La rotta d’Italia. Il nuovo parlamento dovrà decidere sulla strategia energetica nazionale. Occasione per ribaltare una scelta basata sul petrolio e opere connesse; e inquadrare le politiche energetiche all’interno di quelle per il clima
Lo scorso 30 novembre si è conclusa la consultazione pubblica, avviata dal Ministero dello Sviluppo Economico, sulla bozza di Strategia Energetica Nazionale che la prossima legislatura dovrà decidere.[1] È positivo che, dopo essere stata annunciata per anni, la Strategia sia stata proposta e che si allinei alla riflessione in atto in Europa: sbagliato che assuma un orizzonte di breve termine, il 2020. Una decisione incomprensibile a fronte degli scenari UE che definiscono percorsi fino al 2050 e di Paesi come la Germania e la Danimarca che per quella stessa data hanno definito proprie roadmap verdi con obiettivi precisi sulle fonti rinnovabili. La mancanza di un orizzonte di lungo periodo rende problematici gli investimenti o, peggio, consente di destinare risorse in impianti convenzionali che rischiano di non essere poi utilizzati, con uno spreco di ricchezza e danni all’ambiente.
Positive sono anche alcune rotture col passato. Nella Strategia proposta i consumi al 2020 sono stimati in calo del 4% rispetto ai livelli del 2010, mentre quelli elettrici sono previsti stabili nel decennio. Un cambiamento netto rispetto agli scenari elaborati nell’ultimo mezzo secolo, che probabilmente dovrà essere rafforzato e che sarà raggiungibile solo con adeguate politiche sul lato dell’efficienza. Altra novità viene dal mix delle fonti al 2020. Le rinnovabili dovrebbero soddisfare alla fine del decennio il 20% dei consumi finali totali, superando l’obiettivo del 17% richiesto dall’Europa. In particolare, la produzione elettrica verde dovrebbe balzare al primo posto con il 38%, superando di poco il gas. Un altro elemento che sottolinea il cambio di prospettiva del documento è dato dagli investimenti da attivare entro la fine del decennio. Il 72% dei 180 miliardi € previsti sono infatti legati agli interventi sull’efficienza e sulle rinnovabili. Solo il 28% è attribuibile ai settori convenzionali quali l’estrazione di idrocarburi e la costruzione di centrali termoelettriche, elettrodotti, gasdotti, rigassificatori.
Comparti green: buoni obiettivi, strumenti carenti
Il percorso normativo e di supporto appare molto incerto. Il caso più clamoroso è quello del fotovoltaico, per il quale si auspica un problematico passaggio a una diffusione senza incentivi, visto che il sostegno è destinato a esaurirsi entro la prossima primavera. Anche i meccanismi di incentivazione delle altre rinnovabili elettriche presentano irrigidimenti burocratici e scarsità di risorse. Nel caso delle rinnovabili termiche si ipotizza un raddoppio del loro contributo, ma il sostegno medio previsto di 0,9 miliardi €/anno, pare difficilmente compatibile con questi risultati. L’efficienza energetica viene definita la priorità della Strategia e i certificati bianchi vengono indicati come lo strumento principale dei prossimi anni. Peccato che alla scadenza degli obiettivi che i distributori di energia elettrica e gas devono raggiungere, non si è ancora indicato il target al 2020, elemento decisivo per rendere la proposta credibile. Positiva invece l’indicazione della prosecuzione delle detrazioni fiscali del 55%, ma andranno analizzate le modifiche preannunciate. Complessivamente la sensazione che emerge rispetto ai comparti green e white è quella di un vorrei ma non posso, avendo indicato come di gran lunga il primo obiettivo della Strategia la riduzione dei costi. Ma non si considera che una politica oculata sul mix efficienza e rinnovabili si giustifica anche dal punto di vista economico e aiuta il Paese alla radicale transizione energetica dei prossimi decenni.
Criticità estrattive
Una delle novità del documento è la proposta di un improbabile raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi da raggiungere con una serie di facilitazioni come la riduzione della distanza minima dalle coste per l’estrazione a mare. Al di là degli aspetti ambientali e di sicurezza, che fanno prevedere una battaglia durissima contro molti progetti, questa opzione viene enfatizzata per gli aspetti occupazionali, per le entrate nelle casse pubbliche e per la riduzione di 5 miliardi € delle importazioni rispetto ai 62 miliardi € che attualmente vengono spesi. Mentre le prime due ricadute sono reali, ma inferiori rispetto ad altre soluzioni green, l’ultima è alquanto discutibile. Il greggio che Shell o Total contano di estrarre in Basilicata verrà venduto sul mercato internazionale e se l’Italia lo vorrà utilizzare lo pagherà alle quotazioni del momento. Diverso è il caso delle rinnovabili o dell’efficienza che al 2020 comporteranno, secondo gli scenari della Strategia, un’effettiva riduzione fisica delle importazioni del valore di 18 miliardi € l’anno. In realtà esistono percorsi alternativi che possono portare benefici maggiori al Paese, come la riqualificazione energetica dell’edilizia, la produzione di biometano (peraltro inopinatamente bocciata dal documento), l’incremento delle rinnovabili. Il fotovoltaico potrebbe garantire un risparmio di metano di 3,7 miliardi di mc/a, analogo all’aumento estrattivo del gas del 45% ipotizzato nella bozza. In un tempo paragonabile a quello necessario alla ricerca, autorizzazione e messa in attività dei pozzi si potrebbero installare 14 GW solari evitando l’importazione della stessa quantità di metano. Si tratta di un obiettivo raggiungibile e che verrà peraltro oltrepassato nell’arco di una decina di anni. Parliamo infatti di una potenza inferiore all’incremento fotovoltaico registrato nel triennio 2010-2012. Si consideri che la Germania, che ha già 30 GW solari, godrà di incentivi fino al raggiungimento di 52 GW, traguardo previsto nei prossimi 4-5 anni. Fatto importante: anche in Italia gli impianti fotovoltaici verranno connessi in rete senza incentivi e con ricadute occupazionali ed entrate per lo Stato maggiori rispetto all’accelerazione delle estrazioni di metano.
Diversamente da come fatto dal Governo Monti, la Strategia Energetica Nazionale andrebbe inquadrata nell’evoluzione dei cambiamenti climatici: del riscaldamento globale e del ruolo che l’Italia intende, o non intende, giocare, anche rispetto alle implicazioni in termini di ricerca, innovazione, nuovi posti di lavoro, qualità e competitività del sistema Paese. Nel mese di settembre 2012 si è registrato un nuovo inquietante record. La superficie dei ghiacci artici si è ridotta a soli 3,5 milioni di chilometri quadrati, la metà rispetto a 40 anni fa. In sostanza la calotta artica si sta disintegrando a un ritmo di più del 10% ogni decennio. Parallelamente la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera continua a crescere e ha raggiunto i valori più alti degli ultimi 800.000 anni. Nel 2012 si toccheranno 394 ppm, 44 in più rispetto alla soglia di 350 da non superare per evitare conseguenze catastrofiche al Pianeta, secondo James Hansen, che dirige il Nasa GISS, Goddard Institute for Space Studies. E proprio Hansen ha appena pubblicato una ricerca che analizza l’evoluzione nel tempo delle temperature delle terre emerse dell’emisfero Nord, selezionando quelle risultate estremamente calde nelle estati negli ultimi trent’anni. Quest’elaborazione statistica è servita a sgombrare il campo rispetto al ritornello che si ripete in presenza di eventi eccezionali, come la siccità che questa estate ha messo in seria difficoltà la produzione agricola statunitense, e cioè che non si può con certezza dire se essi siano legati al cambiamento del clima. Dall’analisi del NASA GISS si evince infatti come le aree definite extremely hot, inesistenti nel trentennio precedente, siano progressivamente cresciute raggiungendo nel 2011 il 12% della superficie non oceanica del nostro emisfero.
Qual è il contributo della Strategia alla prevenzione di eventi meteorologici estremi – e alle loro conseguenze – sempre più frequenti anche in Italia?