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Emergenza casa, dal governo troppo poco

Dalla cedolare secca, che ridurrà il gettito dei comuni, all’aumento delle detrazioni fiscali, che vale solo per gli inquilini delle case popolari, fino al fondo per i morosi incolpevoli, che si rivela ancora del tutto insufficiente. Poche luci e tante ombre nella bozza di decreto sull’emergenza casa che il governo si appresta a varare

Il ministro delle infrastrutture Lupi, sembra intenzionato a promuovere alcune azioni per contrastare il disagio abitativo. La bozza del decreto che il ministro ha intenzione di emanare [i], ora in attesa del via libera da parte della conferenza unificata Stato-Regioni-Enti Locali, contiene un intreccio di misure che intervengono, sul versante del mercato, sia dal lato dell’offerta sia da quello della domande, e, su quello dei titoli di godimento, sia sulla proprietà che sull’affitto. Quando (e se) il decreto sarà emanato, probabilmente si vorrà etichettare come un ulteriore piano casa anche il ventaglio delle iniziative con esso proposte. Ma, come tutte le altre iniziative che, negli ultimi sei anni, sono state definite allo stesso modo, dai loro promotori, anche questo che propone il ministro Lupi costituisce un programma molto parziale e insufficiente rispetto alla dimensione e gravità del disagio abitativo.

Il quadro sinottico riportato qui sotto sintetizza le singole misure. La loro realizzazione comporta un impegno finanziario rilevante. Gli interventi per favorire la diffusione della prima casa di proprietà sono incentivati riconoscendo sconti fiscali agli imprenditori che li realizzano, i quali dovrebbero, poi, trasferirli agli acquirenti degli alloggi. Nella bozza di decreto non è quantificato il loro costo per l’erario. L’esame di questi interventi non viene qui sviluppato per ragioni di spazio.

Anche per le misure che intervengono sul mercato dell’affitto si ricorre agli incentivi fiscali, affiancati dall’erogazione di contributi monetari per un importo complessivo di 928 milioni di euro. Di questo importo solo per 168 milioni di euro viene indicata la copertura (100 sono recuperati da un precedente stanziamento). Considerato lo stato delle nostre finanze pubbliche, non sarà facile scovare nel bilancio statale 760 milioni di euro, seppure distribuiti su un paio di anni. È indubbio che quello della copertura costituisca il primo problema da risolvere. Le singole misure si prestano anche a valutazioni di opportunità e considerazioni di ordine tecnico.

Cedolare secca e Imu per spingere i canoni concordati

Un corpo rilevante delle proposte contenute nella bozza di decreto interviene per rendere meno oneroso l’accesso alle abitazioni in affitto di proprietà privata.

L’obiettivo è perseguito in maniera indiretta con la previsione di abbassare l’aliquota della cedolare secca dal 15% al 10% per i contratti a canone concordato. Poiché tale aliquota sui contratti a canone libero è del 21%, la riduzione proposta dovrebbe rendere più conveniente, per i proprietari degli alloggi, accettare affitti più bassi di quelli di mercato, come sono i canoni concordati. Su un canone concordato annuo di 600 euro al mese, la riduzione di 5 punti percentuali della flat tax procura, al proprietario, un risparmio fiscale di poco più di 360 euro all’anno. Di questa stessa cifra potrebbe ridursi l’affitto. L’efficacia della misura non è, in ogni caso, automatica: dipenderà dalle condizioni di equilibrio domanda-offerta che, di volta in volta e di luogo in luogo, si determineranno sul mercato, se il beneficio fiscale sarà trasferito sugli inquilini o incamerato dai proprietari [ii].

La preferenza di questi ultimi per il canone concordato potrebbe aumentare sommando, al risparmio dell’imposta sul reddito, il vantaggio derivante dall’applicazione dell’Imu con l’aliquota ridotta dello 0,4% (la stessa che si applicava alle prime case prima che esse ne fossero del tutto esentate). Poiché il gettito dell’Imu sugli immobili residenziali è interamente di loro pertinenza, difficilmente i comuni saranno propensi ad attribuire al ministro Lupi il potere di stabilire le aliquote da applicare. In molte città sugli immobili affittati a canone concordato l’aliquota Imu applicata è dello 0,76%, circa il doppio di quella prevista nel decreto. Con l’aliquota proposta il proprietario di un alloggio con rendita catastale di 1.200 euro, risparmia 725 euro. Di altrettanto si riduce il gettito dei comuni: chi li risarcisce?

Detrazioni fiscali con una limitazione poco sociale

Il decreto prevede anche di triplicare gli attuali importi delle detrazioni fiscali di cui possono beneficiare gli inquilini (vedi quadro sinottico).

Soprattutto per gli inquilini che non superano il limite della fascia di reddito più bassa, l’aumento a 900 euro della detrazione di cui possono usufruire, può contribuire ad abbassare in misura rilevante l’incidenza del canone sul reddito (questa è una delle poche detrazioni fiscali che dà luogo a rimborso, in caso di incapienza nell’imposta lorda). Non v’è tuttavia una plausibile motivazione per limitare questa misura ai soli inquilini di alloggi di edilizia sociale, se non quella relativa alla sua copertura finanziaria.

Secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi 2011, disponibili sul sito del dipartimento delle finanze del Mef, i contribuenti che hanno beneficiato dell’insieme delle detrazioni sui canoni (non solo, quindi, di quelle oggetto del decreto, ma anche delle altre previste dal testo unico delle imposte sui redditi) sono stati 785 mila, per un importo complessivo di 147 milioni di euro di minori imposte. L’applicazione generalizzata a tutti gli inquilini della triplicazione delle detrazioni comporterebbe una perdita aggiuntiva di gettito per l’erario di una cifra a cavallo di 250-300 milioni di euro. Un costo non trascurabile.

Ma contenerlo limitando il beneficio ai soli conduttori di alloggi di edilizia sociale, determina un’ulteriore iniquità a danno degli altri inquilini. I canoni di locazione degli alloggi sociali – generalmente realizzati con contributo pubblico, monetario e non – sono più bassi di quelli di mercato. Tutte le famiglie preferirebbero, perciò, prenderne uno in affitto. Ma la loro offerta è notevolmente al di sotto della domanda e un numero rilevanti di famiglie non riesce ad accedervi: perché penalizzarle anche con l’esclusione dall’aumento degli importi delle detrazioni?

Per i morosi incolpevoli un fondo colpevolmente inoperoso

Può essere letto come un indizio della consapevolezza dell’aggravarsi del disagio abitativo lo sforzo finanziario, ipotizzato nel decreto, finalizzato a incrementare il fondo istituito per aiutare a non essere sfrattati i cosiddetti inquilini morosi incolpevoli (quelli che hanno smesso o possono smettere di pagare l’affitto a cause del peggioramento delle loro condizioni economiche conseguente alla crisi).

Il fondo è già dotato di 20 milioni per ognuno degli anni 2013 e 2014, viene incrementato di ben 80 milioni all’anno. Sono, però, trascorsi cinque mesi dall’entrata in vigore del decreto legge (102/2013) che l’ha istituito, e tre dalla legge di conversione, senza che siano ancora stati definite modalità e criteri per renderlo operativo. In attesa di reperire, nelle pieghe del bilancio dello stato, i nuovi stanziamenti, non sarebbe opportuno che il ministero definisse, nel frattempo, le regole per mettere all’opera le risorse già disponibili?

Qualche interrogativo suscitano anche gli interventi sul fondo nazionale per l’accesso alle abitazioni in locazione previsti nella bozza di decreto. Questo strumento, comunemente denominato fondo sociale per l’affitto, fu istituito (legge 431/1998) con lo scopo di erogare contributi monetari per il pagamento dei canoni alle famiglie a basso reddito.

È positivo che il governo Letta abbia deciso di rifinanziarlo con 50 milioni di euro per ognuno degli anni 2014 e 2015(d. l. 102/2013), e che ora il ministro Lupi si proponga di raddoppiarne la dotazione (bilancio permettendo). Le considerazioni già svolte, in un precedente articolo pubblicato su questo sito [iii], sull’insufficienza dello stanziamento, con il conseguente rischio di una distribuzione assistenzialistica delle risorse disponibili, e sul ruolo assegnato alle agenzie per l’affitto, valgono anche con il raddoppio del finanziamento.

Un ulteriore elemento di riflessione è fornito dalla previsione, contenuta nella bozza di decreto, di premiare, nella ripartizione delle risorse, i comuni in base sia al numero di alloggi a canone concordato affittati a famiglie sfrattate o che hanno perduto il diritto a permanere nelle case popolari sia al numero complessivo di tali contratti “intermediati” nel biennio precedente.

Poiché i canoni concordati sono più bassi di quelli di mercato, la condizione generale del disagio abitativo di un comune è tanto meno accentuata quanto più diffusi sono questi contratti. Il criterio di riparto delle risorse del fondo ipotizzato nel decreto premia, però, i comuni con il maggiore numero di proprietari disposti ad accettare canoni più bassi di quelli di mercato. Ma non è iniquo penalizzare, nella distribuzione dei contributi, i comuni in cui più contenuta è l’offerta di alloggi a canone concordato?

[i] Per il testo della bozza del decreto www.casaportale.com/public/uploads/15064-pdf1.pdf [ii] Per un approfondimento si rinvia a R. Lungarella, Una valutazione degli effetti della cedolare secca sul mercato dell’edilizia residenziale in affitto, www.monitorimmobiliare.it/public/download/20121991221548_Gli%20effetti%20della%20cedoalre%20secca%20sul%20mercato%20degli%20affitti.pdf [iii]Politiche abitative, cosa cambia per gli inquilini, www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Politiche-abitative-cosa-cambia-per-gli-inquilini-20807