La neonata tassa sulle transazioni finanziarie non si applica a molti derivati, strumenti principe della speculazione e non frena le operazioni ad alta frequenza che generano instabilità sui mercati
Penalizzare l’economia reale e l’accesso al credito, incentivare la speculazione finanziaria. Sembra questo il surreale doppio obiettivo raggiunto dal governo Monti con l’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) all’italiana.
L’idea della Ttf è semplice quanto efficace. Un’imposta minima, dell’ordine dello 0,05%, su ogni transazione finanziaria. Gli impatti sono minimi per chi opera con orizzonti di lungo periodo, mentre diventano tanto più rilevanti quanto più gli obiettivi sono di breve termine. Tutto questo sempre che la tassa venga pensata e implementata correttamente, o per lo meno in modo accettabile.
Da mesi gli stessi promotori e sostenitori della Ttf, riuniti in Italia nella campagna Zerozerocinque, denunciano i pesanti limiti della proposta introdotta dal governo Monti con l’ultima legge di stabilità. Per fare un esempio la misura italiana non si applica alla stragrande maggioranza dei derivati, gli strumenti principe della speculazione. Ancora, non è efficace per frenare le operazioni ad alta frequenza che generano fortissima instabilità sui mercati. Con una metafora, è come dire che dopo anni di campagne vengono finalmente introdotti dei limiti di velocità sulle strade, ma si scopre che riguardano le biciclette ma non le automobili.
Questo non è ancora nulla. Il testo della legge prevede l’esclusione delle società quotate con una capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro. Lo spirito della legge sembrerebbe quello di tassare unicamente le azioni delle società di maggiori dimensioni. Una decisione su cui si può essere o meno d’accordo. Ma il punto non è questo. Nella formulazione attuale, di fatto tra le società con capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro vengono esentate unicamente quelle quotate. Questo significa che una piccola Spa o una banca di credito cooperativo (Bcc) rischiano di dovere pagare la Ttf per ogni loro compravendita di azioni.
Uno dei problemi maggiori dell’economia italiana è la difficoltà di accesso al credito per le piccole e medie imprese, il cosiddetto credit crunch. Un problema in parte legato alla necessità per le banche di aumentare il loro patrimonio e capitale sociale, per essere più solide. Le Bcc sono un tassello fondamentale del sistema bancario italiano, presenti in maniera capillare sul territorio e in prima fila nel finanziare artigiani e piccole imprese. Se verrà confermata l’interpretazione che sembra emergere dalla proposta italiana, tali banche potrebbero essere costrette a pagare la Ttf sulla compravendita di azioni, il che renderebbe più gravosa e complessa la raccolta di capitale sociale, con potenziali conseguenze sul sistema produttivo in Italia.
Un costo probabilmente limitato, come ricordato per operazioni non speculative e di lungo periodo la Ttf ha un impatto minimo. Ma rimane un incredibile principio di fondo, di fronte a una finanza ipertrofica e sempre più scollegata dalla realtà che permette persino, tramite i derivati, di scommettere sul fallimento di interi Paesi o sul prezzo delle materie prime alimentari, andando di fatto a guadagnare sulla fame dei più poveri. Bene, la geniale imposta italiana sembra ignorare totalmente tali meccanismi per andare invece a incidere sull’economia reale e il costo dell’accesso al credito per le imprese.
Se confermata, una proposta talmente assurda che, cedendo a visioni complottiste, verrebbe da domandarsi se non sia stata realizzata a bella posta per gettare discredito sulla stessa idea della tassa sulle transazioni finanziarie. Certo è che l’attuale proposta italiana non dovrebbe nemmeno essere chiamata con lo stesso nome, per non infangare un’idea di per sé assolutamente valida ed efficace.
In parallelo con il pasticcio italiano, le istituzioni europee si stanno muovendo verso una loro versione della Ttf. Dopo il voto favorevole del Parlamento Ue e l’avvio della procedura di cooperazione rafforzata, la Commissione europea ha pubblicato una propria bozza di direttiva. Una proposta, per quanto ulteriormente migliorabile, che rappresenta un’ottima base di discussione. Le esenzioni sono poche e circoscritte, vengono tassati tutti i derivati e previsti dei meccanismi per limitare fortemente le possibilità di elusione.
Se davvero l’Italia volesse fare la sua parte, dovrebbe impegnarsi su scala europea per fare approvare il prima possibile questa proposta della Commissione, per poi implementarla in tempi brevi nel nostro Paese. La Ttf potrebbe essere una misura di straordinaria efficacia per frenare la speculazione, ridurre l’instabilità sui mercati e favorire l’economia reale e produttiva. Il nostro passato governo sembra essere riuscito nell’incredibile impresa di andare esattamente nella direzione opposta.