Dopo sei anni di crisi il Portogallo ha un debito pubblico pari al 129% del Pil. Dopo le riforme e i sacrifici sociali, ha un tasso di disoccupazione all’11.2% e un sistema bancario potenzialmente in grado di innescare un effetto “a spirale” che inghiottirebbe banche e governo. L’Europa ha cancellato la multe per «deficit eccessivo», […]
«Giace l’Europa, sui gomiti appoggiata/ giace da Oriente a Occidente, scrutando/ e le occultano romantici capelli/ occhi greci, rimembrando./ Il gomito sinistro è arretrato;/ il destro è ad angolo disposto./ Quello che dice Italia ov’è appoggiato;/ questo dice Inghilterra ove, discosto,/ la mano regge su cui posa il volto./ Scruta, con sguardo sfingeo e fatale,/ l’Occidente, futuro del passato./ Il volto con cui scruta è il Portogallo». I versi sono di Fernando Pessoa, raccolti in “Messaggio”. Era il 1934, raccontava così il suo Portogallo alla cesura tra passato e futuro. Ottant’anni dopo, la cronaca del Paese iberico segue la narrazione dell’emergenza economica, dell’austerità, del pareggio dei conti. Lisbona scalpita, tenuta al guinzaglio di un’Europa che non è più la stessa, un’Europa alla quale si unì ormai trent’anni fa. Tutti guardano al Sud e non al cuore dell’Europa.
Dopo sei anni di crisi e tre (2011-2014) sotto il piano di salvataggio della Troika (Ue, Bce, Fmi) da 78 miliardi di euro, il Portogallo ha un debito pubblico pari al 129% del Pil. Dopo le riforme, i tagli e i sacrifici sociali, ha un tasso di disoccupazione all’11.2%, e registra un aumento sistematico di chi non studia né lavora. Dopo anni vissuti con istituti sottocapitalizzati e con in pancia miliardi di crediti deteriorati, ha un sistema bancario fragile, potenzialmente in grado di innescare un effetto “a spirale” che inghiottirebbe banche e governo, come spiega anche Bloomberg.
Lisbona non ha risanato il bilancio secondo i paramentri europei, ma per ora è stata graziata dall’Ue insieme alla Spagna: niente multe.
Intanto, il governo socialista guidato da Antonio Costa, è al lavoro con un piano varato a dicembre 2015, per smantellare le misure di austerità e ristrutturare il welfare sociale, nonostante la crescita rallentata. Per il premier, «il futuro non è lavorare di più e avere meno vacanze. Il futuro è investimenti, istruzione, scienza, innovazione e tecnologia».