Alla fine del 2011 la riforma delle pensioni del governo Monti passò senza colpo ferire, o meglio: ferì molti ma ebbe troppo poca opposizione. A distanza di qualche anno possiamo dire che quella riforma ha aumentato l’equità del sistema? Pubblichiamo la prefazione del libro di Maria Luisa Pesante appena uscito per L’Asino Edizioni
Alla fine del 2011 la cosiddetta riforma delle pensioni, voluta dal governo Monti come elemento centrale di una politica di aggiustamento del bilancio statale, passò senza colpo ferire, o meglio: ferì molti, ma ebbe poca, troppo poca, opposizione. Nonostante economisti dissidenti segnalassero che il bilancio pensionistico dell’Inps era in attivo ormai da vari anni, sicché non era il caso di andare a cercare soldi in decurtazioni delle pensioni e allungamento dell’età pensionistica, la reazione dominante nei mezzi di comunicazione fu che nella nostra perenne emergenza anche quel sacrificio, pur degno di compassione, era necessario. Per bocca del ministro Fornero, un’economista specializzata nel problema dei sistemi previdenziali, il governo spiegò, non contestato, che i tagli erano duri, ma equi, anzi aumentavano l’equità del nostro sistema pensionistico.
Il saggio che segue mostra, nell’ordine: che non esisteva un disavanzo previdenziale dell’Inps da colmare; che i problemi residui, dopo i precedenti interventi sulle pensioni, avevano cause non toccate minimamente dalla nuova legge; che le misure adottate non erano affatto eque nella congiuntura presente, anzi, e ignoravano iniquità macroscopiche, come quelle derivanti dal differenziale di mortalità per classi sociali. Di contro alle prime discussioni sul problema pensionistico in Italia nei primi anni settanta, con impostazioni nettamente egualitarie, come quella di Gorrieri, o ispirate a esigenze di equità attuariale, come quella di Castellino, nei decenni successivi il lavoro degli studiosi si è concentrato sul problema del crescente disavanzo del sistema previdenziale – problema reale, ma risolto a poco a poco dagli interventi che si sono succeduti dal 1992 (governo Amato) al 1995 (governo Dini) fino al 1998 e 2007 (governi Prodi). Il governo Monti si è comportato come se il problema avesse ancora le antiche dimensioni, né gli economisti che ne facevano parte hanno minimamente messo a confronto le loro catastrofiche proiezioni di anni precedenti, che già di per sé contenevano difetti strutturali, con la situazione presente. Anzi, hanno usato un problema inesistente come pretesto per perseguire altri obiettivi.
L’obiettivo centrale è quello di ridurre la dimensione – non il disavanzo! – del sistema previdenziale pubblico a favore della previdenza privata. Questo obiettivo deriva direttamente dalla teoria economica neoclassica entro le cui assunzioni Elsa Fornero ha condotto le sue ricerche negli ultimi trent’anni. È una teoria che esclude la rilevanza di qualsiasi distinzione di classe per l’analisi economica dei flussi di consumo e di risparmio, i quali dipendono direttamente dal sistema previdenziale adottato: il privato è buono, perché consegna i risparmi dei lavoratori a istituzioni finanziarie che quindi possono prestarli a imprenditori i cui capitali, propri o a prestito dalle banche, non sono sufficienti per lo sviluppo economico; il pubblico, in cui lo stato paga con i contributi degli occupati le pensioni di chi si è ritirato, è cattivo perché impedisce questo flusso di risparmio dal lavoro agli intermediari finanziari alle imprese. In conclusione presento rapidamente i ragionamenti e i riferimenti empirici di questa famiglia di teorie per mostrare come la politica del governo Monti abbia ignorato persino alcune delle prescrizioni pratiche che da questi ragionamenti derivano pur di perseguire l’obiettivo.
S’intende che l’operazione di questo governo di destra non avrebbe potuto essere condotta a termine così facilmente se anche gli studiosi più vicini al centrosinistra non avessero adottato negli anni un’ideologia molto prossima a quella che orienta le teorie economiche neoclassiche. L’arroganza sta invece nel modo in cui sono stati negati i problemi sociali che il non necessario intervento avrebbe prodotto (vedi esodati, peggioramento della disoccupazione giovanile). La menzogna si annida nel modo in cui il ministro Fornero ha gabellato come dati di fatto i risultati dei suoi modelli di simulazione, nascondendo quindi in parte le implicazioni delle scelte politiche che venivano fatte.
Il testo pubblicato costituisce la prefazione del volume di Maria Luisa Pesante (La riforma delle pensioni 2011, Edizioni dell’Asino, 2014)