Il suo Exit, voice and loyalty apre la via per capire l’intreccio tra comportamenti economici, sociali e politici; prima era stato tra i padri dell’economia dello sviluppo; prima ancora antifascista in Italia, Spagna e Francia
Si è spento l’11 dicembre a 97 anni Albert O. Hirschman, uno dei maggiori economisti che ha attraversato il ventesimo secolo. Nato nel 1915, era un giovane socialista nella Berlino di Hitler, passa a Parigi e Londra, finisce gli studi a Trieste, dov’è con gli antifascisti del gruppo di Eugenio Colorni, che sposerà la sorella, Ursula Hirschman (Colorni sarà assassinato dai fascisti nel 1944 e Ursula sposerà poi Altiero Spinelli). Nel 1938, con le leggi razziali del fascismo, torna in Francia, è con la Repubblica nella guerra civile spagnola, poi allo scoppio della seconda guerra mondiale è arruolato in Francia, dove lavora per l’emigrazione clandestina verso gli Stati uniti degli intellettuali tedeschi ebrei e antinazisti, una strada che prenderà lui stesso nel dicembre 1940. Negli Usa lavora come economista a Berkeley sulle radici del potere economico della Germania nazista (pubblica il volume Potenza nazionale e commercio estero), poi è nell’esercito americano in Africa e in Italia, dove si occupa della ricostruzione.
Nel 1946 è nella divisione internazionale della Federal Reserve Usa, dove si occupa di Italia e Francia. Di quel periodo ha scritto che “l’enorme potere economico nelle mani degli Stati Uniti in quel momento storico rendeva perfino la mia posizione, in apparenza consacrata solo alla ricerca, sorprendentemente influente, sia all’interno del governo statunitense, sia nelle relazioni economiche con l’Europa occidentale”. E aggiunge che “la mia reazione, forse talvolta eccessiva, fu di reprimermi nell’uso di qualsivoglia potere avessi; ma soprattutto lavorai sodo per minare le certezze dei miei colleghi”. Un tale atteggiamento – conclude – “può anche darsi che sia diventata un’abitudine metodologica, che sottende gran parte del mio lavoro successivo”.
Nasce in questo modo una straordinaria attenzione all’intreccio tra fenomeni economici, aspetti sociali e questioni politiche che segna tutta la sua opera. Si occupa dell’industrializzazione e dei paesi in via di sviluppo e dal 1952 è in Colombia. La strategia dello sviluppo economico è il libro che ne fa uno dei padri dell’economia dello sviluppo, sottolineando gli squilibri che segnano i processi di crescita e le necessarie connessioni tra le attività economiche.
Negli Stati Uniti insegna a Yale, Columbia e Harvard e arriva nel 1974 al prestigioso Institute of Advanced Studies di Princeton. Nel 1970 pubblica Exit, voice and loyalty, un classico sui comportamenti economici, sociali e politici e – come recita il sottotitolo – sulle “risposte al declino in imprese, organizzazioni e stati”. A partire dall’analisi di casi concreti, Hirschman mostra come siano rilevanti non solo le scelte effettuate sulla base di preferenze e valutazioni economiche, ma contino l’appartenenza istituzionale, la comunicazione d’informazioni, la protesta politica; queste poi prendono forme diverse a seconda dei contesti istituzionali: verso l’alto se il potere – economico o politico – è capace di recepire il nuovo, oppure con una “voce orizzontale” quando il cambiamento è bloccato e la strada percorribile è solo una comunicazione tra pari che rafforzi i legami sociali.
Si mostra così come sia necessario complicare l’economia con comportamenti che non si riducono all’interesse individuale, temi comuni anche a The Passions and the Interests e a Shifting involvements: private interest and public action. La sua attenzione non è su come spiegare gli eventi più probabili, ma su come individuare quelli possibili, che richiedono dinamiche sociali e azioni politiche “giuste”. All’altro fronte, quello delle resistenze al cambiamento, dedica le analisi di The Rhetoric of Reaction: Perversity, Futility, Jeopardy, esaminando gli argomenti dei conservatori che presentano il nuovo come sbagliato, inutile o dannoso.
Le sue analisi economiche degli anni ’40 partivano dall’attenzione ai fattori che avevano sostenuto l’ascesa della Germania nazista, e le sue riflessioni politiche degli anni ’70 e ’80 prendono spunto dall’esperienza dell’America latina. Per la Germania Hirschman sottolinea la dimensione politica dei rapporti economici: il commercio, le specializzazioni produttive, gli investimenti, la produzione e vendita di armi portano con sé rapporti di potere, rafforzano le monete, cambiano le posizioni degli stati, creano sfere d’influenza, si traducono in potenza politica destinata a intrecciarsi con la forza militare. Una lezione questa – sulla dimensione politica dei rapporti economici internazionali – troppo spesso dimenticata dalla ricerca economica. Per l’America latina Hirschman respinge l’idea liberale di un progresso parallelo di sviluppo economico e democrazia: «la democrazia è una regola di imprevedibilità – ha affermato – ed è il rifiuto dell’imprevedibilità che ha condotto a regimi autoritari». Ma una società del tutto prevedibile non può che essere una società oppressiva, in cui si spengono le possibilità di cambiamento, fino alla fine della politica.
I suoi libri, tutti tradotti in italiano – una raccolta di saggi ha il titolo L’economia politica come scienza morale e sociale – ma ormai difficili da trovare in libreria, offrono strumenti chiave per la l’economia e la politica, in particolare per nuovi filoni di ricerca come l’economia comportamentale, l’analisi delle istituzioni, dei beni comuni e dell’azione pubblica. Ma è la sua lezione di vita – insieme alla sua opera – che è un insegnamento da non dimenticare.