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Intrappolati nel circolo vizioso dei bassi salari

L’occupazione è tornata a crescere, ma la povertà lavorativa è sempre più diffusa. La struttura produttiva a italiana prosegue a specializzarsi in settori a basso valore aggiunto, come invertire la tendenza? Il libro di Evangelista e Pacelli prova a rispondere all’interrogativo.

Osservando i dati del mercato del lavoro degli ultimi anni, si potrebbe affermare che in Italia la dinamica occupazionale sia in graduale miglioramento rispetto agli anni passati.  Stando ai dati forniti dall’Istat, nel 2024 sono stati raggiunti oltre 24 milioni e 200 mila occupati, un record per il mercato del lavoro italiano. Considerando, invece, gli ultimi 5 anni, quindi il periodo che va dal 2019 al 2024, l’Italia ha registrato un miglioramento nel tasso di occupazione arrivando al 62,2%, crescendo di oltre 3 punti percentuali rispetto al 2019. Rimanendo, ad ogni modo, la nazione, tra le principali economie europee, con il tasso di occupazione più bassa. Nello stesso periodo, anche il tasso di disoccupazione si è ridotto passando dal 9,9% del 2019 al 6,5% del 2024. 

Questo aumento quantitativo dell’occupazione non è accompagnato da un miglioramento della qualità del lavoro. Andando ad approfondire in maggior dettaglio il dato aggregato dell’occupazione, la situazione risulta essere meno rosea del previsto. Il quadro che emerge è che il mercato del lavoro in Italia risulta essere fortemente segmentato. L’aumento dell’occupazione è trainato dai lavoratori over-50, dovuto all’aumento dell’età lavorativa e dal prolungamento delle pensioni, mentre i giovani lavoratori, under-35, continuano a essere caratterizzati da contratti atipici, a termine o a tempo parziale, con basse retribuzioni. Questa precarietà spinge i giovani a emigrare: come riportato dal rapporto della Fondazione Nord Est (2025), tra il 2011 e il 2024, circa 619mila giovani italiani hanno lasciato l’Italia, con un saldo netto, tra entrate e uscite, di -433 mila giovani.

Spostandoci sui dati delle retribuzioni fornite dall’Ilo la situazione non migliora: l’Italia, dal 2008, risulta essere il Paese del G20 che ha registrato la maggiore contrazione, dell’8,7%, dei salari reali, posizionandosi all’ultimo posto, in termini di crescita salariale. 

Queste evidenze sono state esposte durante l’incontro “L’economia italiana negli anni 2020. Il lavoro in Italia. Quantità e qualità”, promosso dall’Accademia Nazionale dei Lincei in collaborazione con la Società Italiana di Economia. 

Il quadro appena descritto fornisce un mercato del lavoro qualitativamente debole: altamente precario e povero. Come si evince dalla tendenza di lungo periodo dei salari reali italiani, le debolezze dell’occupazione non sono un fenomeno legato esclusivamente agli ultimi anni ma hanno radici profonde. Evangelista e Pacelli (2025) offrono un’interessante disamina del mercato del lavoro italiano, provando a individuare le origini delle debolezze di tale struttura.

Il punto di partenza dell’analisi è che l’Italia ormai da tempo si trova intrappolata in un pericoloso circolo vizioso che porta a deprimere il mercato del lavoro alimentato da un contesto macroeconomico stagnante, dovuto a una bassa crescita economica, scarsi investimenti e contenimento della domanda interna. Spostando l’attenzione sul tessuto industriale, inoltre, è possibile osservare un progressivo indebolimento della struttura produttiva dovuto alla continua erosione del settore manifatturiero, soprattutto quello ad alto valore aggiunto e ad alta produttività, e al processo di terziarizzazione “povera”, guidata dai servizi a basso valore aggiunto e bassa produttività. Questa strada della specializzazione povera dell’economia italiana determina, di conseguenza, un’ulteriore contrazione dei consumi interni e degli investimenti continuando ad alimentare la diffusione dell’occupazione poco qualificata con contratti atipici e con bassi salari. 

Per comprendere al meglio le determinanti di lungo periodo è necessario tenere conto contestualmente dei processi che a livello internazionale e le caratteristiche della struttura produttiva interna. I cambiamenti del mercato del lavoro italiano sono legati a doppio filo alle dinamiche su scala globale che si sono succedute negli ultimi tempi. Il contesto macroeconomico degli ultimi vent’anni è stato caratterizzato da profonde crisi, prima quella del 2007-2008, poi la crisi dei debiti sovrani e infine la crisi pandemica che ha colpito principalmente le economie del sud dell’Europa. Tale incertezza si è tradotta in una contenuta crescita economica e in una contrazione degli investimenti. Rimanendo sullo scenario internazionale, dagli anni ’90 e soprattutto dalla metà dei primi anni Duemila, la progressiva frammentazione delle catene del valore ha contribuito ad incrementare la competizione internazionale del lavoro comportando un progressivo indebolimento del lavoro, soprattutto dal punto di vista della rappresentanza, e a una graduale moderazione salariale. 

Questi effetti sul mercato del lavoro sono stati asimmetrici, ovvero non hanno avuto lo stesso impatto su tutti i paesi. I più colpiti sono risultati quelli con strutture produttive più fragili e con un ruolo subalterno nelle catene globali del valore e con deboli politiche industriali. Questa debolezza, soprattutto legata all’incapacità di quest’ultimi di adattarsi ai mutamenti esterni, ha spinto sempre più i paesi a portare avanti politiche di svalutazione interna, legate alla flessibilizzazione e riduzione del costo del lavoro per far fronte alla crescente competitività internazionale.

L’Italia, osservando i cambiamenti nel lungo periodo della sua economia e della sua struttura produttiva, può essere inserita all’interno di questo quadro interpretativo. In aggiunta alle dinamiche globali appena descritte, i cambiamenti nel mercato del lavoro sono stati determinati dai mutamenti della struttura produttiva e dall’attuazione di riforme del mercato del lavoro volte alla liberalizzazione e deregolamentazione dell’occupazione.

L’economia italiana negli ultimi due decenni ha improntato la sua crescita sulla compressione dei costi da lavoro per migliorare la propria competitività. La continua moderazione salariale, le politiche fiscali restrittive che hanno accompagnato l’economia italiana dai primi anni del Duemila e la drastica riduzione degli investimenti, pubblici e privati, hanno contribuito all’impoverimento dell’apparato produttivo italiano. Gli investimenti carenti hanno portato negli anni l’economia italiana a essere maggiormente vulnerabile agli shock macroeconomici e dipendente dalle importazioni in beni chiave e, inoltre, hanno impoverito l’intera filiera produttiva, ampliando il divario tecnologico con le economie internazionali. La scarsità degli investimenti ha condotto l’economia italiana a specializzarsi in settori a basso valore aggiunto e bassa produttività, come i servizi di ristorazione, quelli alberghieri e i servizi alla persona. Questo modello di «terziarizzazione povera», se da un lato non contribuisce allo sviluppo economico, non stimolando processi innovativi, dall’altro si presta, nel migliore dei modi, ad accogliere le diverse forme di contratti «atipici» che negli anni si sono diffusi nell’economia italiana. 

Le politiche non sono state neutre in questo processi di cambiamento strutturale dell’economia. Dal lato industriale, hanno promosso interventi di tipo orizzontale che non hanno stimolato gli investimenti, soprattutto in ricerca, sviluppo e tecnologia. Sul fronte dell’occupazione, le politiche adottate hanno contribuito a peggiorare la qualità dell’occupazione. L’onda lunga delle riforme del mercato del lavoro, iniziate dalla metà degli anni ’90 con il “Pacchetto Treu” (legge n. 196/1997) fino al più recente Jobs Act (legge n. 183/2014), hanno indebolito le tutele del lavoro a tempo indeterminato e favorito la diffusione di contratti precari e part time con basse retribuzioni. Come riportato dal recente rapporto della Fondazione Di Vittorio (2025), l’obiettivo di tali politiche era quella di stimolare l’occupazione, gli investimenti, la produttività e i salari tramite la costante flessibilizzazione dell’occupazione. L’effetto generato è stato diametralmente opposto. L’indebolimento del lavoro ha portato a una maggiore contrazione dei salari, un aumento della domanda di lavoro poco qualificato e una dinamica stagnante degli investimenti privati. In questo modo numerose pur essendo inefficienti e a bassa produttività sono riuscite a sopravvivere sfruttando il generale indebolimento e impoverimento del lavoro. 

Lo scenario descritto risulta essere allarmante. Questo circolo vizioso sta lentamente deteriorando l’Italia, attraverso la progressiva terziarizzazione povera dell’economia e la crescita di un’occupazione sempre più precaria, poco qualificata e con basse retribuzioni. Inoltre, il diffondersi delle basse retribuzioni ha portato una quota crescente di lavoratori a vivere in condizioni di povertà lavorativa, creando un problema di ordine sociale.

Le origini della crisi del lavoro possono essere ricondotte da un lato all’applicazione di politiche errate che hanno indebolito il lavoro in termini di tutele e dall’altra dal progressivo indebolimento della struttura produttiva. Per poter sovvertire l’attuale tendenza risulta essere necessario agire congiuntamente su entrambi i fronti. Come riportato anche nel volume di Evangelista e Pacelli (2025), una possibilità è quella di invertire l’attuale circolo vizioso e trasformarlo in un circolo virtuoso investendo nel lavoro standard, qualificato e retribuito coerentemente. Quindi, attraverso questa inversione di tendenza è possibile generare un «moto perpetuo» nell’economia che permetta di aumentare la competitività e la produttività dell’economia, investendo in una occupazione qualificata e in innovazioni tecnologiche: l’assunzione di lavoratori specializzati, con contratti standard, stimola le imprese a investire in ricerca e sviluppo. Tali investimenti, di conseguenza, incrementano la produttività del lavoro, generando, quindi, un aumento dei salari e dei profitti. Infine, l’aumento dei salari genera un miglioramento nelle competenze dei posti di lavoro, che a sua volta stimola le innovazioni di prodotto e incentiva le imprese ad innovare. 

Bibliografia

Evangelista, R. e Pacelli, L. (a cura di) (2025) Lavoro e salari in Italia, Carocci, Roma.

Fondazione Di Vittorio (2025) Precarietà e bassi salari. Rapporto sul lavoro in Italia a dieci anni dal Jobs Act

Fondazione Nord Est (2025) Profilo dei giovani espatriati. Fuga dei giovani, Nota 1/2025