Fitta la lista degli economisti al governo. Hanno ricevuto molti complimenti, qui poniamo una domanda: usciranno dai limiti della loro specializzazione per vedere la società?
Nella lista dei membri del nuovo governo, come fin da subito si è commentato, molti gli economisti: persone di grande competenza, con esperienze in sedi internazionali. Un dato che ha avuto forte apprezzamento a livello europeo.
Si confida, dunque, che queste persone possano delineare politiche – economiche, appunto – adeguate alle sfide di questa fase. E però – nel mondo delle scienze sociali – non possiamo fare a meno di chiederci se questi insigni economisti siano in grado di sfuggire ai limiti (inevitabili) della loro specializzazione: certo conoscono le leggi che operano nella finanza, il funzionamento del sistema monetario, le complesse logiche dei mercati a livello globale, le possibili scelte delle imprese come “attori” principali per l’auspicata crescita, ecc. Ci si domanda anche se questi “esperti” abbiano adeguata consapevolezza delle complesse implicazioni appunto per il sociale delle loro decisioni: dunque le diversità delle situazioni e dei soggetti (molto poco si è parlato degli “immigrati” come parte del contesto, e però c’è stato l’incontro, martedì 15, del presidente Napolitano con un gruppo di “nuovi italiani”). E le inadeguatezze e urgenze nell’apparato di welfare di cui disponiamo; i tempi non rapidi di realizzazione delle politiche, e dunque il medio e il più lungo termine; la complessità del sistema di governance. Nel nostro linguaggio: le ricadute sui dati del “quotidiano”, i possibili effetti “inattesi”, o anche “ perversi”, di scelte e interventi. Pesanti i costi per interventi in questo settore, e inevitabili, forse, forme di resistenza e di protesta.Il quadro delle forti, e crescenti, disuguaglianze nella nostra società: dunque diritti negati, discriminazioni, situazioni di “invisibilità”.
Un segno importante è venuto dalla decisione del presidente incaricato di convocare, oltre ai rappresentanti delle forze politiche, le “parti sociali” ed esponenti della “società civile”: un passaggio inatteso, per niente scontato. Hanno potuto far sentire la loro voce figure diverse del mondo imprenditoriale, delle associazioni sindacali, degli enti locali; anche figure del “mondo delle donne” e dei “giovani”. Nei colloqui organizzati in vista del programma di governo sono arrivate parole come “patto di cittadinanza”, “equità”, “pari opportunità”, “patto sociale”.
E di fronte ai criteri che hanno portato alle nomine dei ministri si è rafforzata l’impressione che ci sia attenzione a intrecci e interconnessioni tra processi dell’economia e dati del sociale e consapevolezza delle condizioni (interessi, bisogni, aspettative) con cui ci si deve confrontare.
Siamo immersi da tempo in letture preoccuate e duramente pessimiste. Guardiamo a questi come segnali per gli anni che abbiamo davanti. Nel percorso che si avvia è emersa una dimensione di “ascolto” da parte delle istituzioni. Ascolto e anche possibili, inconsueti, processi di “apprendimento”: li leggo, appunto, come segnali importanti.
Facciamoci tutti tanti auguri.