È concepibile che l’Italia abbia cambiato la costituzione per inserirvi il pareggio di bilancio ma non si possa ridiscutere mandato e funzionamento della Bce?
Mentre le banche centrali di Usa, Giappone e Gran Bretagna portano avanti, con diverse modalità, politiche espansive e di sostegno ai rispettivi governi, in Ue non avviene nulla di paragonabile. In rari casi (con manovre indicate come Omt) la Bce ha acquistato titoli di Stato, unicamente sul mercato secondario e “in cambio” di impegni a durissime riforme e tagli alla spesa pubblica. Un’azione limitata e come risposta a specifiche situazioni di emergenza, non certo pensato come una politica economica strutturale per uscire dall’attuale crisi. Nel prossimo futuro anche tale intervento di pura emergenza potrebbe essere delegato al Esm, il nuovo fondo europeo spesso indicato come “salva-Stati”.
Per quali motivi la Bce non può fare di più? È l’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, tra gli altri, che vieta alla banca centrale di aiutare gli Stati (o gli enti locali), lasciando i Paesi europei in balia di mercati finanziari e spread e senza le risorse necessarie per impostare un rilancio dell’economia. Le giustificazioni per un tale approccio sono di diversa natura:
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i Paesi più forti, Germania in testa, non vogliono farsi carico del debito di quelli più deboli;
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un aumento della massa monetaria in circolazione porterebbe inflazione;
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i Paesi che dovessero ricevere un aiuto dalla Bce sarebbero spinti a “non fare i compiti” e magari anche a indebitarsi nuovamente. È il cosiddetto azzardo morale.
Cerchiamo di capire la validità di questi argomenti. Sul fatto che le “formiche” tedesche non vogliono pagare per le “cicale” del Sud Europa ci sono diversi ordini di risposta. Primo, se nei Paesi del Sud negli scorsi anni c’è stato un deficit eccessivo, è perché nel Nord Europa c’è stato un surplus eccessivo. Gran parte del commercio europeo è all’interno dei 28 Stati membri, non si capisce per quale motivo le responsabilità debbano ricadere unicamente sui debitori. O meglio, il motivo è il mantra della “competitività”: la Germania esporta, quindi, nella visione neo-mercantilista che domina l’Ue, è per definizione virtuosa. I Paesi del Sud hanno perso competitività, “logicamente” sono loro a dovere fare sacrifici e cambiare rotta.
Oltre il dogma mercantilista, la questione è emblematica di un’Europa in mezzo al guado e costruita su due velocità. Un’unica Banca centrale che decide le politiche monetarie, senza un’Europa fiscale e politica. Non solo in tale situazione ogni Paese deve pensare per sé e non può contare sulla copertura di una banca centrale, ma di fatto i 28 Paesi membri dell’Ue si trovano, a dispetto della stessa idea di “unione” europea, in competizione tra di loro.
Ancora a monte, pensare che il centro dovrebbe pagare per la periferia è sbagliato in partenza. La Bce può creare liquidità e immetterla nel sistema economico. Sono possibili diverse modalità di intervento della Bce senza che i “contribuenti tedeschi debbano pagare il debito italiano”.
Questo porta al secondo punto: un aumento del denaro in circolazione potrebbe provocare inflazione. In una Ue sull’orlo della deflazione, con una domanda aggregata ai minimi storici e una disoccupazione ai massimi nei Paesi del Sud Europa, tale argomento appare a dire poco pretestuoso.
Veniamo allora al terzo aspetto: se la Bce intervenisse per aiutare i Paesi che in passato si sono indebitati troppo, li incentiverebbe a non impegnarsi nelle misure strutturali per rispettare i vincoli europei, e ancora peggio potrebbe spingerli a contrarre nuovi debiti, sperando poi in un successivo nuovo intervento della Banca centrale. Ecco “l’azzardo morale”.
Anche qui, le risposte sono di diverso tipo. Primo, sono vincoli europei senza nessuna giustificazione economica a dovere essere rimessi in discussione, non il benessere delle persone a rappresentare la variabile su cui giocare per rispettarli. L’eventuale “azzardo morale” appare inoltre davvero poca cosa rispetto a quello concreto di implosione dell’Ue che stiamo vivendo in questi mesi. Tutto questo senza considerare che sarebbe anche qui possibile strutturare l’intervento della Bce in modo da rimuovere tale rischio, se anche fosse reale, ad esempio prevedendo la fine del sostegno della banca centrale per i Paesi che dovessero tornare a indebitarsi troppo.
Queste sono però questioni tecniche. Molto prima, è il dogma attuale a dovere essere rimesso radicalmente in discussione. Le banche private ricevono oltre 1.000 miliardi di euro di prestiti, liquidità allo 0,25% in cambio di garanzie sempre più scadenti, possono lavorare con leve finanziarie spropositate. Dall’altro lato nessun prestito agli Stati, nessuna erogazione di liquidità o monetizzazione del debito, nessuno sforamento possibile ai vincoli macroeconomici. Se dovesse esserci un azzardo morale per gli Stati, quale termine dovrebbe essere utilizzato per continuare a inondare di liquidità e soldi facili le stesse banche in gran parte responsabili della crisi, che non erogano credito all’economia e hanno ripreso a speculare come e peggio di prima? Chi dovrebbe sottoporsi all’austerità?
Siamo in presenza di una disparità di trattamento tra finanza privata e finanza pubblica che non ha probabilmente precedenti nella storia. A maggior ragione risalendo a chi sono i responsabili della crisi e a chi ne ha subito al contrario gli impatti. Molti altri esempi sarebbero possibili. Tra i diversi vincoli, i Paesi europei hanno dovuto accettare un controllo, se non una vera e propria ingerenza, della Commissione europea nei loro conti pubblici, con possibilità di intervento e richieste di modifica delle decisioni prese dai Parlamenti sovrani che non dovessero essere in linea con le impostazioni dei burocrati di Bruxelles. Parliamo di un controllo da parte della stessa istituzione che per bocca del Commissario Barnier dichiarava a settembre 2013 che “dobbiamo adesso interessarci dei rischi causati dal sistema bancario ombra”. Mentre gli Stati sono sottoposti a un controllo strettissimo, per il gigantesco sistema bancario ombra che si muove al di là di qualsiasi regola o controllo, a cinque anni dal fallimento della Lehman Brothers e oltre sei dallo scoppio della crisi, la Commissione, bontà sua, dichiara che è tempo di mostrare un qualche interesse.
Dobbiamo cambiare le regole, ma ancora prima dobbiamo ricostruire dalle basi l’immaginario costruito in questi anni. Un immaginario dove gli unici dati che contano sono quelli economici, dove il libero mercato è l’indiscutibile assioma su cui si fonda ogni aspetto delle nostre vite, dove i diritti vengono sacrificati sull’altare della competitività, dove i mercati possono scommettere sui titoli di Stato ma è la democrazia ad essere accusata di “azzardo morale” da quel casinò finanziario che ne sta assumendo il controllo.
I trattati si possono cambiare. È concepibile che l’Italia abbia dovuto cambiare la propria costituzione per inserirvi il pareggio di bilancio ma non si possa ridiscutere mandato e funzionamento della Bce? Ancora prima dell’introduzione delle pur fondamentali regole per chiudere una volta per tutte il casinò finanziario, è un nuovo patto fondativo europeo a essere ormai improcrastinabile. I governi, e il nuovo Parlamento europeo che uscirà dalle elezioni di maggio, saranno in grado di raccogliere questa sfida?