Trucchi e bugie sulla privatizzazione di Alitalia, che ha inaugurato l’oligo-liberismo: una politica industriale gestita in totale opacità. La ricostruzione in un libro
«Spinetta con il mio veto dovrà rinunciare» (Berlusconi, Il Sole-24 ore, 18 marzo 2008). «Ribadisco che non fu qualcosa ostacolato dall’opposizione con a capo il sottoscritto» (Berlusconi, LaRepubblica, 7 maggio 2009, p. 13)
«Nuova Alitalia, decollo riuscito» (intervista all’ad Rocco Sabelli, LaRepubblica-AffariFinanza, 11 gennaio 2010, p. 1).
Le citazioni appena riportate, scelte tra le tante sul “caso Alitalia” che ci hanno fatto compagnia negli ultimi tempi, mi sembra giustifichino ampiamente l’aver inteso, De Blasi e io, ricostruire in Alitalia. Una privatizzazione italiana (Donzelli, 2009) le recenti vicende della “nostra” Compagnia di bandiera.
Abbiamo voluto raccontare la storia, spesso la cronaca, del lungo processo di declino che ha portato alla chiusura della (vecchia) Alitalia focalizzando l’attenzione soprattutto sulle vicende dell’ultimo decennio. È un momento cruciale nel quale la dirigenza prende atto della necessità di affrontare il rilancio industriale della Compagnia per fronteggiare le trasformazioni che hanno investito, negli anni novanta, il mercato mondiale del trasporto aereo in seguito ai processi di deregolamentazione e della concorrenza dei vettori low-cost. Per contrastare il declino della società, fino alla metà degli anni novanta ancora nelle prime posizioni europee per trasporto di passeggeri, s’impone la ricerca di alleanze a livello internazionale così come accade per le maggiori compagnie mondiali. È, questa, una strategia impegnativa che richiede al management industriale grande capacità di recupero di efficienza in termini di contenimento dei costi e, soprattutto, di sviluppo della qualità dei servizi.
In quest’ottica la ricostruzione della vicenda Alitalia prende le mosse dal tentativo, a fine anni novanta, di costituire una joint-venture con la compagnia olandese Klm, iniziativa che non trova uno sbocco positivo nonostante le condizioni propizie per la complementarità operativa dei due soggetti. La possibilità di ritentare un analogo accordo con altri partner internazionali (Air France-Klm), pur in un contesto meno favorevole per il ruolo regionale nel quale si sta restringendo l’Alitalia, sarà rinviata di un decennio per una serie di motivi tra cui anche l’opposizione elettorale di Berlusconi. L’esito sarà alla fine la liquidazione della (vecchia) Alitalia.
L’esperienza dei ripetuti tentativi di risanare, ristrutturare e rilanciare l’azienda indica come essi si siano scontrati con una serie di ostacoli, interni ed esterni ad essa. Come sottolineiamo nel libro, essi riguardano soprattutto la difficoltà di definire e implementare piani industriali sostenibili di lungo respiro; le insufficienze infrastrutturali del sistema-paese riflesse nell’eccessiva polverizzazione del sistema aeroportuale; gli interessi locali con l’ingombrante dualismo tra Malpensa, Linate e Fiumicino; la frammentazione delle rappresentanze sindacali nate per proteggere interessi diversificati; ma soprattutto l’incapacità politica di affrontare i nodi strutturali di un’industria pubblica rilevante per il Paese. È ciò che si manifesta in tutta la sua evidenza quando, nelle fasi cruciali della vicenda, vengono privilegiati gli interessi particolari delle forze politiche nazionali e locali piuttosto che le prospettive industriali nazionali di lungo respiro.
La stessa liquidazione della (vecchia) Alitalia è sintomatica di una visione proprietaria della cosa pubblica. La sua privatizzazione è raggiunta a favore di un gruppo (privato) di imprenditori la cui funzione è sostanzialmente quella di traghettare la compagnia (pubblica) verso quello stesso partner internazionale, AirFrance–Klm, che la politica aveva allontanato in precedenza per ben due volte. Anche per questa sua conclusione, la vicenda Alitalia offre molteplici spunti per riflessioni su come è gestita la nostra politica industriale. Colgo questa occasione per proporne alcune.
La prima citazione riportata all’inizio solleva una questione, per quanto apparentemente laterale alla vicenda qui considerata. La riscrittura della storia fatta da Berlusconi su quanto è avvenuto nell’ultima fase della privatizzazione Alitalia rende evidente l’inutilità di riflessioni serie su problemi seri quando i fatti, pur nella loro complessità, sono sostituiti da pure rappresentazioni di comodo. Per contrastare questa eventualità abbiamo scelto di riproporre, con un’esposizione dai toni volutamente contenuti, il lungo e complesso processo che ha portato alla fine della compagnia pubblica, privilegiando notizie già disponibili a qualsiasi lettore attento ai nostri fatti economici quotidiani, nella convinzione che la riproposizione semplice e compatta dei vari eventi svoltisi sotto i nostri occhi nell’arco di dieci anni li possa sottrarre al rapido decadimento caratteristico della pubblicistica dei nostri tempi. Il nostro lavoro non si rivolge infatti all’esperto del settore, ma a coloro cui interessa comprendere i processi più generali della nostra società e quindi i motivi delle decisioni, passate e presenti, che finiscono con il condizionare a lungo il nostro futuro economico e civile. Solo una forte memoria dei processi che hanno prodotto la situazione corrente permette una piena comprensione delle condizioni e delle decisioni cruciali che hanno generato il presente e permettono quindi di individuare e di valutare le relative responsabilità, unico modo per evitare, da un lato, di ripetere gli stessi errori e per rafforzare, dall’altro lato, i processi virtuosi avviati. Lo smarrimento della memoria è la causa prima dell’irresponsabilità politica.
Gli ultimi atti della vicenda offrono anche un altro elemento di riflessione, ben individuato dalla seconda citazione riportata all’inizio. Poiché in quella affermazione dell’ad Sabelli è evidente l’assillo degli amministratori della (nuova) Alitalia di dimostrare che l’avvio verso un attivo di gestione giustificherebbe l’intera operazione, appare necessario provare che si tratta di un fraintendimento, per quanto ampiamente diffuso dalla pubblicistica corrente.
A questo riguardo, non va dimenticato che la (nuova) Alitalia ha ereditato a buon prezzo i migliori asset materiali e immateriali della (vecchia) Alitalia sgravandosi nel contempo di tutti i suoi debiti pregressi. Sostanzialmente, essa è stata posta nelle condizioni di avviare la sua attività come se fosse un’impresa “start up, ma con cinquanta e passa anni di avviamento”. Per realizzare queste condizioni lo Stato e la collettività hanno sostenuto un costo fin troppo pesante, se confrontato con quello che sarebbe risultato dalla soluzione prevista dall’accordo del 2008 con AirFrance-Klm. In effetti, con il processo di privatizzazione lo Stato italiano subisce una perdita come azionista e come creditore (sottoscrittore del prestito obbligazionario e finanziatore del prestito ponte) a favore sia della costituenda compagnia che della privata Air One, di cui il Governo si assume l’onere di farla uscire dalla crisi in cui versava. A questi costi diretti si aggiungono i costi indiretti della cassa integrazione per i dipendenti in esubero; quelli associati all’impatto occupazionale sull’indotto; gli indennizzi ai piccoli azionisti e obbligazionisti. Ad essi vanno aggiunti i minori introiti contribuitivi ed erariali; i maggiori costi a carico di consumatori e delle imprese private derivanti dalla sospensione dei controlli dell’Antitrust; i costi relativi ai crediti che il fallimento Alitalia lascia insoluti. In mancanza di un trasparente ragguaglio ufficiale appare convincente la stima da più parti avanzata che, rispetto all’accordo con AirFrance del 2008, il maggior costo della privatizzazione e costituzione della (nuova) Alitalia si colloca tra i 2,8 ed i 4,4 miliardi di euro. Un costo che corrisponde al taglio dei fondi per la Ricerca e l’Università deciso dal governo per il prossimo quinquennio e a oltre la metà del Fondo di Finanziamento Ordinario dell’intero Sistema Universitario statale.
Su questo sfondo, la soddisfazione dell’ad Sabelli per i risultati e per le prospettive della (nuova) Alitalia non sembrano congruenti. Sebbene importanti per gli interessi dei “patrioti” che hanno fornito il capitale, i risultati del lavoro di Colaninno e di Sabelli sono il risultato di un’impresa privata che si traducono in benefici (dividendi e plusvalori) privati. Ciò trova un’evidente conferma quando l’ad Sabelli sostiene essere «un amministratore delegato al quale è stato affidato un compito delicato, ma che gode di condizioni di cui nessun amministratore delegato precedente ha mai goduto, per la discontinuità con la situazione precedente, per il perimetro aziendale e, soprattutto, per l’assenza assoluta di interferenze». Buon per lui e per la ventina di soci della (nuova) Alitalia, ma che senso hanno questi risultati per una collettività che ha sostenuto un così ingente costo per garantir loro condizioni così favorevoli? Quali sono le ricadute positive sull’apparato produttivo e sul benessere sociale dell’attività della compagnia risanata? È questo, in sostanza, l’aspetto rilevante e del quale dovrebbero dar pubblicamente conto gli attuali gestori della politica economica.
Il senso comune dice che i processi di privatizzazione non si giustificano di per sé, ma solo se generano nel tempo benefici aggiuntivi in termini di valore aggiunto per la collettività. Il modo e i tempi con i quali si è realizzata la privatizzazione dell’Alitalia, pur da lungo auspicata come essenziale per gli interessi industriali del Paese, non dà particolari evidenze che i rilevanti costi sostenuti dal Paese siano, o saranno, compensati da significativi e permanenti benefici per la collettività. Se il processo di privatizzazione di un’impresa pubblica è un momento cruciale per comprendere la visione della classe dirigente del paese, sia imprenditoriale che politica, essa non offre elementi per individuare l’ottica di lungo periodo del Governo, né la sua attitudine ad affrontare l’incertezza del futuro produttivo. La vicenda Alitalia – interpretata nel libro in termini di costo delle scelte e delle non-scelte della politica – appare emblematica della politica economica dell’attuale Governo, ovvero di una gestione della politica industriale in un’ottica oligoliberista, nel senso della costruzione e gestione di mercati connotati da opacità informativa. Si tratta di una scelta funzionale alla dissimulazione delle reali implicazioni di operazioni che, nel caso dell’Alitalia, rappresenta per l’entità dell’esborso uno dei maggiori interventi di politica industriale del Berlusconi III (sempre in attesa di conoscere l’effettivo impegno per il Ponte sullo Stretto e per il rilancio del nucleare). Siamo, in altre parole, in presenza di una politica industriale che, attraverso la frammentarietà ed opacità delle iniziative, non permette di valutare costi e benefici delle diverse iniziative e delle loro possibili alternative (il caso Fiat docet); un atteggiamento per il quale la memoria di quanto è realmente avvenuto è essenziale per contrastare quella irresponsabilità degli attori di politica economica che garantisce loro di decidere, in mancanza di un consapevole contraddittorio, la nostra realtà futura.
Roberto De Blasi, Claudio Gnesutta. Alitalia, una privatizzazione italiana. Donzelli, 2009, euro 16,50