Effetti e disastri della mutazione neoliberista irlandese: tagli alla spesa sociale e meno Stato nell’economia. Un monito anche per l’Italia
“La Grecia ha un modello da seguire e tale modello è l’Irlanda”
Jean-Claude Trichet
“L’Irlanda ha fatto quello che il Fondo Monetario Internazionale voleva, ma dove è il risultato?”
G. Titley, J. O’Brennan
Grecia, Irlanda, Austria
Nella crisi dell’euro sono coinvolti direttamente tutti i paesi del Sud Europa, Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e anche uno del nord, l’Irlanda, ma i casi più gravi, almeno a suo tempo, sono apparsi quelli di Grecia e Irlanda.
Fmi, Bce, Commissione europea sono intervenuti propinando ai due malati le solite ricette, fatte di tagli progressivi ai bilanci pubblici e quindi ai servizi sociali, alle pensioni e ai salari, agli investimenti, ecc. Magia delle idee consolidate.
In ambedue i casi i risultati della cura sono stati disastrosi, come si poteva immaginare.
Ma mentre nel caso greco le misure di austerità (Titley, O’Connor, 2011), sono state accolte con grandi proteste e vere e proprie rivolte da parte delle classi popolari, in Irlanda sono state ricevute dalla popolazione con molta calma, anzi quasi con entusiasmo. Così, nel caso greco, gli enti internazionali hanno potuto giustificare il fallimento dei loro piani con la resistenza pubblica del paese; nel caso irlandese essi non hanno invece potuto usare, per difendersi, nessuna ragione plausibile, se non quella generica della crisi finanziaria generale (IMF, 2011).
Che peraltro non solo le ricette degli enti internazionali, ma anche le valutazioni dei mercati siano di questi tempi del tutto fuori strada è illustrato dal caso austriaco. Come ha messo in rilievo P. Krugman (Krugman, 2011), il paese è riuscito a combinare una politica di bilancio austera con un tasso di disoccupazione tenuto sotto controllo, un surplus rilevante della bilancia commerciale con un debito meno elevato e in più rapida diminuzione di quello tedesco; ciononostante, esso è stato attaccato dai mercati finanziari e i suoi tassi di interesse sui titoli pubblici sono aumentati in misura rilevante, distanziandosi da quelli tedeschi. Cosa avrebbe dovuto fare di diverso? Misteri della finanza.
Qualche dettaglio sul modello irlandese
A partire grosso modo dalla metà degli anni ’90, l’economia irlandese ha cominciato a correre a ritmi molto veloci, con una crescita del pil che si è aggirata in certi periodi intorno al 9% annuo. Così il numero degli occupati è passato in valori assoluti da 1,1 milioni di unità negli anni ottanta a 2,1 milioni nel 2007, con un incremento di oltre il 90%.
Il nucleo di base della crescita è venuto dall’insediamento nel paese di centinaia di multinazionali statunitensi spinte, oltre che dalla lingua comune, dal basso livello dei salari e da una aliquota fiscale sugli utili che ufficialmente tocca il 12,5%, ma che in pratica si può ridurre a livelli insignificanti.
Sono così arrivate molte società operanti nel settore delle tecnologie avanzate, ma usando l’insediamento irlandese soprattutto, anche se non esclusivamente, per lo svolgimento di attività di montaggio finale di parti e componenti prodotti altrove.
Almeno in parte sull’onda dello sviluppo industriale sono anche fortemente cresciuti il settore del turismo e quello immobiliare. I prezzi delle case sono quadruplicati in relativamente pochi anni.
La crisi del modello
Nel paese la crisi si è manifestata nel 2008 sotto forma di scoppio della bolla immobiliare, cui ha fatto seguito quella del settore bancario, che aveva finanziato il settore edilizio senza riguardi. È così dovuto intervenire il governo e le grandi banche sono state nazionalizzate. Il costo del salvataggio è stato rivisto al rialzo diverse volte dopo che il governo aveva irresponsabilmente annunciato, nel settembre del 2008, che si sarebbe trattato del salvataggio bancario meno costoso del mondo (Smith, 2011). Nel marzo del 2011 tale costo veniva ormai stimato a 70.3 miliardi di euro, un cifra enorme per un paese che ospita poco più di 4 milioni di abitanti. Il governo a un certo punto non ce l’ha fatta più a gestire la situazione e così negli ultimi mesi del 2010 si è registrata una seconda ondata di difficoltà che ha portato a un piano di intervento da 85 miliardi di euro in tre anni da parte dei paesi dell’euro, oltre che della Gran Bretagna, della Svezia, della Danimarca, di un fondo pensione nazionale e dell’FMI.
I dati della crisi sono molto netti (IMF, 2011). Il pil era cresciuto ancora del 5,2% nel 2007, per poi diminuire del 3,0% nel 2008, del 7,0% nel 2009, ancora dello 0,4% nel 2010, mentre per il 2011 si stima un risultato intorno allo 0%; qualcuno azzarda la previsione di un +1,0% per il 2012, ma altri parlano invece di zero crescita per i prossimi tre anni. Con lo sviluppo precedente il pil pro-capite era diventato il secondo di tutta l’Unione e nel 2007 esso aveva raggiunto i 43.773 dollari, per poi scendere però bruscamente sino ai 34.078 nel 2011. Il tasso di disoccupazione, che si collocava al livello del 4,6% nel 2007, era salito al 14,3% nel 2011, sostanzialmente triplicando; il debito pubblico, che era pari soltanto al 24,8% del pil nel 2007 era lievitato sino al 105,6% nel 2011, mentre le previsioni più ottimistiche parlano di un 118,1% nel 2013. L’emigrazione si situa ormai intorno alle 40.000 unità all’anno.
Nel corso dell’ultimo periodo è sembrato qualche volta che la situazione tendesse al miglioramento, come in particolare nel primo trimestre del 2010 e subito i politici europei, da Sarkozy a Cameron, oltre che ovviamente l’Fmi, l’Ue, la Bce, si sono messi a magnificare il modello irlandese, portandolo ad esempio per il mondo; la realtà dei fatti ha avuto presto ragione di tali entusiasmi.
Le ricette in atto e le prospettive del paese
Nel caso dell’Irlanda appare evidente quale sia la natura effettiva della manovre imposte dall’esterno che consiste, come sottolinea in particolare un economista irlandese, David Mcnally, in una mutazione neoliberista centrata sul taglio della spesa pubblica, e in particolare della spesa sociale, per assicurare che le classi più povere paghino tutto intero il costo del salvataggio delle banche (Titley, O’Brennan, 2011). E possiamo aggiungere che contemporaneamente gli interventi mirano a ridimensionare fortemente e in generale il peso dello stato nell’economia.
L’obiettivo specifico assegnato in questo momento al deficit pubblico annuo del paese è quello di una riduzione dal 12% attuale a 3% nel 2014, missione sostanzialmente impossibile, che presupporrebbe in effetti una crescita del 2,25% del pil annualmente nei prossimi tre anni.
Bisogna tra l’altro considerare in prospettiva il quadro del sistema finanziario e l’atteggiamento delle imprese estere.
A tutt’oggi le banche perdono dei soldi e, per andare avanti, devono contare su un rilevante sostegno da parte della Bce e della Bank of Ireland. Inoltre, esse sono obbligate a ridurre di 70 miliardi di euro entro il 2014 il livello delle loro attività, ciò che appare molto impegnativo. Intanto il costo del lavoro è cresciuto fortemente nel paese negli ultimi quindici anni ed è oggi molto più elevato che nei paesi dell’Europa dell’Est; così molte multinazionali stanno spostando le catene di montaggio verso tale area.
La strategia di ripresa, sempre su consiglio della Triade, punterebbe molto sulla crescita delle esportazioni ma, vista la situazione dell’economia mondiale, le speranze in questo senso appaiono ridotte.
Sul versante finanziario, secondo i piani, verso la fine di quest’anno il paese dovrebbe di nuovo poter accedere al mercato, cosa che in questo momento è impossibilitato a fare, ma si troverà plausibilmente di fronte a tassi di interesse insostenibili e così sarà necessario varare l’ennesimo piano di salvataggio.
La prospettiva più concreta dell’Irlanda è, a questo punto, quella di una depressione di lunga durata.
Conclusioni
De te fabula narratur. Le ricette imposte alla Grecia e all’Irlanda non sembrano qualitativamente molto diverse da quelle programmate più recentemente per l’Italia da Ue, Bce, Fmi e portate avanti apparentemente con molta diligenza dal governo Monti, che ci mette peraltro anche del suo. Nel caso del nostro paese le prescrizioni appaiono, almeno per il momento, un po’ meno dure, ma ci sarà sicuramente l’occasione, prossimamente, per rimediare all’errore. Ci attendiamo così che i risultati che verranno saranno più o meno dello stesso tenore di quelli ottenuti sino a ora nei due paesi sopra citati. Potremo così anche noi avere la fortuna di morire guariti.
Testi citati nell’articolo
Krugman P., Real austrian economics updated, www.nyt.com, 21 novembre 2011
IMF. Country report: Ireland, n. 11/356, Washington, dicembre 2011
Smyth J., Bailed-out irish banks edge toward stability, www.ft.com, 28 dicembre 2011
Titley G., O’Brennan J., Ireland has done what the IMF wanted, but where is the reward?, www.guardian.co.uk, 29 dicembre 2011