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Il 2026 sarà l’anno della crisi? 

Si moltiplicano gli allarmi autorevoli sul possibile scoppio di qualche bolla sui mercati, da quella dell’Intelligenza artificiale alle criptovalute, ai debiti sovrani. La crisi tra l’altro sarebbe più rovinosa del 2008 per il ruolo, ora incendiario e non regolatore, dell’Amministrazione Usa.

Premessa

Nelle previsioni per il 2026 un posto di grande rilievo spetta, anche se in negativo, all’ipotesi di una crisi finanziaria che abbia origine dagli Stati Uniti e che si diffonda poi in diverse direzioni geografiche, in particolare verso il nostro continente, con danni più o meno gravi nei vari Paesi.

Negli ultimi tempi, in effetti, gli allarmi sul possibile scoppio di qualcuna delle numerose bolle oggi presenti sui mercati si sono fatti sempre più insistenti e formano ormai un coro; a nostro parere non bisogna sottovalutarli, anche perché tra i profeti di sventura ci sono molti personaggi e molti media certamente autorevoli. Se il sistema finanziario crolla, sarà stato una delle implosioni più previste della storia (The Economist, 2025, a). Tali allarmi sembrano in qualche modo rafforzati di recente dalla rilevante nervosità delle Borse dopo circa tre anni di rialzi continui. Non manca peraltro qualche debole voce dissenziente che vede le cose in maniera più positiva.

Di seguito analizziamo le principali ragioni avanzate a sostegno di tale minaccia. 

L’eventuale scoppio della crisi avrebbe delle grandi conseguenze non solo sui mercati finanziari; essa indebolirebbe ulteriormente, se ce n’era bisogno, l’egemonia statunitense dell’ordine internazionale a favore in particolare della Cina, che pure ne avrebbe anch’essa dei danni, aumenterebbe poi le difficoltà per i paesi fortemente indebitati con in prima fila ovviamente il nostro (pensiamo poi anche a quelli poveri), accentuerebbe ancora, infine, le già forti spinte protezionistiche in atto, in particolare quelle statunitensi (The Economist, 2025, a) e così alla fine essa danneggerebbe tutti, anche se certo non in eguale misura.

Da dove potrebbe venire la crisi

Un articolo (Roche, 2025) sottolinea quali potrebbero essere le possibili fonti di una crisi prossima, che l’autore stima potrebbe scoppiare entro un anno. Si tratterebbe di una eventuale combinazione, che risulterebbe fatale, tra gli esuberanti investimenti nell’IA, i crescenti livelli del debito pubblico dei vari Stati, il credito privato non bancario che ha ormai raggiunto un livello pari a tre-quattro volte il Pil di Stati Uniti e di quello della UE, finanziato in parte dal sistema bancario e da quello assicurativo (attori che sarebbero pienamente coinvolti in caso di crisi) e che sfugge all’attenzione delle autorità di controllo. Le banche in particolare si mostrano inclini a finanziare il settore perché ne ricavano ritorni economici più alti che non con i prestiti diretti tradizionali. 

Si potrebbe aggiungere ancora alla lista la crescita oltre misura dei valori di Borsa, fenomeno legato almeno in parte all’IA, la corsa all’oro quale sintomo tra l’altro della perdita di fiducia nel dollaro e nei titoli di Stato Usa come beni rifugio e come strumento di conversione monetaria, con connessa crescita delle operazioni speculative, (Volpi, 2025)) e alle cryptocurrencies, infine la debolezza delle banche regionali e la crisi del mercato dei mutui immobiliari parallelamente alla crescita dei prezzi negli Stati Uniti. 

Tali dinamiche sono aggravate dalla politica del presidente Trump, che sembra soprattutto voler profittare personalmente dalla situazione piuttosto che cercare di regolamentarla, operando come un agente del caos (The Economist, 2025, b). Si tratta di un caso esemplare di pompiere piromane, che però viene tranquillamente lasciato fare. Per altro verso e come conseguenza, mentre nell’ultima crisi finanziaria si è manifestato un coordinamento globale per farvi fronte, questa volta i vari Stati saranno lasciati a loro stessi nel confrontarsi con le difficoltà (The Economist, 2025, b).

Nei paragrafi che seguono esploriamo con qualche dettaglio la dimensione del problema in alcuni settori.

Una Borsa gonfiata

W. A. Birdthistle, in un articolo apparso sul New York Times, (Birdthistle, 2025) suggerisce la presenza oggi di strette analogie con la crisi del 1929. Tra l’altro, afferma l’autore, denaro speculativo affluisce di nuovo in abbondanza in schemi di investimento rischiosi, in particolare con enormi somme di denaro investite nell’IA e nelle cryptocurrencies. E i regolatori finanziari di Trump, invece di ricordare un secolo di lezioni pagate a caro prezzo, alimentano la fiamma in molti modi. Come recita uno slogan (Tooze, 2025) “MAGA + AI non è una ricetta per la stabilità”. Ma al di là della politica di Trump, comunque la finanza è stata gonfiata a dismisura da diversi decenni di politica monetaria favorevole.

Gli investitori hanno gli occhi fissati sulle cosiddette “magnifiche sette”: Google, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla, trascurando la capacità reale di tali imprese a realizzare dei profitti (Couppey-Soubeyan, 2025). Così i capitali si concentrano in circuito chiuso su alcuni pochi attori legati all’IA e la caduta in Borsa di uno di essi sarebbe sufficiente a scatenare un effetto domino rapido e massiccio che trascinerebbe con sè tutto il mercato (Couppey-Soubeyan, 2025).

Gli eccessi finanziari di cento anni fa ci ricordano che quando le sentinelle dormono, i criminali ballano. I fallimenti finanziari di allora, quando in pochi anni la Borsa crollò del 77% e l’economia globale precipitò nella grande depressione, ci hanno insegnato delle lezioni importanti, tra cui quella della necessità di una regolamentazione prudenziale. Invece, dal gennaio di questo anno l’amministrazione statunitense ha licenziato i regolatori e fermato i guardrail che hanno mantenuto tanto a lungo in positivo i mercati finanziari. Tra l’altro, la SEC sta esplorando le possibili modalità con cui permettere alle imprese e ai fondi di vendere titoli alle masse di americani senza registrazione né divulgazione di informazioni. Inoltre Trump sta spingendo senza tregua la Federal Reserve ad abbassare i tassi di interesse, ciò che potrebbe stimolare ancora di più un mercato finanziario già sovradimensionato.

Intanto i programmi di IA stanno contribuendo ad aumentare in misura rilevante le manipolazioni del mercato.

Qualcuno (Tooze, 2025) ha stimato che un aggiustamento ragionevole dei valori di Borsa statunitensi comporterebbe perdite per 20 trilioni di dollari per gli investitori locali (perdite corrispondenti al 70% del Pil del Paese) e di 15 trilioni a quelli del resto del mondo (in questo caso siamo al 20% del Pil). 

La bolla dell’IA, un quadro differenziato

Con riferimento in particolare al settore dell’IA, bisogna ricordare da una parte gli enormi e crescenti investimenti rilevabili nel settore negli Stati Uniti, dall’altra i timori relativi al fatto che questi impieghi trovino in un prossimo futuro entrate adeguate per coprirli, mentre la valutazione di alcune delle imprese del settore si pesa ormai in migliaia di miliardi di dollari. 

Secondo la McKinsey entro il 2030 si spenderanno negli Stati Uniti 7 trilioni di dollari in investimenti nei data center; nel solo trimestre agosto-ottobre Google, Meta, Microsoft e Amazon hanno speso 112 miliardi di dollari a tale proposito (Frisch, 2025) e 350 miliardi in tutto il 2025. Sino a qualche tempo fa gli investimenti nel settore erano per la gran parte finanziati con mezzi propri, adesso invece si sta ricorrendo sempre di più al debito, spesso sotto forma di strutture di finanziamento molto complesse. Si utilizza ad esempio lo strumento dei cosiddetti Special Purpose Vehicle (S.P.V.), un espediente giuridico che permette ad una società di indebitarsi in misura anche elevata senza far figurare il debito relativo nei bilanci (Frisch, 2025).

Bisogna in ogni caso distinguere tra i vari comparti del settore. Un’impresa coma Nvidia, di gran lunga il più importante attore del settore, il cui valore di Borsa si aggira ormai intorno ai 4.500 miliardi di dollari, sembra non avere al momento grandi problemi perché i suoi chip sono venduti tranquillamente e a peso d’oro alle imprese utilizzatrici. Anche le società di consulenza operanti nel settore sembrano poter avere una vita relativamente tranquilla. 

La stessa Nvidia non dovrebbe in realtà dormire sonni del tutto tranquilli. Oltre ad essere stata incastrata nelle dispute politiche tra Stati Uniti e Cina, che le hanno fatto perdere probabilmente il ricchissimo mercato del Paese asiatico, si trova anche nella situazione di dover finanziare i suoi clienti per spingerli a comprare i suoi chip, con un sistema che sta facendo proseliti negli Stati Uniti e che aumenta ovviamente i rischi (Leparmantier, 2025); così Nvidia ha investito 100 miliardi di dollari in OpenAi (Leparmanitier, 2025) (si veda anche  più avanti). Comunque al momento i suoi risultati economici appaiono eccezionali, con un fatturato stellare e con più di 31 miliardi di dollari guadagnati in un solo trimestre.

Il discorso appare diverso per le imprese che offrono i loro programmi sul mercato: qui si concentrano i maggiori dubbi. Gruppi come Meta, Microsoft, Alphabet stanno, come già accennato, ancora aumentando e fortemente i loro investimenti. Mentre, ad esempio, Microsoft sembra riuscire a generare una domanda per i suoi prodotti anche superiore alla sua capacità di produzione, le prospettive di diverse altre società sembrano più incerte (Waters, 2025). Significativa in questa direzione è la tendenza di molte imprese del settore ad allungare il periodo degli ammortamenti dei nuovi impianti, tendendo a distribuire la spesa non più su tre anni, come sembrerebbe ragionevole, ma su cinque o sei.

C’è qualche segno che la bolla potrebbe iniziare a sgonfiarsi: nel mese di novembre i titoli delle imprese del settore hanno manifestato per un certo tempo rilevanti perdite.

Il caso di Open AI

Le paure si concentrano, tra l’altro, sui casi di OpenAI e del suo modello economico (Piquard, 2025). Il fondatore dell’impresa, Sam Altman, che ha contribuito in maniera decisiva al boom dell’IA a partire dal 2022, si trova oggi sotto assedio e cerca di rassicurare il mercato sui giganteschi investimenti previsti nei data center per ben 1.400 miliardi di dollari in otto anni. I dubbi ruotano su come la società recupererà tali ingenti somme; per l’anno che sta per terminare il suo fatturato si aggirerà su 13 miliardi di dollari, mentre Altman promette di fatturare 125 miliardi di dollari nel 2029 e 174 miliardi nel 2030. Intanto però le perdite hanno raggiunto i 5 miliardi di dollari nel 2024 e gli 8 miliardi nel solo primo semestre del 2025 (Piquard, 2025), mentre lo stesso Altman ammette che la sua impresa brucerà denaro sino al 2028, anno in cui perderà 74 miliardi di dollari, mentre il primo utile arriverà nel 2030 (Bertolino, 2025). Così una parte importante delle fonti di reddito future appaiono largamente ipotetiche. 

Intanto Bruxelles, che nell’agosto del 2024 aveva varato il AI Act, normativa che mirava in maniera abbastanza corretta a mettere sotto controllo gli aspetti negativi dei programmi di AI, nel novembre del 2025, sotto la pressione delle imprese e dell’amministrazione Usa, ha deciso di rimandare di 16 mesi l’applicazione di alcune delle norme più importanti. Poi si vedrà.

La responsabile del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, e l’organismo britannico per il controllo della stabilità finanziaria pensano che la crisi potrebbe venire proprio dal settore dell’IA.

L’indebitamento pubblico e privato cresce ancora

Storicamente, le crisi da indebitamento pubblico sono quasi sempre state un problema che riguardava i Paesi poveri. Oggi la questione tocca anche quelli più grandi e più ricchi, che si vanno indebitando sempre più, la loro esposizione raggiungendo ormai vette vertiginose; in media il rapporto tra indebitamento e Pil ha raggiunto infatti il 110% nelle economie avanzate, mentre l’aumento dei tassi di interesse dal 2022 ad oggi ha avuto come conseguenza un rilevante aumento del loro peso nei budget pubblici (The Economist, 2025, c). Le cose appaiono più negative in prospettiva se si considerano le minacce che a livello di indebitamento portano l’invecchiamento della popolazione, le crescenti spese per la difesa e quelle per la transizione energetica. 

Nei prossimi anni i governi potrebbero essere costretti a ottenere surplus primari molto elevati, ciò che porterebbe ad una forte austerità; altrimenti saranno spinti al default o a portare in alto l’inflazione. La minaccia di default apparentemente non sarebbe a breve termine, ma peserebbe come un macigno sui mercati dei titoli pubblici. 

Bisogna poi ricordare che anche il debito privato ha raggiunto livelli ormai stratosferici. Il totale complessivo di quello pubblico e privato si colloca nel mondo, secondo l’IIF, sui 315 trilioni di dollari, valore pari ad oltre il 330% del Pil globale.

Si segnala parallelamente, in particolare negli Stati Uniti, un’erosione degli standard di credito, fenomeno sottolineato in particolare da alcune crisi recenti (First Brands Group, di cui si è parlato molto, e Tricolor Holdings). Come ha rimarcato a tale proposito il capo di JP Morgan, Jame Dimon, “quando vedete uno scarafaggio probabilmente ce ne sono degli altri”.

Incidentalmente, intanto, gli Stati Uniti, l’UE e la Gran Bretagna spingono in avanti nel tempo l’entrata in vigore delle nuove norme per regolamentare il settore bancario, la cosiddetta “Basilea 3”, un meccanismo messo in opera per stadi successivi dopo la crisi del 2008 che aveva visto il fallimento e il salvataggio di diverse grandi banche; tale meccanismo impone l’aumento dei mezzi propri delle istituzioni finanziarie.

Warren Buffett conferma i timori

Warren Buffett, chiamato anche “l’oracolo di Omaha”, sua città di nascita, per la sua grande capacità di accumulare ricchezza con le operazioni di Borsa attraverso la sua finanziaria Berkshire Hathaway, ha rilasciato di recente delle interviste in cui si mostra molto pessimista sul futuro dell’economia e della finanza, confermando alcune delle preoccupazioni avanzate dalle altre fonti ricordate sopra. 

Buffett individua quattro punti critici della situazione; intanto la Borsa non tende più a finanziare l’economia reale, ma si concentra sempre più in operazioni puramente speculative e finanziarie; nel frattempo, il livello di indebitamento del settore privato e di quello pubblico cresce a dismisura, il mondo economico e finanziario è sempre più preso dall’attenzione al breve termine, trascurando gli orizzonti di lungo periodo; infine, la Fed non ce la farà più a intervenire adeguatamente nei momenti critici. 

Segni premonitori?

Apparentemente in queste ultime settimane si stanno manifestando alcuni segni premonitori della crisi. 

Si sono verificati sganciamenti dal titolo Nvidia da parte di importanti investitori. Si è verificato per la seconda volta un crack brutale sul mercato delle cryptocurrencies, che, ad un certo punto, hanno perso un terzo del loro valore rispetto alla punta raggiunta in ottobre (Editorial, 2025). 

La volatilità di tali strumenti non è congiunturale, ma strutturale. In effetti essi non hanno valore in senso economico. Non generano reddito, non sono legati ad alcun tipo di produzione, non pagano dividendi. Quello che li spinge in avanti non sono i cash flow, ma le aspettative, in particolare quelle che in futuro qualcun altro compri tali titoli ad un prezzo maggiore di quello di oggi; quando il sentimento del mercato si deprime, nessuno può fermare la loro caduta. Si tratta dell’ultimo strumento con cui i potenti si approfittano di quelli senza potere (Editorial, 2025). Inoltre sono uno strumento ideale per il riciclaggio di denaro sporco.

Quelo delle cryptocurrencies è forse il caso più estremo della deriva in atto verso una nuova ondata di finanziarizzazione dell’economia, spinta, invece di essere contrastata, dall’amministrazione Usa. 

Simon Johnson, premio Nobel per l’economia, nonché Rana Foroohar, autorevole giornalista del Financial Times, pensano che la grande crisi arriverà proprio partendo da tali strumenti.

Qualche dissenso

Accanto a questo grande coro di profeti di sventura non manca qualche voce dissenziente, anche se si tratta di piccole minoranze di esperti. 

Vogliamo ricordare a questo proposito le dichiarazioni di Nouriel Roubini, economista noto soprattutto perché, quasi da solo, aveva previsto la crisi del 2008. L’esperto, in una recente conferenza a Milano (Bufacchi, 2025), si è dichiarato convinto che il futuro del mondo sarà molto migliore grazie al nuovo ordine tecnologico che sta andando avanti, per gli sviluppi della IA, che ha – per l’autore – potenzialità enormi. Roubini prevede che il Pil degli Stati Uniti potrà crescere in futuro anche del 4% all’anno e che in altri Paesi si potrebbe arrivare sino a punte del 10% all’anno. Sulla stessa linea ottimistica, con qualche prudenza in più, si collocano alcuni recenti articoli apparsi su The Economist (vedi ad esempio The Economist, a).

Un articolo apparso invece sul Financial Times (Waters, 2025) più moderatamente riconosce che alcune società che stanno cavalcando il boom dell’IA sono potenzialmente vulnerabili ad un ridimensionamento delle quotazioni di Borsa, ridimensionamento che potrebbe anche essere severo, ma ciò, per Waters, non significa necessariamente che scoppierà una bolla devastante.

Conclusioni

Da qualche tempo nei Paesi occidentali, ed in particolare negli Stati Uniti, sta andando avanti una nuova fortissima spinta ai processi di finanziarizzazione selvaggia dell’economia. Una precedente ondata della medesima natura ebbe alla fine come sbocco la forte crisi del 2008, da cui si riuscì ad uscire dopo molto tempo con molta fatica e grazie anche all’intervento deciso e coordinato dei sistemi di regolazione. Questa volta, un eventuale crollo dei mercati, che potrebbe avere origine, come abbiamo visto, da molti punti, si scontrerebbe con una dimensione ancora maggiore dei valori in gioco e con possibili difese molto più deboli, tra l’altro per la presenza di un’amministrazione Usa apparentemente irresponsabile, che contribuisce in particolare ad alimentare le fiamme.

L’eventuale scoppio della crisi comporterà importanti conseguenze per tutto il mondo. Gli Stati Uniti cercheranno di scaricarle quanto più possibile sugli altri paesi, in particolare sull’UE, perdendo comunque terreno sull’arena economica e politica mondiale, mentre i paesi più poveri avranno maggiori difficoltà di accesso al credito, con tassi di interesse comunque più elevati e maggiore difficoltà ad esitare i propri prodotti verso i paesi avanzati. 

Si accelereranno i processi di de-dollarizzazione in atto, che sino ad oggi avanzavano con decisione ma abbastanza lentamente. Parallelamente le spinte dei Paesi del Sud a sviluppare rapporti economici con la Cina e tra di loro si accentueranno in misura rilevante.

Qualcuno appare categorico sulla situazione; così il professor Gary Marcus ha dichiarato: “Nessuno sa quando esploderà la bolla, ma alla fine succederà” (Bertolino, 2025).

Non manca peraltro chi, come abbiamo visto, pensa che la bolla non scoppierà, o avrà dimensioni controllabili e che invece in particolare lo sviluppo dell’IA porterà un’ondata di grande benessere per il mondo. Speriamo che sia così. Ma in ogni caso nessuno sembra in grado, o sembra avere la volontà, di governare il processo di finanziarizzazione in atto, che tende a deprimere l’andamento dell’economia reale.

Testi citati nell’articolo

-Bertolino F., Open AI & Co., cosa nasconde la ragnatela di Altman, Corriere della sera finanza, 17 novembre 2025

-Birdthistle W. A., Trump is pushing us toward a crash. It could be 1929 all over again, www.nytimes.com, 7 novembre 2025

-Bufacchi I., Roubini ora vede rosa, Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2025

Couppey-Soubeyran J., Et si l’euphorie boursière…, Le Monde, 15 novembre 2025

-Editorial, The Guardian wiev on crypto’s latest crash—, www.theguardian.com, 18 novembre 2025

-Frisch I., Debt has entered the AI boom, www.nytimes,com, 8 novembre 2025

-Leparmentier A., Dans l’IA la folle circulation des milliards de dollars, Le Monde, 26-27 ottobre 2025

-Piquard A., Open AI: les doutes s’accumulent …, Le Monde, 9 novembre 2025

-Roche D., A crash is coming, Engelsberg ideas, 29 ottobre 2025 

The Economist, How markets could topple the global economy, 15 novembre 2025, a 

The Economist, How the next crisis might happen, 3 maggio 2025, b

The Economist, Governments going broke, 18 ottobre 2025, c

-Tooze A., Maga + AI is not a recipe for stability, www.ft.com, 11 novembre 2025

-Volpi A., Pillole di bancarotta n.2, www.contropiano.org, 28 ottobre 2025

-Waters R., AI bubble trouble talk is overblown, www.ft.com, 13 novembre 2025