Acqua, energia, smaltimento dei rifiuti: i Comuni del nord sono pronti a fondere in una grande holding la gestione di tutti i servizi essenziali per i cittadini. Un errore catastrofico
Una riflessione può cominciare dal corteo romano sull’acqua pubblica e dal resoconto che ne ha fatto il manifesto del 4 maggio. Anche se oggi può sembrare piccola cosa, di fronte al terremoto delle amministrative che boccia clamorosamente il governo e l’ineluttabilità del mercato, mi convince ancora di più della necessità di sollecitare una riflessione anche sui contenuti. Il movimento romano dell’acqua si mobilita, assieme anche ai “minisindaci” dei municipi e a tutte le associazioni, contro il sindaco di Roma che sta decidendo di vendere il 21% delle azioni di Acea, l’impresa locale che gestisce l’acqua e altri servizi cittadini, perdendo la maggioranza. La mia riflessione è andata più in là: mi sono chiesto se a Milano, dove pure si sta sviluppando qualcosa di molto più grosso e di politicamente più rilevante, si è in grado di sviluppare una simile mobilitazione a favore dell’acqua pubblica. La risposta è molto deludente. Non ce la facciamo, anzi non lo vogliamo fare. Perché prima di tutto ci sentiamo dalla parte di quest’amministrazione, l’abbiamo votata e sostenuta, ne abbiamo condiviso le speranze. Il referendum le ha dato forza e la lega al nostro movimento.
Non ce la facciamo perché gran parte del popolo di sinistra ci guarderebbe ostilmente, come se fossimo marziani. È come se, una volta sconfitta la destra, cadesse lo spirito critico. Un’amministrazione di sinistra fa delle cose e non trova più risposte critiche da parte dei cittadini che l’hanno votata. Paradossalmente la critica si trasforma da elemento positivo, capace di far discutere, in un elemento di chiusura totale per l’intero popolo che appoggia l’amministrazione. Il punto in questione è la multiutility del Nord; una proposta da molto tempo in campo e che per i protagonisti di Milano e di Torino è già avanti nella formulazione e nelle prospettive. Prende corpo qualcosa che contempla sì la vendita del 21% del capitale di tutte le società partecipate dai comuni, ma va ben oltre questa semplice operazione. Qui oltre a vendere le quote per “fare cassa”, si promuove la fusione di tutte le utility locali in una sorta di grande holding con pretese multinazionali nella quale il potere dei Comuni si diluisce e sparisce.
Accantoniamo per un momento il tema, importantissimo, della multiutility sulla via di diventare multinazionale e affrontiamo invece il problema politico. Una parte dei cittadini, per esempio a Milano, si fida dell’amministrazione e quindi decide di aspettare per vedere cosa capiterà; insomma si dà per scontato che il sindaco interpreterà nel modo giusto, che tiene conto della crisi, lo stesso referendum salva acqua. Più che avere fiducia, ci si aggrappa a una speranza. Credo che il popolo milanese di sinistra, nel senso più ampio del termine, abbia riposto l’ultima grande speranza nella possibilità di rinnovamento della sinistra e che Pisapia rappresenti proprio questa svolta. Vale anche per me, sia chiaro, non mi tiro fuori e non faccio il critico prevenuto della giunta. Sono però contrario a una fiducia che diventa fideismo, al sostegno che si confonde con l’autocensura, all’incapacità di guardare ai contenuti. Non si aiuta così la giunta e nemmeno la sinistra. Il terremoto elettorale è la parabola dell’assenza di spirito critico. Questa non è solo un richiamo ai partiti di sinistra ma all’incapacità critica del suo popolo.
Dire che in questo momento la scelta della multiutility del Nord è profondamente sbagliata e va contro la democrazia, contro il ruolo stesso dei Comuni, contro il rapporto tra eletti ed elettori, è a mio giudizio doveroso, così come pretendere che se ne discuta. La multiutility è un errore catastrofico perché non riguarda una delle tante privatizzazioni possibili, ma tutte, almeno quelle dei settori strategici, come li definisce l’assessore milanese Bruno Tabacci: acqua, energia e smaltimento dei rifiuti.
C’è un aspetto sul quale si riflette poco a proposito di acqua, energia e smaltimento dei rifiuti. L’Onu ripete da tempo che a metà del secolo il 70% della popolazione del mondo vivrà in città superiori ai 2 milioni di abitanti e le megalopoli saranno dieci volte di più. Chi avrà in mano la gestione di questi servizi, avrà in mano la vita dei cittadini e determinerà la politica urbana. Diciamolo pure: la vera politica. E che ci sia una tendenza del mercato finanziario e delle multinazionali a impossessarsi della gestione di questi servizi è un dato scontato e contro il quale diamo da anni battaglia e abbiamo fatto un referendum vittorioso.
Se oggi i Comuni delineano un disegno in cui loro stessi animano la fusione di tutte le società del Nord, privatizzate e quotate in borsa e riducono la loro partecipazione, essi determinano di fatto la propria esclusione dalla politica. E’ una deriva che coinvolge tutti i Comuni, grandi e piccoli, basti pensare che la multiutility del Nord riguarderebbe nella sola Lombardia 1500 Comuni. Dovrebbero mettersi tutti assieme, consegnare i propri impianti alla grande holding, alla quale sarebbe affidata la gestione dei servizi strategici con le finalità dichiarate dagli stessi esponenti che la portano avanti: ricavarne il massimo dei dividendi, andare sul mercato e partecipare ovunque si tengano, “anche in Australia” afferma Tabacci, alle aste per conquistare altre società e coprire il fallimento clamoroso delle decantate, vecchie privatizzazioni del Nord: A2A, Iren, Hera. E considerando Acea, anche del Centro Italia. Hanno fallito, non si può dire altrimenti. Chiudono i bilanci in modo disastroso. A2A con 5 miliardi di debiti e il fallimento dei suoi tentativi di inserirsi nel mercato internazionale, con Edison e in Montenegro. Iren con 2,5 miliardi di debiti. Hera con circa 3 miliardi. Sono disastri: il valore di A2A e Iren è sceso del 70% e del 50% in un solo anno.
Nell’ultima sua dichiarazione, il fondatore di A2A Giuliano Zuccoli, morto in febbraio, subito dopo la sua uscita dalla società, ha detto che l’azienda non ha trattenuto gli utili, perché finivano agli azionisti, ai Comuni in particolare, come dividendi; l’azienda non ha fatto investimenti adeguati a rinnovare la tecnologia e a ottemperare la sua missione verso i cittadini. Da qui bisognava ripartire, invece è l’inverso. Ed è proprio Piero Fassino, sindaco di Torino (e azionista Iren), a descrivere il futuro con chiarezza: “se rimaniamo così, moriamo, se ne può venir fuori solo con qualcosa di più grande ( in cui spalmare i debiti) in grado di concorrere sul mercato internazionale”. In sostanza: sommare i fallimenti per prepararsi a un probabile fallimento ancora più grande.
Certo, questa politica è la cancellazione del referendum. Non è credibile l’affermazione che in città come Milano e Torino l’acqua rimarrà fuori perché è fuori da A2A e da Iren. Il movimento non deve tacere; perché se a Torino e Milano l’acqua, come sostiene l’assessore Tabacci, “per il momento resta fuori, poi si vedrà”, non è così altrove. È in A2A e Iren a Brescia, Monza, Bergamo, Reggio Emilia, Genova, Parma e Piacenza. E Il Mondo del 4 maggio va oltre e parla chiaro: “si tratta di guardare e tirar dentro nella multiutility, tutta la realtà del Nord: Dolomiti Energia di Trento, Assopiave di Treviso, Acegas di Padova e Trieste, Afm di Verona e persino Linea Group di Cremona”.
Milano lascia per ora l’acqua alla società Metropolitana milanese. … poi si vedrà come per Torino. Inoltre, visto che sia Tabacci sia Fassino in più occasioni hanno ribadito la volontà di vendere parte del pacchetto azionario a un socio finanziario, va ricordato che sull’acqua e i rifiuti il referendum si è espresso in modo chiaro. Non c’è alcuna legge che obblighi a scendere sotto il 30%. E tanto meno, non c’è nessun obbligo alle fusioni e a trasformare i comuni in…come si può dire? In gente della finanza. C’è una frase significativa di Zuccoli, da presidente di A2A: “finalmente saremo anche noi predatori”. Gli risponde Marco Vitale, moderato economista milanese, a sua volta consigliere di amministrazione di A2A: “se si pensa di trasformare i Comuni in queste finalità, vuol dire cancellare i Comuni dalla loro funzione”. Non li abbiamo eletti né per fare dividendi, né per vincere sul mercato internazionale. Li abbiamo eletti per gestire beni e servizi vicino ai cittadini.
Sul “che fare?” vorrei aggiungere ancora due cose. Questa prospettiva della multiutility, priva di un qualsiasi disegno politico riguardo energia rifiuti ed acqua, fatta solo per sanare buchi di bilancio e coprire fallimenti, sottintendeva forse un disegno che stava prendendo corpo a fronte della crisi e del disintegrarsi dell’Unione Europea. Un disegno intravisto con il governo Monti in Italia e che ha trovato l’ostilità della gente in tutta Europa. È la scelta di conferire ai nuovi stakeholders finanziari la decisione sui diritti fondamentali. È la svendita dei servizi, proprio nella logica del negoziante che svende quando sta fallendo. Ma a chi vendere? Alle banche, alla finanza, ai centri del potere finanziario? I fautori della multiutility, quando serpeggia la domanda su chi sarà il socio che entrerà a prendere la quota azionaria in vendita, indicano il fondo F2i di Vito Gamberale, il fondo che si è preso (in modo discutibile) la partecipazione nella Sea a Milano ed è già entrato ai ferri corti col Comune stesso. Un fondo privato, è bene chiarirlo, che opera nel mercato e al quale concorre il capitale pubblico di Cassa Depositi e Prestiti e quello privato delle fondazioni bancarie. In sostanza il centro della decisione si sposta in ambiti esterni alla politica e alle scelte delle amministrazioni locali, dunque lontano dai cittadini. “È la fine del capitalismo comunale” dice Tabacci. Forse però poteva anche citare l’inizio dei Comuni capitalisti multinazionali. Voleva essere il disegno “montiano”, di Passera, di Casini, di Tabacci, di Caltagirone di CL e forse della Lega delle cooperative? E il PD ha forse cercato di cavalcarlo? Se è così, questo disegno esce battuto dalle ultime elezioni locali e quello che si è pensato a Milano, a Torino e in tutto il Nord con la multiutility, ha il sapore del fallimento.
Il secondo punto che voglio segnalare è che questa prospettiva porta comunque il sapore di una cultura nordista. Sempre sul Mondo del 4 maggio, si legge: “Il fronte del Nord si organizza”e questo è il promemoria della una grande multiutility, fatta da A2A, Iren, Hera e da tutto il resto. Un sapore nordista che vuol mostrare la propria forza finanziaria, per fare shopping nel mondo e più concretamente nel “povero Sud”. Ho sentito questo nelle parole di Fassino quando spiega: “o facciamo questa cosa o io do mandato a Iren di andare a fare shopping in tutte le piccole società italiane”, che si trovano tutte al Sud. Per un attimo ho sentito il respiro del libro di Primo Aprile, “Terroni”, con i “piemontesi” che vanno a “predare” il Sud gregario. Infine, nella multiutility ho percepito persino la confusa idea di un altro partito del Nord che si inserisse nella crisi della Lega. La cosa principale comunque è che se perfino a Milano non si cambia, l’architrave democratica dei Comuni se ne va a pallino; visto che la democrazia in Italia, anche quando era agonizzante, è riuscita a sopravvivere sul rapporto tra cittadini e Comune. Se c’è qualcosa che caratterizza l’Italia è il Comune. Il Comune ha subìto di tutto, ma il suo Sindaco è stato sempre il Sindaco, l’acqua è stata l’acqua del sindaco. Ora tutto questo è a rischio. Il sindaco vuol diventare un finanziere. Ma a elezioni fatte, non dovremmo tutti, a sinistra, fare una bella riflessione, anche sulle privatizzazioni, le fusioni ecc…giunta di Milano e sindaco compresi?