Il giro d’affari delle slot machine vale 90 miliardi l’anno. Lo Stato italiano invita a “giocare responsabilmente” ma il problema più che nella domanda sta nell’offerta del gioco
La chiamano la zona. Più che un luogo una condizione mentale, lo spazio fuori dal mondo e fuori dal tempo in cui si rinchiudono i giocatori davanti alle slot. Se non ci fossero gli episodi di cronaca a testimoniarlo faremmo fatica a crederci. E invece, seguendo il filo del tempo, si susseguono le notizie inquietanti. Per esempio quelle relative a genitori che dimenticano i propri bambini chiusi in macchina ad aspettare, mentre loro restano imbambolati a premere i tasti delle macchinette. In marzo è accaduto a Rimini, in un episodio raccontato dai quotidiano locali, dove la mamma, colta sul fatto, avrebbe risposto: “Sì, lo so, è mio figlio, ma io non posso lasciare di certo il gioco, proprio adesso che sto vincendo”.
Con quasi 90 miliardi di euro spesi nel gioco in Italia nel 2015, il gioco d’azzardo va preso sul serio. Il giro d’affari corrisponde a oltre il 5% del Pil e fa dell’Italia il primo mercato in Europa e il terzo mercato nel mondo. Parliamo di una spesa annua di più di 1.400 euro a persona, considerando anche i neonati e i centenari. In particolare, negli ultimi anni, è notevolmente aumentato il numero delle slot, che valgono all’Italia l’ennesimo primato in negativo: una ogni 143 abitanti, a fronte di una ogni 261 in Germania e di una ogni 372 negli Stati Uniti.
Lo Stato, in questo contesto, promuove il gioco responsabile. Un invito che troviamo ripetuto tutte le volte che ascoltiamo uno spot sul gioco, che rimbalza sui siti internet dei concessionari e che vorrebbe lavare la coscienza di chi in questo settore trae ingenti ritorni economici, prima di tutto l’erario, che ricava quasi 9 miliardi di introiti ogni anno. È lecito chiedersi se l’impostazione sia corretta, perché, in un paese che è ormai diventato un casinò a cielo aperto e dove i giocatori patologici sono stimati in una persona ogni 75, parlare soltanto di un problema di fruizione soggettiva del gioco sembra riduttivo. Al netto dei positivi provvedimenti dell’ultima legge di stabilità in tema di azzardo, che comunque sono soltanto un primo passo e di cui ancora si attende la messa in pratica con i decreti attuativi, occorre domandarsi se il problema non sia nell’offerta del gioco, oltre che nella domanda. Che il gioco legale generi dipendenza è una verità riconosciuta a partire dal Decreto Balduzzi del settembre 2012, che include l’azzardo patologico nei livelli essenziali di assistenza (Lea). Ci chiediamo ora se non si debba fare un salto logico in più, ci chiediamo cioè se non si debba prendere atto che il gioco legale (benedetto dallo Stato) non solo generi dipendenza, ma la induca anche.
Lo psicologo americano Csìkszentmihályi parla della condizione di trance del giocatore in termini di flusso, uno stato di sospensione che si raggiunge quando l’attenzione è così focalizzata su un’attività che sfuma la percezione del tempo e quella dei problemi e delle preoccupazioni. La stessa “concentrazione” che hanno gli scalatori alle prese con una parete impegnativa, quando provano un senso di totale fusione con la roccia, o i ballerini che vivono talmente la loro performance da sentirsi come trasportati dalla musica. I giocatori delle slot machine provano qualcosa di analogo, una sensazione di piacevole sospensione del tempo, di calma affettiva. Mentre quello degli scalatori e dei ballerini è però un flusso positivo, ovvero, come la definisce Csìkszentmihályi, una fuga in avanti, che porta a trascendere i propri limiti e a creare nuove possibilità, quello dei giocatori d’azzardo è un flusso negativo, una fuga all’indietro, un’evasione dalla realtà, dall’ansia, dalla preoccupazione, dalla noia.
Nel suo imponente lavoro “Architetture dell’azzardo”, recentemente tradotto in italiano, l’antropologa americana Natasha Dow Schüll sostiene che l’impostazione del gioco responsabile è frutto di un’attenzione asimmetrica sul giocatore (sulla sua genetica, sul suo profilo psicologico, sulle sue circostanza di vita), cioè sulla domanda di gioco piuttosto che sulle caratteristiche dell’offerta. E che questa asimmetria sarebbe agevolata dal fatto che la ludopatia è una forma di dipendenza senza sostanza.
La storia è piena di tentativi di rimozione degli effetti negativi di determinate attività economiche, pensiamo alle battaglie vinte negli anni contro la lobby del tabacco o alla negazione dei cambiamenti climatici fatta a suon di studi scientifici finanziati dalle compagnie petrolifere, per esempio. La posizione del gioco responsabile sembra inserirsi in questa scia negazionista e richiama il famoso slogan della National Rifle Association (la sigla che riunisce i costruttori di armi da fuoco negli Stati Uniti): Guns don’t kill people: people kill people, “non sono le pistole a uccidere la gente, sono le persone a uccidere altre persone”. Con una posizione analoga a quella della NRA, la lobby del gioco sostiene in sostanza che le cause del dramma sociale prodotto dalla dipendenza da gioco d’azzardo non siano da ricercare nelle tipologie di gioco messe sul mercato, nelle modalità di distribuzione, di comunicazione e di vendita, ma nell’uso che la popolazione ne fa. Il problema non sarebbe l’offerta di gioco, ma la domanda. Di qui l’invito a giocare responsabilmente.
Il lavoro della Schüll attacca frontalmente questa tesi. Del resto sul gioco prospera un settore economico che soltanto in Italia dà lavoro a 120mila persone e, come in ogni business, gli imprenditori cercano di massimizzare il profitto, cercando di aumentare le vendite e di fidelizzare i clienti. Il fatto è che il gioco non è un prodotto come un altro. La professoressa del MIT di Boston documenta in modo dettagliato l’enorme lavoro di progettazione che c’è dietro all’economia dell’azzardo, l’impatto che i vari aspetti del design dei giochi hanno sui giocatori (in particolare nel machine gambling) e i principali elementi su cui si fa leva per indurre la dipendenza. Il suo studio, condotto a Las Vegas, è illuminante anche per leggere la nostra realtà.
Il diavolo si nasconde nei dettagli. Vediamoli.
Il posizionamento, per cominciare. Le slot rendono di più se collocate in enclave isolate, infilate e nascoste in piccole nicchie o rientranze. I giocatori fuggono l’ampiezza. Così i luoghi di gioco, segnatamente i casinò, sono modellati sulla base di una segmentazione degli spazi dedicati alle macchine in aree compatte e isolate dal resto, non visibili le une dalle altre, al fine di comunicare un senso di recinzione e di riparo percettivo. Sono caratterizzati da percorsi tortuosi, che richiamano dei labirinti, dove le pareti curvilinee e ininterrotte dominano sugli angoli retti.
Gli stimoli percettivi. La luce è continua e uniforme, mai puntata sul giocatore. I suoni, la musica, addirittura gli aromi, sono oggetto di attenzione. Tutto è progettato in modo da ridurre al minimo la consapevolezza del giocatore, farlo fondere con le macchine stesse dissolvendo la relazione di alterità.
Le caratteristiche delle macchine. Le slot e macchine affini sono meticolosamente progettate al fine di stimolare l’accelerazione del gioco, la dilatazione della sua durata e, in definitiva, l’aumento dell’importo speso. Per accelerare il gioco le leve delle slot sono state sostituite nel tempo dai pulsanti, quindi i pulsanti da touch screen così sensibili da rintracciare la vicinanza del dito prima ancora del contatto diretto. I rulli sono stati sostituiti dalla tecnologia video. Sono state introdotte bocchette per l’inserimento di banconote, anche di grosso taglio, o carte, in alternativa o in sostituzione delle monete.
L’ergonomia, che fa il paio con economia. Per dilatare la durata del gioco l’ergonomia è curata nei minimi dettagli: angoli smussati, sgabelli comodi, pulsanti per destri e mancini, schermi regolabili, poggia polsi, etc. Più che sul giocatore cosiddetto action-player, propenso ad assumere rischi elevati in cerca di grosse vincite e ad affrontare un gioco caratterizzato da alta volatilità e bassa frequenza di successi, le lobby del gioco – sostiene la Schüll – cercano di indirizzare il giocatore verso il modello dell’escape player o time-on-device player, cioè sul gioco a bassa volatilità, fatto di vincite piccole ma frequenti a mo’ di rinforzo, detto anche gioco a goccia o a sanguinamento lento, che per i gestori è molto più redditizio.
L’inganno. Per aumentare l’importo speso le macchine trasmettono al giocatore un’errata illusione di poter influenzare il gioco, per esempio utilizzando una grafica 3D che fa assomigliare i rulli digitali a rulli meccanici e inducendo la percezione di poterne condizionare la corsa (e quindi il risultato) toccandoli sul touch screen o premendo i pulsanti a disposizione. Inoltre trasmettono un’erronea percezione delle probabilità di vincita, per esempio con la cosiddetta mappatura dei rulli virtuali, per cui le combinazioni sono molto maggiori rispetto a quelle teoricamente possibili con i rulli raffigurati digitalmente, e di conseguenza le probabilità di vincita sono molto minori di quelle ipotizzabili. Oppure tramite la tecnica del raggruppamento, per cui risultati di quasi-vincita, combinazioni di simboli vincenti mancate per poco) vengono mostrati più frequentemente rispetto alle reali probabilità di verificarsi. Se sfioro la vincita provo un senso di soddisfazione simile a quello che mi avrebbe dato la vincita effettiva. Non vinco nulla, ma torno a giocare.
Interessante anche lo studio di un team di ricercatori della University of Waterloo in Canada, guidato dal neurologo comportamentale Michael J. Dixton, che sottolinea l’importanza dei suoni e delle luci nel camuffare le perdite alle slot machine: le slot si illuminano ed emettono suoni in caso di vincita e non fanno nulla in caso di perdita. Fin qui tutto ok, l’inganno scatta nel momento in cui si verifica una situazione intermedia: se per esempio il giocatore inserisce un euro e vince 50 centesimi, la slot si accende ed emette suoni come nel caso di una vincita, mentre si tratta di una perdita. Esperimenti condotti su gruppi di giocatori, messi alla prova su macchine senza suoni e luci e su macchine con suoni e luci, hanno mostrato che quando utilizzano macchine con suoni e luci i giocatori hanno la sensazione di aver vinto più volte rispetto a quando utilizzano macchine silenziose e spente.
Bibiografia
“La dea bendata. Viaggio nella società dell’azzardo” di Marco Dari Mattiacci, prefazione di Leonardo Becchetti, Ecra Edizioni, novembre 2015, pp. 80, euro 7,50. Un’inchiesta sul complesso fenomeno della ludopatia. Un’indagine a tutto tondo sugli aspetti economici e sociali legati alla dilagante diffusione del gioco d’azzardo in Italia: il giro d’affari, le politiche in atto, il dramma della dipendenza, i pro e i contro per lo Stato, il business delle mafie, la reazione della società civile e delle amministrazioni locali. Il libro include la testimonianza di due ex-giocatori e un viaggio nel percorso di recupero attuato a Pavia, secondo il New York Times la capitale italiana del gioco d’azzardo.
“Architetture dell’azzardo. Progettare il gioco, costruire la dipendenza” di Natasha Dow Schüll. Edizione italiana a cura di Marco Dotti e Marcello Esposito. Luca Sossella Editore, ottobre 2015, pp. 335, euro 18,00. Forte di quindici anni di ricerca sul campo a Las Vegas, l’antropologa Natasha Dow Schüll (New York University) descrive le strategie nascoste negli algoritmi delle macchine, nell’architettura degli spazi e nella gestione dell’ambiente in cui il gioco si svolge. Uno degli snodi cruciali su cui il libro si concentra è quello del “New God”, il “dio” che ogni giocatore crede si agiti “dentro” la macchina: il generatore di numeri casuali da cui dipende ogni cosa. L’era del machine gambling ci consegna così schiere di giocatori curvi, solitari, silenziosi, immersi in una zona protetta dalla macchina.