aggiuntivo è utilizzato per soddisfare le domande di interesse particolari e generali, non un disegno complessivo; risposte che democristianamente soddisfano un po’ tutti, sebbene con tanti mal di pancia.
Ovviamente dobbiamo anche riflettere sulla Legge di Bilancio 2022-2024. Quanto è grande finanziariamente? Sebbene la stampa e il presidente del Consiglio abbiano depistato non poco, i numeri della Legge di Bilancio sono in linea con la comunicazione fatta alla Commissione Europea (Documento Programmatico di Bilancio).
La manovra in senso tecnico, ovvero il saldo tra maggiori-minori entrate e maggiori-minori spesa è pari a: 45.557 mln per il 2022; 52.545 mln per il 2023; 40.012 mln per il 2024. Se consideriamo le così dette coperture, ovvero la parte della manovra economica che si “autofinanzia” (18.416 mln nel 2022; 13.316 mln nel 2023; 16.312 mln nel2024), la Legge di Bilancio sembra effettivamente traguardare i valori dichiarati da Draghi: 29.257 mln per il 2022; 39.229 per il 2023; 23.700 per il 2024. Ma a quanto ammonta l’effetto dei provvedimenti addottati nella Legge di Bilancio? A quanto ammonta il saldo della Legge di Bilancio in termini di indebitamento? 22.093 mln per il 2022; 23.803 mln per il 2023; 25.833 mln per il 2024.
I numeri della Legge di Bilancio sono sempre interpretabili e possono essere combinati in modi diversi. Sono più credibili i 30 mld per il 2022 veicolati da Draghi o i 22 mld, sempre per il 2022, del prospetto della Legge di Bilancio? Sono entrambe vere, sebbene l’uso politico sia abbastanza evidente. Inoltre, è corretto sottolineare anche l’incremento delle spese pari a 47,800 mln nel 2022, 53 miliardi nel 2023 e 38,100 mln nel 2024 che “incidono sull’incremento della componente di spesa in conto capitale sulle risorse previste nell’ambito del Fondo NGEU”.
Effetti della manovra 2022-2024 (in milioni di euro), p. 7
Analizziamo (per titoli) la Legge di Bilancio.
Pressione fiscale
Il titolo II (Riduzione della pressione fiscale e contributiva) dà il segno politico ed economico della manovra economica. La riduzione della cosiddetta pressione fiscale, considerando il triennio 2022-2024, vale 22.794 mln, di cui 20 mld imputabili, indiscutibilmente, alla riduzione della pressione fiscale (fondo pluriennale per la riduzione della pressione fiscale); il residuo interessa differimenti di imposte sui consumi di plastica, bevande edulcorate, ecc. Sostanzialmente, il governo Draghi investe quasi l’88 percento del titolo II (entrate fiscali) per ridurre le tasse. Giusto o sbagliato che sia, dobbiamo considerare l’impatto finanziario sui servizi pubblici conseguente al mancato finanziamento (potenziale) legato alla riduzione della pressione fiscale, così come l’impatto economico della riduzione del prelievo fiscale. Da un punto di vista tecnico, minori entrate fiscali pari a 20 mld, se le minori entrate fossero compensate da un equivalente deficit pubblico, non condizionerebbe il PIL. Il bilancio pubblico sarebbe gravato da un maggiore debito pubblico, aggregato, e da un servizio sul debito un poco aggravati, ma l’attuale livello dei tassi di interesse permetterebbe questa operazione. Se la riduzione della pressione fiscale fosse realizzata con un contenimento della spesa pubblica – qualche segnale non manca (DDL Concorrenza) – il Pil sarebbe più contenuto. Infatti la spesa pubblica concorre alla crescita del PIL.
Ora dobbiamo farci una domanda abbastanza semplice: dei 20 mld di maggiore reddito disponibile delle famiglie, in quale percentuale sarebbe spesa per maggiori consumi e quindi crescita del PIL? Possiamo discutere e interrogarci sull’attuale livello dei consumi e meglio ancora sulla cosiddetta propensione al consumo delle famiglie italiane, ma l’economista perbene (liberista e/o no-mainstream) dovrebbe sapere che solo una parte dei 20 mld sarebbe spesa in consumi. Il residuo diventerebbe risparmio, che determinerebbe la crescita economica. C’è da sperare che al MEF abbiano fatto dei conti puntali sull’effetto economico e che il rimbalzo del PIL giustifichi questa misura. Quello che è insegnato agli studenti del primo anno non coincide con le premesse del MEF. Ovviamente possiamo anche sbagliare. L’economia è scienza sociale e forse nel tempo è intervenuto qualcosa che non abbiamo compreso.
Crescita e investimenti
Il Titolo III (Crescita e investimenti) dovrebbe agevolare la crescita e sostenere il PIL. Come già ricordato all’inizio dell’articolo, la NADEF di settembre non manifesta tassi di crescita così importanti per il triennio 2022-2024. All’interno del Titolo III sono presenti diversi capitoli che (soggettivamente) ho diviso per destinazione. All’edilizia (ristrutturazioni abitative ed efficientamento energetico, sisma, mobili e altro), tra minori entrate (meno 4.676 mln) e maggiori spese (2.754 mln) sono allocate 7.430 mld di euro per il triennio 2022-2024. Sono risorse importanti che a diverso titolo giustificano anche la crescita statistica degli investimenti nelle costruzioni. Alcune misure sono giuste, altre un po’ meno. Infatti, se l’efficentamento energetico dei condomini e delle singole abitazioni sono una spesa difficile da sostenere per le singole famiglie, gli interventi per mobili ed elettrodomestici sottendono un orientamento della domanda, ma questa domanda, ormai, è una domanda di sostituzione: non compriamo di più, piuttosto acquistiamo mobili ed elettrodomestici solo quando questi sono compromessi. Sarebbe stato molto più utile ed efficace condizionare la produzione di questi beni introducendo vincoli stringenti al sistema di imprese che realizza questi prodotti.
Aiuti alle imprese
Non può mancare il capitolo aiuti alle imprese (art. 10-18); gli articoli destinano risorse finanziarie per nuovi investimenti e l’accesso al credito. Sono entrambi molto importanti: il primo (investimenti) dovrebbe almeno contenere dei vincoli legati al cambiamento tecno-economico “green” e digitale; il secondo (accesso al credito) faciliterebbe il funzionamento del sistema economico capitalistico che, di norma, si fonda sul debito. Complessivamente si tratta di 7.821 mln di euro per il triennio 2022-2024, di cui 3.432 diretto al sistema delle imprese per nuovi investimenti e internazionalizzazione; 4.389 mln, invece, per agevolare l’accesso al credito e rafforzare le garanzie pubbliche. Dalle proiezioni economiche (Nadef settembre 2021) sappiamo che questi interventi permetterebbero di sospingere gli investimenti in macchinari del 6,6 percento per il 2022, del 10,6 percento i mezzi di trasporto e del 6,5 percento le costruzioni. Si tratta di tassi di crescita significativi, ma quale è il vero apporto in termini di specializzazione produttiva? Dalla contabilità nazionale sappiamo che l’intensità tecnologica degli investimenti delle imprese nazionali è più contenuta della media europea. In ragione di ciò sarebbe auspicabile un condizionamento pubblico rispetto agli investimenti che in via diretta e indiretta aiutano il sistema economico privato. Per esempio, l’accesso a queste risorse potrebbe essere vincolato all’industrializzazione della ricerca pubblica e al raggiungimento (implementazione) di progetti “green” legati agli obbiettivi europei delineati nel piano Next Generation EU, che diventa PNRR nel piano nazionale del governo Draghi.
Lavoro, famiglie, politiche sociali, ammortizzatori sociali, pensioni
Il Titolo IV (lavoro, famiglie e politiche sociali) e il Titolo V (riordino degli ammortizzatori sociali) sono “Titoli” delicati da trattare. Le aspettative erano alte e, in fondo, giustificate. La stessa Commissione Europea con il piano NGEU aveva sollecitato misure mirate e universalistiche (Parità di genere, coesione sociale e territoriale). Il quadro che emerge dalla Legge di Bilancio 2022-2024 è un insieme di misure mirate, tese a soddisfare particolari gruppi sociali a cui sono state destinate anche importanti risorse finanziarie, a discapito (però) di un disegno universalistico degli ammortizzatori sociali, del reddito di cittadinanza e, in particolare, del sistema previdenziale. Un difetto importante.
Sembra che la lezione Covid non sia stata ancora metabolizzata. Il titolo IV e il titolo V (art. 20-86) non solo consta di troppi articoli, ma questa frammentazione manifesta chiaramente la difficoltà del governo nell’offrire al Paese, al Parlamento e alle parti sociali un quadro organico di misure coerenti. È una rinuncia? Era complicato? È comunque meglio adeguare gli strumenti all’evoluzione del sistema capitalistico? Sono domande legittime e pertinenti, ma l’organizzazione degli ammortizzatori sociali deve essere semplice, efficace e universale, evitando accuratamente la quasi “personalizzazione” delle misure.
Il Titolo IV (lavoro, famiglie e politiche sociali, capo I e capo II) contiene due argomenti abbastanza controversi: reddito di cittadinanza e pensioni. Al reddito di cittadinanza nel triennio 2022-2024 sono destinati 3.464 mln, di cui 200 mln a favore dei centri per l’impiego. Piaccia o non piaccia, questa misura sembra essere la “misura” più efficace per contrastare la povertà. Poteva essere corretta e meglio finalizzata, ma rimane l’unico strumento pubblico per attutire gli effetti della povertà.
Sulle pensioni (Capo II del Titolo IV) il governo è solo interessato alle deroghe piuttosto che a una riforma organica. A questa voce sono destinati 3.807 mln di euro per il triennio 2022-2024, al netto della soppressione del fondo Quota 100 (meno 1.819 mln). Non solo emerge che Quota 100 aveva un controvalore finanziario più alto, giustappunto 1.819 mln contro i 1.413 mln di quota 102, ma la platea di riferimento è molto bassa: 16 mila unità nel 2022, 23 mila nel 2023, 15 mila nel 2024, per un totale di 62 mila unità tra il 2022 e il 2026. Gli altri interventi sulle pensioni sono sostanzialmente eccezioni e/o deroghe al funzionamento della legge Fornero: 550 mln per l’uscita anticipata dei lavoratori delle imprese in crisi; 640 per Ape sociale (lavori usuranti); 928 mln per Opzione Donna; 120 mln per le forze armate. Il governo sembra preferire le deroghe al sistema previdenziale piuttosto che riformare organicamente la previdenza. Il costo complessivo delle deroghe giustifica la mancata riforma previdenziale?
Il Titolo V (Riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, capo I, in costanza di rapporto di lavoro) si dispiega su ben 23 articoli per un controvalore (triennio 2022-2024) di poco superiore a 11.500 mln. Sebbene le risorse siano oggettivamente importanti, la frammentazione in più oggetti indebolisce il quadro complessivo. Si passa dall’inclusione nella platea assicurativa (integrazione salariale) delle aziende tra 1-5 dipendenti a quelle superiori ai 50 dipendenti, ai processi di transizione, ai contratti di espansione, ai lavoratori su navi e pesca, a una estensione della platea in CIGS, ecc. Ci sono molte altre voci di spesa, ma il quadro organico si perde per strada. C’è una particolare attenzione per le piccole imprese, ma sarebbe stato il caso di prefigurare pochi oggetti e strumenti a cui le società potevano attingere, al limite diversificando i contributi. Sempre al Titolo V (Riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, capo II in caso di disoccupazione involontaria), le risorse per il triennio 2022-2024 sono significativamente più contenute: 1.743 mln. Forse era possibile fare di più, ma il limite è proprio nell’impianto generale del governo che non sembra avere lo stesso coraggio della Commissione europea con il progetto NGEU.
Sempre all’interno del titolo V non poteva mancare la formazione professionale e le contestuali politiche attive e promozione del lavoro per un valore triennale di 667 mln (capo III), al netto dello stralcio della riforma degli ammortizzatori (Legge 106/2021, per un valore di 1.497 mln). Sono tante o sono poche? Difficile dare una risposta adeguata. In generale, le politiche formative e di promozione del lavoro sono interessanti se combinate con l’adeguamento tecnico della struttura produttiva rispetto ai grandi obbiettivi che il governo intende perseguire; diversamente accompagnano l’esistente che mal si concilia con una qualsiasi politica industriale. La ridotta dotazione finanziaria, probabilmente, prende atto della scarsa efficacia di queste politiche dato il contesto industriale nazionale. I laureati italiani sono in numero inferiore alla media europea e lo stesso fanno più fatica a trovare un lavoro coerente con gli insegnamenti acquisiti. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona nella domanda di lavoro.
Transizione ecologica e infrastruttura
Tra gli interventi che meriterebbero una particolare attenzione, per rafforzare il PNRR e per dare una risposta adeguata all’esito dell’Assisi COP26, si annovera il Titolo X della Legge di Bilancio: Misure in materia di infrastrutture e mobilità sostenibile, transizione ecologica, energia e sisma. Le risorse impegnate tra il 2022-2024 sono pari a 4.273 mln, a cui si aggiungono altri 2 mld per il 2022 per il contenimento dell’aumento prezzi nel settore elettrico e del gas (Riduzione aliquote relative a oneri generali di sistema). Queste risorse sono effettivamente “green”? Quanto e come le risorse finanziarie impegnate sono aggiuntive per assecondare gli obbiettivi europei dell’economia verde? 2.129 mln sono indiscutibilmente “green” e/o antisisma; 2.144 mln, invece, sono per infrastrutture che nel corso degli anni non è stato possibile implementare. Sono infrastrutture importanti, ma declinarle come una nuova politica green e/o di mobilità sostenibile è improprio. Infatti, l’estensione della rete metropolitana e del trasporto rapido di massa delle città di Genova, Milano, Napoli, Roma e Torino, l’Alta Velocità e l’alta capacità della linea ferroviaria Adriatica, il finanziamento di infrastrutture stradali sostenibili delle Regioni, province e città metropolitane, l’istituzione del Fondo per le celebrazioni del Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025 – pianificazione e realizzazione delle opere e degli interventi funzionali all’evento -, sebbene siano opere meritevoli, non possiamo propriamente attribuirle all’ingegno necessario per riprogettare il Paese come da premessa del PNRR. Si tratta di progetti infrastrutturali presenti nei cassetti dei vari ministeri che solo ora possono concretamente essere realizzati. Si poteva fare di più e meglio? Sì, ma in assenza di un progetto-paese si prende quello c’è e lo si mette a terra.
Sanità
Nella Legge di Bilancio 2022-2024 non poteva mancare la Sanità (Titolo VI): il livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale del 2021 si incrementa di 2 mld a partire dal 2022, attestando la spesa sanitaria nel prossimo triennio a 124,1 mld nel 2022, 126,1 mld nel 2023 e 128,1 mld nel 2024. Al titolo sanità nel triennio 2022-2024 sono computati quasi 12.437 mln, mentre per il 2022 sono stanziati 1.850 mln per nuovi vaccini anti Covid. È una importante inversione di tendenza rispetto al recente passato, ma il governo della sanità non può essere un affare regionale e/o di libera concorrenza (DDL Concorrenza per l’accendimento dei privati). Le risorse aggiuntive sono importanti, ma il governo pubblico e dei fabbisogni non sono aspetti meno importanti. Il primo e “rivoluzionario” provvedimento di accompagnamento interessa il governo del Sistema sanitario nazionale pubblico, sulla base del quale si dovrebbero implementare i necessari provvedimenti di accompagnamento per soddisfare la domanda di benessere dei cittadini. Se il denaro è importante, il governo dei beni di merito è ancor più stringente.
Avviso ai naviganti
Joseph E. Stiglitz, Jean-Paul Fitoussi e Martine Durand (2021) hanno pubblicato un interessante articolo sulle nuove metriche del progresso; sostanzialmente non esiste un modo semplice di rappresentare con un unico numero ogni aspetto del benessere, almeno come il PIL che descrive la produzione economica di mercato. Nell’articolo si sostiene che “l’uso di un insieme di indicatori in grado di cogliere ciò che consideriamo importante come società avrebbe condotto, molto probabilmente, a una crescita del PIL superiore a quella di fatto raggiunta dalla gran parte dei Paesi dopo il 2008”. È un avviso ai naviganti necessario per interpretare correttamente i provvedimenti che i governi adottano durante il loro operato. Utilizzando il buonsenso di Stiglitz, Fitoussi e Durand è facile sostenere che la Legge di Bilancio del governo Draghi sia sostanzialmente “modernizzatrice” del sistema economico, affiancata da alcune misure di accompagnamento (particolari) rispetto agli ammortizzatori sociali.
Inoltre, la Legge di Bilancio rimuove dalla discussione politica ed economica l’organizzazione del lavoro e gli effetti della cosiddetta precarizzazione. L’organizzazione di un efficace apparato di ammortizzatori sociali e di un sostenibile sistema previdenziale dovrebbe passare da una riorganizzazione del mercato del lavoro e, quindi, occuparsi della distribuzione del reddito nel mercato. Lo Stato può e deve fare molto; non dovrebbe (lo Stato) agire solo a valle dei processi di accumulazione, piuttosto dovrebbe diventare agente economico dei grandi processi di trasformazione. Questa Legge di Bilancio è una occasione mancata: non ridisegna il paese, non distribuisce reddito e smonta ancor di più le potenzialità dell’intervento pubblico in economia, trasformandolo in uno strumento idoneo solo per attutire i fallimenti del mercato. Si poteva organizzare meglio il lavoro preparatorio della Legge di Bilancio; si potevano capire meglio i vincoli di struttura produttiva del sistema economico nazionale; si poteva distribuire meglio il reddito nel mercato senza mettere in discussione la presunta elevata pressione fiscale; si poteva organizzare la sanità in modo tale che fosse ripristinato il principio dell’universalità; si poteva sostenere il sistema delle imprese private chiedendo loro di industrializzare la ricerca pubblica che le stesse imprese non possono fare in ragione della loro specializzazione; si poteva consegnare ai giovani un futuro che fosse un poco migliore del presente. Il governo Draghi ha molte colpe, ma il capitale non ha colpe inferiori. Preferisce aumentare il profitto attraverso la riduzione dei costi (marginali) di produzione, rinunciando alla sfida di paradigma “green” e tecnologica che attende l’Italia.
La storia dell’economia è la storia della società; l’economia è una scienza sociale, un aspetto sottolineato da Joseph E. Stiglitz, Jean-Paul Fitoussi e Martine Durand, purtroppo un tema mai considerato dal governo. La Legge di Bilancio non è brutta o bella. È semplicemente inadeguata rispetto alle sfide che ci aspettano.
Alcune tavole della Legge di Bilancio 2022-2024 per chi fosse interessato a indagarla ulteriormente
Spesa per missioni, in base alla struttura del Disegno di legge di bilancio 2022- 2024. COMPETENZA (in milioni di euro), p. 18
Spesa per categoria economica del Disegno di legge di bilancio 2022-2024. COMPETENZA (in milioni di euro), p. 20