Fondo cassa/L’assunto di Renzi, «per la prima volta una legge di stabilità che taglia le tasse», sembra realizzare il sogno di Tremonti di dieci anni fa e degli anni ’90 all’insegna dello slogan «meno tasse per tutti». Ma quella di Renzi è una legge di stabilità tremontiana anche perché contiene tutti gli altri pilastri del […]
Pare che, appena dopo la fine della Comune di Parigi, il deputato socialdemocratico tedesco August Bebel – intervenendo al Reichstag e ricevendo un inaspettato applauso dai prussiani revanscisti – scrivesse, assai scosso, a Karl Marx: «Ho parlato al Reichstag e i prussiani e i borghesi mi hanno applaudito. Ma cosa ho detto di sbagliato?»
Nessun dubbio invece deve avere colto Matteo Renzi, quando – all’indomani della pubblicazione della legge di stabilità – ha ricevuto il plauso di Berlusconi con la rivendicazione: «Il premier copia le nostre ricette». Non sembra che Renzi ne sia stato scosso; o magari ne ha scritto a Davide Serra, ma per farsi complimentare.
E infatti l’assunto di Renzi, «per la prima volta una legge di stabilità che taglia le tasse», sembra realizzare il sogno di Tremonti di dieci anni fa e degli anni ’90 all’insegna dello slogan «meno tasse per tutti». Ma quella di Renzi è – insieme al Def – una legge di stabilità tremontiana, anche perché contiene tutti gli altri pilastri del pensiero liberista: taglia la spesa pubblica (40 miliardi di euro nei prossimi tre anni) e si fa accompagnare da un Def che prevede la precarizzazione del mercato del lavoro, la riduzione degli investimenti pubblici e una dose massiccia di privatizzazioni (80 miliardi in cinque anni) con la svendita del patrimonio pubblico.
Tra l’altro il taglio delle tasse di Renzi non è «per tutti» e sicuramente non lo è per chi sta più in difficoltà. L’Istat ha ricordato che il bonus Irpef degli 80 euro (per almeno i 2/3) va ad individui che appartengono a famiglie dai redditi medio-alti ed è noto che precari, incapienti e pensionati al minimo non ricevono nulla. Mentre ricevono molto le imprese con i 6 miliardi di sgravi per l’Irap. Inoltre – altro che tagli – molti pagheranno più tasse: sicuramente i cittadini che si vedranno aumentare le tariffe dei servizi pubblici dalle regioni costrette ai rincari fiscali dai tagli del governo. E chi è stato costretto o invitato a farsi la pensione integrativa vedrà raddoppiare l’imposizione fiscale. Idem per chi vorrebbe prendersi il Tfr in busta paga.
Ma quello che è più grave è la completa sudditanza del centro sinistra – in questa legge di stabilità – alle ricette del pensiero neoliberista: più sgravi fiscali e meno investimenti pubblici; più tagli alla spesa pubblica e meno politiche per il sostegno alla domanda. Renzi realizza il sogno di Tremonti e di Berlusconi. Gli sgravi alle imprese (come i contratti di lavoro precario) non hanno mai creato più posti di lavoro, ma solo vantaggi e maggiori margini di profitto subito incamerati da chi pensa solo alla rendita e alla speculazione. E i modesti tagli fiscali (da un impatto redistributivo così inesistente) non alleviano la povertà (e ancora l’Istat ci dice che il bonus Irpef ha beneficiato solo il 4% dei poveri italiani) e non hanno alcun effetto sulla domanda interna. È la stessa nota di variazione del Def ad ammetterlo: il decreto sugli 80 euro, se tutto va bene, avrà nel 2015 un impatto dello 0,1% sulla crescita. Non migliore impatto sul Pil sembrano avere gli altri provvedimenti cosiddetti «strutturali», dal Jobs Act alle rifome istituzionali. Praticamente, zero.
La legge di stabilità ha dunque un’impostazione liberista e recessiva, non fa ripartire la domanda, è pesantemente sbilanciata sugli interessi (e non sul rilancio) delle imprese (e Confindustria anch’essa applaude), riduce gli stanziamenti per gli ammortizzatori sociali, non si occupa di lavoro se non per precarizzarlo ed umiliarlo e rilancia il welfare compassionevole: siamo ancora (come ai tempi di Berlusconi) ai bonus bebè e alla social card. Per parafrasare Von Clausewitz verrebbe da dire che la legge di stabilità di Renzi è la continuazione della legge finanziaria di Berlusconi con altri mezzi . Quelli di un populismo falsamente nuovista e postmoderno, che propina -in salsa 2.0- le antichissime ricette della destra.