Il Protocollo d’intesa Italia-Albania compie due anni. Presentato dal governo come un modello innovativo di lotta all’immigrazione “illegale”, sino ad oggi (per fortuna) non ha funzionato. I centri di Gjader e Shëngjin hanno ospitato poche persone, con un inutile dispendio di risorse pubbliche.
Due anni fa, precisamente il 6 novembre 2023, è stato firmato il Protocollo d’Intesa Italia-Albania. Su quel Protocollo, il Governo italiano ha investito molto, volendo proporlo come un nuovo modello di esternalizzazione delle frontiere da adottare a livello europeo. A due anni dalla firma del protocollo, e in piena discussione del Disegno di Bilancio 2026, vale la pena fare il punto su un progetto molto discusso in merito alla sua legittimità giuridica, alla garanzia dei diritti dei richiedenti asilo e dei migranti coinvolti e ai costi che comporta per la finanza pubblica.
I dettagli del Protocollo, inizialmente poco chiari, sono emersi con la pubblicazione della Relazione tecnica che accompagnò la legge di ratifica da parte dell’Italia (L. 14/2024). La costruzione di diverse strutture sul territorio albanese – un hotspot nel porto di Shëngjin; un Centro di trattenimento per richiedenti asilo (CTRA), un Centro di permanenza per il Rimpatrio (CPR) e un mini-carcere a Gjadër – avrebbe dovuto consentire di deportare in Albania richiedenti protezione internazionale provenienti da Paesi terzi di origine definiti “sicuri”, intercettati in acque internazionali dalle navi militari italiane e sottoposti ad una procedura accelerata di esame della domanda di asilo. A seguito delle mancate convalide dei primi trattenimenti da parte del Tribunale e poi della Corte di Appello di Roma e in attesa che la Corte di Giustizia Europea si pronunci sulla compatibilità del “modello Albania” con il diritto comunitario, dopo la pubblicazione del D.L. 37/2025 del 20 marzo 2025, una parte della struttura polifunzionale di Gjadër è formalmente adibita a CPR, ovvero a centro in cui possono essere trasferiti i migranti già “trattenuti” nei CPR italiani.
La costruzione e l’allestimento dei centri in Albania ha richiesto più tempo del previsto: sono stati inaugurati con grande clamore solo un anno dopo la firma del protocollo, il 16 ottobre 2024, ma hanno (per fortuna) ospitato sino ad oggi poche decine di persone.
Nel 2024, secondo i dati raccolti da Action Aid e dall’Università di Bari, i richiedenti asilo trasferiti in modo coatto nei centri albanesi sono stati solo 20 (cui si aggiungono due minori e due persone vulnerabili che sono stati immediatamente portate indietro in Italia), tutti ritrasferiti in Italia a seguito della mancata convalida o proroga del loro trattenimento da parte dei giudici o per inidoneità al trattenimento.
In base alle informazioni più recenti, raccolte durante una missione di monitoraggio svolta dal Tavolo Asilo e Immigrazione il 28 ottobre 2025 (si veda il comunicato qui), nel CPR di Gjadër sarebbero transitati da aprile al 28 ottobre 2025 circa 219 migranti. In circa il 70% dei casi, i giudici competenti non hanno convalidato il trattenimento e i migranti sono stati riportati in Italia. Gli ultimi trasferimenti sono stati meno visibili (e dunque sottratti agli occhi dei media e dell’opinione pubblica): effettuati in piccoli gruppi in aereo dall’Italia all’Albania, con aerei della guardia di finanza; in nave di notte, per il ritorno dei migranti in Italia. Le persone effettivamente rimpatriate nei Paesi di origine sarebbero poche: in cinque casi direttamente dall’Albania, in tutti gli altri casi dopo essere state trasferite prima in Italia. Al momento della missione del 28 ottobre, il centro di Shëngjin era chiuso, nel centro polifunzionale di Gjadër l’area destinata al CTRA era chiusa, mentre i migranti presenti nel CPR erano in tutto 25.
La sproporzione tra gli obiettivi dichiarati, le risorse mobilitate e l’operatività effettiva dei centri albanesi risulta evidente: ricordiamo che il CTRA di Gjadër era stato pensato per poter ospitare 880 persone, il CPR avrebbe dovuto raggiungere una capienza di 144 posti e che si era parlato di una presenza massima contemporanea di 3 mila migranti.
Come hanno documentato bene i due rapporti pubblicati dal Tavolo Asilo e Immigrazione, Oltre la frontiera. L’accordo Italia Albania e la sospensione dei diritti e Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania, i dati pubblicati da ActionAid e dall’Università di Bari sulla piattaforma Trattenuti e alcune inchieste giornalistiche, l’esperimento albanese è fallito, ma essendo stato sin dall’inizio un’operazione propagandistica dal forte valore simbolico il Governo non sembra intenzionato a riconoscerlo. Intende mantenerlo a tutti i costi senza preoccuparsi delle inutili sofferenze imposte ai migranti trasferiti come pacchi (senza alcun criterio chiaro) in Albania e riportati in Italia, nella maggior parte dei casi dopo pochi giorni. Sono circa 95 gli eventi critici monitorati dall’on. Rachele Scarpa che ha visitato più volte i centri albanesi, tra episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio e uno sciopero della fame. E anche qui, come in molti CPR italiani, l’amministrazione sembra ricorrere l’uso di psicofarmaci come strumento di sedazione sociale.
Un ingiustificabile spreco di risorse pubbliche
Il progetto “albanese” si è distinto sin dalle origini, per la totale mancanza di trasparenza relativamente alle modalità di attuazione del protocollo e ai costi stimati per la sua esecuzione. Nella sua Controfinanziaria 2025, Sbilanciamoci! analizzando la Relazione tecnica che aveva accompagnato la legge di ratifica del protocollo, aveva stimato i costi complessivi previsti in cinque anniin 659 milioni di euro e in 127,5 milioni di euro per l’anno 2025. Cifre coerenti con quella dichiarata pubblicamente dalla Presidente del Consiglio, secondo la quale l’applicazione dell’accordo avrebbe comportato costi “intorno ai 650 milioni di euro in cinque anni”. Quei preventivi si riferivano, naturalmente, al pieno funzionamento a regime dei centri albanesi che sino ad oggi non si è mai verificato. Dunque, nel 2025, i costi effettivi del progetto Albania dovrebbero risultare molto più bassi rispetto a quelli previsti.
Secondo ActionAid, fino alla fine di marzo 2025, per la costruzione e l’allestimento delle strutture albanesi sono stati sottoscritti contratti per 74,2 milioni di euro. Cui devono aggiungersi i costi sostenuti per la gestione che sono molto difficili da quantificare. L’appalto con cui la cooperativa Medihospes si è aggiudicata la gestione delle strutture nel maggio 2024 prevede un costo di 133 milioni in due anni, ma come ha ricordato Altraeconomia, il contratto non è stato mai firmato formalmente. Per i servizi erogati nel 2024, quando i giorni di operatività effettiva sarebbero stati solo 5, a Medihospes sono stati pagati 570 mila euro. Il 28 ottobre 2025 erano presenti nel Cpr 25 persone, ma a detta dello stesso ente gestore, la presenza media quotidiana è stata di 20. Il compenso spettante all’ente gestore è calcolato pro capite pro die, dunque in base al numero di presenze giornaliere. Un bel problema da gestire da parte di chi, partecipando al bando di gara, aveva previsto ben altri numeri e relativi introiti.
Ai costi di costruzione, allestimento e gestione, si aggiungono altre voci di spesa difficilmente monitorabili, tra le quali i costi di missione, viaggio, vitto e alloggio del personale delle forze dell’ordine e i costi dei trasporti impiegati per trasferire i richiedenti asilo e i migranti in Albania e poi di nuovo in Italia.
Nel merito, ActionAid, dopo aver inviato una segnalazione all’Autorità Nazionale Anti Corruzione relativamente all’affidamento e all’avvio anticipato del contratto con l’ente gestore, il 29 ottobre 2025 ha depositato alla Procura regionale della Corte dei Conti un esposto, dati alla mano, per valutare eventuali “violazioni delle norme sulla gestione delle risorse pubbliche”.
Ciò che sappiamo sarebbe comunque sufficiente per suggerire al Governo di tornare sui suoi passi riconoscendo il fallimento del suo progetto. La lettura del Disegno di legge di Bilancio 2026 conferma però che non è intenzionato a farlo.
Nell’allegato 8 “Bilancio di previsione del Ministero dell’Interno” sono infatti confermati stanziamenti collegati all’esecuzione del Protocollo.
Il capitolo n.7456 19 “Somme destinate all’acquisto degli automezzi, dei natanti e degli aeromobili” necessari per l’esecuzione del protocollo riporta un residuo dal 2025 di 6.383.837 che è riscritto in bilancio nel 2026. Un piccolo residuo viene rimesso a bilancio anche al capitolo n.7456 20 per l’acquisto di impianti e attrezzature.
Il capitolo n. 2259 “Fondo per il rimborso delle spese sostenute dalla parte albanese e per la costituzione del fondo di garanzia per l’attuazione del protocollo” prevede per il 2026 (ma anche per i due anni successivi) uno stanziamento in competenza pari a 14.891.250 euro.
Sul capitolo n. 2351 14 destinato a finanziare la gestione dei centri, risultano sul 2026 2,6 milioni di residuo del 2025 (lo stanziamento previsto l’anno scorso era di 6,2 milioni di euro), cui si sommano altri 5.918.970 euro stanziati in competenza per ciascuno degli anni 2026, 2027 e 2028. Molte altre voci di costo connesse all’esecuzione del protocollo sono difficilmente identificabili nel bilancio dello Stato, ma solo considerando i capitoli di spesa sopra citati, gli stanziamenti messi a bilancio del Ministero dell’interno ammontano a 29,7 per l’anno 2026, 20,8 milioni per l’anno 2027 e per l’anno 2028, per un totale di circa 71,4 milioni nel triennio.
Stanziamenti che, nel contesto di un Disegno di Legge di Bilancio ispirato al principio di contenimento della spesa pubblica e al rilancio delle politiche di austerità (tranne che per la realizzazione del Ponte di Messina e per le spese militari), esemplificano molto bene il cinismo di un Governo che sembra voler piegare in ogni modo l’interesse pubblico alle proprie esigenze di propaganda.
Conclusioni
Il Protocollo d’Intesa Italia-Albania ha previsto in un primo tempo la deportazione e la detenzione in Albania di richiedenti protezione internazionale provenienti da Paesi di origine definiti “sicuri” soccorsi in acque internazionali da navi militari italiane. A tal fine sono state allestite nelle aree di Shëngjin e Gjadër diverse strutture: un hot-spot, un Centro di trattenimento per richiedenti asilo (CTRA) con capienza da 880 posti, un Cpr (144 posti) e un mini-carcere (20 posti).
Con il Dl. 37/2025 il Governo ha modificato la loro funzione, prevedendo di potervi trasferire anche i migranti privi di un titolo di soggiorno già detenuti nei CPR italiani, al solo fine di giustificare il mantenimento di queste strutture. Ciononostante, i centri albanesi hanno sino ad oggi ospitato poche decine di persone.
Fino a fine marzo 2025, l’esperimento albanese ha comportato impegni di spesa (contratti firmati) per un importo pari a 74,2 milioni di euro. Nel Disegno di Legge 2026 sono identificabili in Bilancio stanziamenti pari a 71,4 milioni nel triennio 2026-2028, di cui 29,7 milioni nel 2026.
Il Protocollo d’intesa Italia-Albania, presentato dal Governo come un modello innovativo di cooperazione con un Paese terzo nella gestione dei flussi migratori e nella lotta all’immigrazione “illegale”, sino ad oggi non ha funzionato. A distanza di due anni dalla firma, si rivela per quello che è stato fin dall’inizio: un’operazione di propaganda che comporta gravi violazioni dei diritti umani ed è irragionevolmente onerosa per la finanza pubblica. Non c’è alcuna motivazione razionale per mantenerlo in vita. Per questo Sbilanciamoci! insieme a molte altre organizzazioni della società civile, chiede l’immediata dismissione del Protocollo, la chiusura definitiva dei centri di Shëngjin e Gjadër (oltre che dei CPR italiani) e la cancellazione dei relativi stanziamenti previsti nel Disegno di Legge di Bilancio 2026.




