Il nostro paese spende ogni anno per le sue forze armate oltre 23 miliardi di euro (64 milioni di euro al giorno). E oltre a spendere molto, l’Italia spende male, in modo irrazionale e inefficiente
Secondo i dati contenuti nel primo rapporto annuale sulle spese militari italiane presentato dall’Osservatorio MIL€X, presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 15 febbraio, l’Italia spende ogni anno per le sue forze armate oltre 23 miliardi di euro (64 milioni di euro al giorno), di cui oltre 5 miliardi e mezzo (15 milioni al giorno) in armamenti.
Una spesa militare in costante aumento (+21% nelle ultime tre legislature), che rappresenta l’1,4% del PIL nazionale: esattamente la media NATO (USA esclusi), ma ancora troppo poco per l’Alleanza Atlantica, che chiede di arrivare al 2% in base a una decisione (mai sottoposta al vaglio del Parlamento) che incoraggia a spendere di più, invece che a spendere meglio, secondo una logica distorta che arriva al paradosso quando la NATO si congratula con la Grecia per la sua spesa militare al 2,6% del PIL, ignorando la bancarotta dello Stato ellenico. Oltre alla “virtuosa” Grecia, in buona compagnia del Portogallo (1,9% del PIL), gli Stati europei che spendono in difesa più dell’Italia sono le potenze nucleari francese e inglese (intorno al 2% del PIL) e le nazioni dell’ex Patto di Varsavia con la paranoia della minaccia russa come Polonia (2,2%) ed Estonia 2%. Altre grandi nazioni europee come Germania, Olanda e Spagna spendono molto meno di noi (intorno all’1,2% del PIL).
Oltre a spendere molto in difesa, l’Italia spende male, in modo irrazionale e inefficiente.
Il 60% delle spese è assorbito da una struttura del personale elefantiaca e squilibrata fino al paradosso di avere più comandanti che comandati, più anziani ufficiali e sottufficiali da scrivania, che graduati e truppa giovane operativa.
Quasi il 30% del totale viene invece speso per l’acquisto di armamenti tradizionali: missili, bombe, cacciabombardieri, navi da guerra e mezzi corazzati. Una spesa in forte crescita (+85% dal 2006) finanziata in gran parte dal Ministero dello Sviluppo Economico, che dovrebbe essere ribattezzato “Ministero dello Sviluppo Militare” poiché destina regolarmente al comparto difesa (Leonardo/Finmeccanica, Fincantieri, Fiat-Iveco, ecc.) la quasi totalità del budget a sostegno dell’imprenditoria (l’86% quest’anno, pari a 3,4 miliardi)
penalizzando le piccole e medie imprese e lo sviluppo industriale civile del Paese.
Un meccanismo di aiuti di Stato all’industria bellica nazionale, portato avanti da una potente lobby che condiziona il Parlamento, forzandolo ad autorizzare l’acquisto di armamenti costosissimi e logisticamente insostenibili (perché poi mancano i soldi per la manutenzione e perfino per il carburante), armamenti di tipo e quantità dettate da esigenze industriali e commerciali delle aziende, invece che da concrete necessità di sicurezza nazionale. Qualche esempio.
I quasi mille nuovi corazzati da combattimento Freccia e Centauro2 che sta comprando l’Esercito — spendendo molto più di quanto avrebbe speso scegliendo quelli prodotti da consorzi europei (i Freccia sono stati preferiti agli equivalenti ma molto più economici Boxer tedesco-olandesi). Una quantità di mezzi sproporzionata rispetto alle necessità operative (in Afghanistan, ad esempio, di questi mezzi ne sono stati usati solo 17) e spropositata per le capacità di manutenzione (per cui la maggior parte di questi mezzi finisce ad arrugginire nei depositi o cannibalizzata per i pezzi di ricambio).
Oppure le nuove navi da guerra ordinate dalla Marina — spacciate al Parlamento per navi “dual-use” per il soccorso umanitario: una seconda portaerei (ricordiamo che la prima, la Cavour, non viene quasi mai usata perché non ci son soldi per il gasolio) e altre 7 fregate lanciamissili che porteranno la flotta italiana a supere la potenza navale francese e ad eguagliare quella inglese (entrambe, lo ricordiamo, potenze nucleari).
Per non parlare degli ormai famosi F-35, che l’Italia — contrariamente ad altri Paesi NATO europei come la Germania — continua a comprare nonostante le critiche degli esperti, che li giudicano aerei inutili per le esigenze di difesa nazionali e dannosi per l’industria italiana.
A fronte di tutte queste spese da potenza militare d’altri tempi, l’Italia è completamente impreparata a difendersi dalle minacce concrete del presente e del futuro: terrorismo e cyberwar. Per prevenire attacchi terroristici serve intelligence sul territorio e on-line, non carri armati, cacciabombardieri e portaerei. Per difendersi da attacchi informatici — che oggi mettono in imbarazzo un ministero, ma domani potrebbero mettere in ginocchio il Paese — servono investimenti massicci nella cyber-difesa che invece non ci sono (150 milioni nel 2016, nulla nel 2017) e strutture militari dedicate (il cyber-comando italiano è ancora sulla carta).
E’ a dir poco paradossale continuare a spendere miliardi in armamenti tradizionali e poco e niente per prevenire e fronteggiare attacchi informatici che potrebbero mettere fuori uso tutte queste armi con un semplice virus.