Previdenza e spesa sociale: il saldo tra quel che versano e quel che prendono gli immigrati è ancora ampiamente positivo. Mentre già si tagliano le loro prestazioni
21 miliardi di euro: a tanto ammonterebbe, secondo una stima recentemente proposta dall’Inps sulle pagine del Sole 24 Ore, il reddito lordo imponibile dei 2.175.545 lavoratori stranieri dipendenti, autonomi e parasubordinati iscritti negli archivi dell’istituto nel 2007. I relativi contributi versati (che alimentano quindi le casse dell’istituto) sarebbero pari a circa 5 miliardi di euro.1 Da questa stima restano esclusi i lavoratori agricoli e domestici. I primi ammontano a poche migliaia, ma i secondi già nel 2004 erano 336.524: il dato reale è dunque sicuramente superiore a quello indicato. Se poi, invece di fare riferimento al reddito lordo imponibile, volessimo riferirci al reddito prodotto, il valore salirebbe ancora: sono infatti migliaia i lavoratori e le lavoratrici straniere che lavorano al nero, invisibili nelle statistiche ufficiali. Certo non versano i contributi all’Inps, ma, quasi mai per libera scelta, alimentano quel 15-16% di valore aggiunto al Pil che secondo le stime dell’Istat viene prodotto nel nostro paese dall’economia sommersa.
Allora sorge una domanda: l’immigrazione ha raggiunto nel nostro paese dimensioni tali da mettere a rischio nel medio-lungo periodo la sostenibilità del nostro sistema di welfare? Trovano qui fondamento alcuni provvedimenti recentemente adottati dal governo che intervengono a limitare l’accesso dei cittadini stranieri ad alcune prestazioni sociali?
Tentiamo di rispondere a partire dall’analisi dei dati oggi disponibili sulla previdenza e sulla spesa sociale dei comuni.
Innanzitutto, la previdenza. Al 1 gennaio 2006 le prestazioni pensionistiche in pagamento a persone nate all’estero erano 285.052 con un importo medio mensile pari a 583 euro. La loro incidenza sul numero totale di prestazioni pensionistiche erogate (23,3 milioni) risultava ancora esigua (1,2%) e comportava una spesa pari all’1% della spesa pensionistica totale. Tra le prestazioni pensionistiche erogate a persone nate all’estero residenti in Italia, le pensioni per invalidità civile rappresentavano il 15,2% e gli assegni sociali l’8,1%. L’età molto giovane dei residenti stranieri in Italia (il 72% ha meno di 40 anni e il 22,4% è costituito da minorenni) fa sì che nel medio periodo il loro peso sulla previdenza sia destinato a rimanere limitato.
Soffermiamoci per un attimo sull’assegno sociale: lo ricordiamo, è la prestazione assistenziale che lo Stato riconosce agli ultra 65enni privi di reddito, il suo importo varia di anno in anno. Al 1 gennaio 2006 gli assegni sociali erogati in Italia a cittadini nati all’estero risultavano 18.409, con un importo mensile medio pari a 400 euro.3 Bene, il decreto legge n.112 con cui il Governo ha varato le misure in materia economico-finanziaria per l’anno 2009 contiene una norma (art. 20 comma 10) che restringe l’accesso a questa misura ai cittadini che abbiano soggiornato regolarmente e in modo continuativo in Italia per 10 anni.
Tale requisito è richiesto a tutti, dunque anche ai cittadini italiani. Chi conosce però le difficoltà che i cittadini stranieri incontrano non solo nell’ottenimento, ma anche nel rinnovo del permesso di soggiorno, può facilmente comprendere come la norma sia pensata proprio per escludere questi da tale diritto. Il carattere propagandistico della misura è evidente se si considera il suo scarso impatto sul piano della riduzione della spesa.
Sono d’altronde proprio i dirigenti Inps a sottolineare, in uno degli articoli citati all’inizio, che anche in un orizzonte di medio-lungo periodo, il rapporto tra contributi e prestazioni previdenziali riferito alla popolazione straniera è destinato ad essere positivo.
Tale rapporto potrebbe tra l’altro migliorare ulteriormente, aggiungiamo noi, se, anziché varare norme che ostacolano l’ingresso regolare in Italia per motivi di lavoro, il Governo si adoperasse per combattere il lavoro nero (tutto). Se ad esempio i lavoratori stranieri irregolari potessero denunciare il rapporto di lavoro irregolare e, per questa via, regolarizzare la propria posizione sul lavoro e sul soggiorno, avrebbero una vita più facile e le casse dell’Inps ne trarrebbero giovamento.
Anche l’analisi dei dati disponibili sulla spesa sociale dei Comuni non sembra giustificare alcun allarme. Secondo l’Istat i Comuni hanno speso complessivamente nel 2005 5,7 miliardi di euro per finanziare servizi e interventi sociali, strutture comunitarie e residenziali e trasferimenti in denaro a fini sociali. Solo il 2,4% di questa spesa, pari a 136,7 milioni di euro, è andata a beneficio di cittadini stranieri. Nel 2004 l’incidenza sulla spesa complessiva era la stessa per un ammontare pari a 127 milioni di euro. Rapportando la spesa alla popolazione straniera residente l’Istat calcola la spesa sociale pro-capite sull’immigrazione sostenuta dai Comuni: 53,9 euro l’anno di fronte a una spesa sociale pro capite complessiva pari a 98 euro. Questa è naturalmente la media nazionale, ma vi è una grande differenziazione a livello regionale. I 154 euro pro capite spesi dalla Provincia autonoma di Bolzano e i 146 euro spesi in Friuli Venezia Giulia diventano 12,9 euro in Molise e 14,8 euro della Campania.
Quanti sono gli utenti stranieri dei servizi e degli interventi sociali comunali? L’Istat non fornisce il dato complessivo ma solo alcuni dati parziali. 188.380 cittadini stranieri hanno avuto accesso al Servizio Sociale Professionale, in 283.044 hanno usufruito di interventi di integrazione sociale, 34.387 sono gli utenti dei servizi educativo-assistenziali e per l’inserimento abitativo. Ma a fine 2005 i cittadini stranieri residenti in Italia erano 2,7 milioni.
Nel 2005, come negli anni precedenti, le poche risorse che gli enti locali hanno speso per interventi di inclusione sociale dei cittadini stranieri hanno raggiunto una piccolissima parte della popolazione straniera. E, con ogni probabilità, i Comuni spenderanno sempre meno grazie ai tagli agli enti locali previsti nella manovra economico-finanziaria 2009 (-13,9 miliardi in 3 anni), tagli che non risparmiano neanche il fondo nazionale destinato a sostenere gli interventi in questa materia.
Le già limitate risorse con le quali il Governo precedente aveva finanziato il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati (50 milioni per l’anno 2007, 100 milioni di euro per l’anno 2008, 50 milioni per il 2009) sono state infatti ridotte per l’anno 2008 a 5,1 milioni di euro dall’art. 5 comma 11 cosiddetto decreto taglia-Ici. In sostanza una parte, seppur piccola, dei costi dell’abrogazione della tassa sulla casa, che va ricordato, con questo decreto è andata a vantaggio dei proprietari di abitazioni che hanno un reddito più alto, è stata finanziata grazie alla sottrazione delle scarse risorse disponibili per gli interventi di inclusione dei cittadini stranieri. Oltre al danno, la beffa. Che degenera in paradosso se si osservano gli stanziamenti previsti nel disegno di legge 733, attualmente all’esame del Senato, per la costruzione e la gestione di nuovi centri di detenzione, ribattezzati dal decreto legge 125/08 Centri di Identificazione e Espulsione: 535 milioni di euro per il periodo 2008-2010. Considerando quanto già stanziato sino ad oggi per costruire quelli già esistenti (529 milioni di euro tra il 1998 e il 2005), viene il dubbio che a pesare di più sul nostro sistema di welfare non siano i servizi e le prestazioni sociali e previdenziali erogati ai cittadini stranieri, ma le spese sostenute per frenare (senza riuscirci) l’immigrazione illegale.
1 Si vedano gli articoli pubblicati sul Sole 24 Ore del 1 Settembre 2008, pag. 11 di Squillaci L., Inps, Il tesoro degli immigrati e di Maddaluna G. – Papa F., (rispettivamente Dirigente Sviluppo, applicazione e metodi e Direttore Generale area informazione statistica dell’INPS), I giovani stranieri danno ossigeno ai conti del welfare.
2 Istat, Le misure dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali. Anni 2000-2006, Statistiche in breve 18 giugno 2008.
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