Alcuni importanti motori della crisi scoppiata ormai sette anni fa sono ancora fortemente presenti e continuano a dispiegare i loro effetti poco piacevoli sulle nostre economie
L’aumento dell’indebitamento è una cattiva cosa?
Alcuni importanti motori della crisi scoppiata ormai sette anni fa sono ancora fortemente presenti e continuano a dispiegare i loro effetti poco piacevoli sulle nostre economie: ricordiamo, tra di essi, il rilevante rallentamento dei tassi di aumento annuo della produttività, la crescita continua delle diseguaglianze dei patrimoni e dei redditi, infine l’elevato livello di indebitamento di privati, imprese, entità pubbliche.
La questione dei debiti è venuta in particolare e di recente alla ribalta della cronaca da una parte con i problemi della Grecia e i fallimentari tentativi della troika per risolverli, dall’altra con la pubblicazione di due rapporti sul problema (ICMB, 2014; McKinsey, 2015).
Vogliamo preliminarmente sottolineare che un aumento nel livello degli stessi debiti non è necessariamente una cattiva cosa: l’indebitamento può essere la base per lo sviluppo di un’economia, di un’impresa, o per l’aumento futuro dei redditi di un privato. Si pensi, per quanto riguarda l’ultimo periodo, alla forte crescita economica dei paesi emergenti che difficilmente avrebbe potuto aver luogo senza di esso.
O ricordiamo ancora, ad esempio, come in questo momento da più parti si deplori il fatto che paesi come la Germania o anche gli Stati Uniti, che hanno un sistema di infrastrutture che avrebbe bisogno di essere fortemente migliorato, non lo fanno solo per mantenere i livelli di debito e di bilancio entro limiti stretti.
Si sottolinea come in tali paesi il livello di spesa pubblica nelle infrastrutture si collocava negli anni settanta sopra il 3% del pil, mentre ora essa è sotto il 2%. Così per gli Stati Uniti si è stimato che solo per un’adeguata manutenzione delle strade ci vorrebbero più di 100 miliardi di dollari l’anno, mentre a 100 miliardi di euro è stimata in Germania la necessità di maggiori investimenti complessivi ogni anno per le sue infrastrutture.
D’altro canto, appare molto complicato fissare un tetto massimo al livello di debiti che un paese o un’impresa può ragionevolmente sopportare senza gravi danni. Così è stata facilmente dimostrata la fallacia della presunta regola a suo tempo avanzata da Carmen M. Reinardt e Kennet S. Rogoff, sulla base dell’analisi di una lunga serie storica di dati, secondo la quale se l’indebitamento pubblico di un paese supera la soglia del 90% del pil, la crescita dell’economia ne soffre fortemente.
In realtà, è stato indicato che le conclusioni dei due economisti si basavano su dati poco corretti e che comunque la relazione tra indebitamento eccessivo e crescita del pil poteva essere inversa a quella ipotizzata dagli stessi.
Nei fatti, il livello di indebitamento sopportabile da un qualche soggetto può dipendere in generale da diverse variabili: dal tipo di impiego, più o meno adeguato, delle risorse prese a prestito, dal livello dei tassi di interesse, da quello dell’inflazione e dalla più o meno elevata dipendenza di un soggetto dai mercati finanziari: vedi il caso del Giappone, nel quale ad un altissimo livello di indebitamento fa da contrappeso il fatto che esso sia detenuto quasi interamente da istituzioni interne “responsabili”. Per altro verso, lo stesso esempio indica come un carico di prestiti troppo elevato possa contribuire a creare nel paese un circolo infernale dal quale sembra molto difficile uscire.
A proposito del tipo di impiego, quello che c’è da deplorare nel caso greco, come del resto in quello italiano, è soprattutto il fatto che il denaro preso a prestito sia stato poco utilizzato per progetti di sviluppo ed invece molto per impieghi clientelari o comunque dai ritorni economici e/o sociali molto discutibili.
Vogliamo anche ricordare, in particolare con riguardo alla Grecia, che di frequente la colpa di un alto livello di indebitamento, orientato per di più allo sperpero, non è solo dei debitori, ma anche dei creditori. Un sistema finanziario adeguato non avrebbe dovuto impelagarsi a cuor leggero in dei prestiti che esso sapeva si sarebbero rivelati come inesigibili e quindi ne deve contribuire a sopportare le conseguenze.
L’economia occidentale non può fare a meno della droga del debito
Per alcuni versi, l’economia occidentale sembra oggi non potere fare a meno dell’aumento del debito e della crescita delle bolle per andare avanti, come sottolineava di recente, tra gli altri, Lawrence Summers.
Così, si vedano ad esempio oggi per gli Stati Uniti i casi dello shale oil e dello shale gas. Le compagnie di esplorazione e produzione, per portare avanti i loro progetti nel settore, hanno preso a prestito nel periodo 2010-2014 circa 500 miliardi di dollari – di cui ben 163 miliardi in strumenti ad alto rendimento ed alto rischio – dal mercato finanziario, che li ha concessi a cuor leggero. Ora, con il crollo del prezzo del petrolio, molte imprese si trovano in difficoltà e le agenzie hanno abbassato il rating di 19 società da ottobre ad oggi, mentre altre cinque sono minacciate dello stesso destino (Rodriguez, Crooks, 2015).
Sempre negli Stati Uniti c’è stato nell’ultimo periodo un vero e proprio boom sa parte delle istituzioni finanziarie nel business di prestare i soldi ai lavoratori poveri per comprare un’auto; si tratta di un mercato in forte crescita che vale 20 miliardi di dollari, che riguarda milioni di americani e che ricorda da vicino per le sue caratteristiche le operazioni di subprime e di cartolarizzazione. Ora sono in corso delle inchieste da parte della magistratura (Corkery, Silver-Greenberg, 2015).
Il rapporto McKinsey
Facciamo a questo punto riferimento ad uno dei rapporti sull’indebitamento pubblicati di recente. Secondo il rapporto McKinsey il debito complessivo, a livello mondiale, è aumentato di 57 trilioni di dollari tra il 2007 al 2014, raggiungendo il livello di 200 trilioni. La sua incidenza sul pil globale è salita nello stesso periodo dal 270% al 286%. Esso è oggi più alto che nel 2007 nella gran parte dei 47 paesi analizzati nella ricerca; ci sono pochi motivi per credere che esso non continuerà a crescere nei prossimi anni.
Un aspetto rilevante del rapporto riguarda l’andamento dell’indebitamento dal punto di vista geografico. Così viene sottolineato come esso sia aumentato nell’ultimo periodo in particolare nei paesi che erano stati precedentemente risparmiati dalla crisi. Viene così rimarcata la sua forte crescita in generale in un paese come la Cina e, per quanto riguarda il debito delle famiglie, in Olanda, Corea del Sud, Canada, Svezia, Australia, Malaysia, Tailandia.
Il solo importante settore in cui esso si è ridotto o stabilizzato, sottolinea la ricerca, è quello finanziario, in relazione ai nuovi livelli di mezzi propri richiesti dalle regolamentazioni post-crisi.
Un merito dello studio è quello che esso raccomanda nuove vie per governare il problema. Esso non ha remore nell’indicare strade come quelle di una migliore ripartizione dei rischi tra creditori e debitori, di una ristrutturazione delle scadenze e, almeno in alcuni casi, della cancellazione pura e semplice.
Conclusioni
Probabilmente i creditori della Grecia saranno molto riluttanti a procedere su alcune delle strade indicate dal rapporto, anche se appare ormai dimostrato che le politiche di austerità sono fallite, come del resto hanno fatto a suo tempo le analoghe ricette portate avanti da Hoover negli Stati Uniti e che hanno poi portato alla grande crisi; analoga sorte hanno poi avuto i programmi imposti dal fondo monetario qualche decennio fa all’Asia dell’est e all’America Latina (Stiglitz, 2015). Ma uno dei meriti del nuovo governo greco è proprio quello dell’aver posto la questione con forza e con urgenza all’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica. Il caso del paese ellenico ci ricorda, in generale, la necessità di mettere a punto un modello di ristrutturazione del debito a livello mondiale.
Testi citati nell’articolo
Corkery M., Silver-Greenberg J., Investment riches built on subprime auto loans to poor, www.nytimes.com, 26 gennaio 2015
International Center for Monetary and Banking Studies, Deleveraging? What deleveraging?, Geneva Reports on the world economy, n.16, ICMB/CEPR, settembre 2014
McKinsey Global Institute, Debt and (not much) deleveraging, www.mckinsey.com, febbraio 2015
Rodriguez V., Crooks E., Default risk rises in oil and gas sector, www.ft.com, 4 febbraio 2015
Stiglitz J. E., A Greek morality tale, www.guardian.co.uk, 4 febbraio 2015